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Cinque giorni a Cracovia

sabato 26 giugno 2010

Il mio primo viaggio in un paese dell'Est. E penso che sia stato sufficiente per degustare con piena soddisfazione tutto il fascino di una miscela di contrasti che nel corso della sua storia - e, per molti aspetti, anche tuttora - hanno attanagliato la Polonia, e in special modo Cracovia.

Il nazismo e il comunismo, gli ebrei e i polacchi, l'occidentalizzazione e le architetture gotica, rinascimentale e barocca del centro storico, o l'architettura realista del secondo dopoguerra. E ancora il profondo cattolicesimo e la vita mondana che si scorge palpabile tra le vie del centro. Per finire con la cultura e l'arte dei musei e dei teatri che sembra scontrarsi con uno stile di vita bohemien molto diffuso anche tra i giovani.

Sicuramente il saper far coesistere tutte queste cose insieme e' un segnale di apertura, un segnale di accettare il vecchio e il nuovo senza pregiudizi e archetipi che altrimenti affosserebbero il dinamismo che trasforma questa citta'.

Primo giorno

All'aeroporto Giovanni Paolo II di Cracovia (Balice), nel primo pomeriggio, ad aspettarmi c'era il mio amico di infanzia, Cesare Candido (alias Polacco). Un lungo abbraccio e poi via verso il centro di Cracovia. Siamo scesi ad una fermata a ridosso delle mura che circondano il centro di Cracovia, vicino a ulica Krupnicza, dove al numero 6 e' locata la trattoria 'da Cesare' di cui Cesare e' proprietario e gestore.

Un giro per il locale, prima di tutto. Mi congratulo con Cesare per quello che e' riuscito a metter su. Veramente emozionante trovare un angolo di Calabria in una zona cosi' centrale di Cracovia. Le pareti in tinta 'oliva', alternata da un giallino per spezzare l'intensita' del verde, sono un richiamo forte agli uliveti calabresi. A rimarcare questo richiamo, i setacci e i vasi terra cotta con ramoscelli di ulivo, che ornano i ripiani nelle pareti tutto intorno al locale. E poi tanti quadretti di foto che ritraggono la nostra bella e amata terra, in ogni suo aspetto.

Il servizio impeccabile e sempre prontamente e cortesemente disponibile, fanno di questa trattoria un locale da non perdere, durante un soggiorno a Cracovia.

Giusto il tempo di un pranzo veloce, e via. Siamo andati nella Stare miasto (Citta' vecchia) a continuare la nostra conversazione. Spostandoci di locale in locale. Tutti tipicamente poco illuminati, ancor meno per la giornata un po' cupa. Come c'era da aspettarselo, ho potuto bere dell'ottima vodka. Tra quelle che mi sono rimaste in mente, c'e' la Zubrowka, caratteristica in quanto e' aromatizzata con le erbe pascolate dai bisonti europei che si trovano principalmente in Polonia.

Tra una chiacchiera e l'altra, un drink e l'altro, si e' fatta sera. Un appuntamento importante che non mi sono voluto perdere affatto e' stata il gala di apertura del 50th Krakow Film Festival e alla susseguente proiezione del film documentario polacco-tedesco 'Dwa Rembrandty w ogrodzie' ('Two Rembrandts in the garden') al Kijow.Centrum Cinema. Chiaramente il film e' stato proiettato in lingua inglese con i sottotitoli polacchi.

Anche se non ho apprezzato tanto il film (in tanti hanno riso per diverse volte, ma senza un'apparente motivazione a mio avviso, sintomo di una diversa concezione dell'ironia che i Polacchi hanno rispetto a noi Italiani), come pure la trama e la qualita' degli attori e della scenografia, l'ho trovata comunque una gran bella esperienza che mi ha portato a vivere ancor piu' dal di dentro la cultura polacca.

Alla fine della proiezione, l'amica polacca di Cesare, Evelina - giornalista della TVN, la maggiore emittente televisiva privata polacca, ci ha portati al banchetto offerto dal sindaco di Cracovia e tenuto per celebrare il cinquantenario del festival, al Palac Wielopolskich. Al rinfresco abbiamo potuto incontrare tanti amici di Cesare ed Evelina, con cui abbiamo passato una piacevolissima serata, in un ambiente che non metteva nessuno a disagio nonostante la sontuosita'.

Secondo giorno

Il secondo giorno e' stato il giorno del giro per la citta'. In mattinata, mi sono mosso da solo, addentrandomi ancora nella Stare miasto. Ho giravagato un po' per Rynek Glowny ('Piazza centrale', la piu' grande piazza medievale d'Europa), visitando la Torre del Municipio, dove adesso e' locato il Museo Storico di Cracovia. Quindi mi sono spostato dentro il Sukiennice ('Mercato dei tessuti'), che era solo in parte agibile per via di lavori di ristrutturazione in corso, sia interni che esterni. Alle spalle del Sukiennice, si erge maestosa la Mariacki ('Basilica di Santa Maria'), caratteristica per le due torri asimmetriche che dominano su Rynek Glowny. All'interno di Mariacki ho potuto scorgere e apprezzare lo stile gotico predominante, se non altro per il piu' grande altare gotico d'Europa: l'Altare ligneo di Veit Stoss. I numerosi affreschi e opere d'arte attribuiscono alla basilica anche un marcato stile barocco e rinascimentale.

Attraversando Rynek Glowny, mi sono diretto alla Porta di San Floriano proseguendo per ulica Florianska. Tale porta era uno dei punti di accesso alla citta' fortificata ed e' magnificamente conservata, insieme ad uno dei tratti di mura ad essa contingui, che tutt'oggi ancora resistono. Al di la' della porta, immerso nella striscia di verde del Planty che accerchia la Stare miasto, si trova il Barbakan krakowski ('Barbican di Cracovia'). Una fortezza a 7 torrette e 130 feritoie disposte a multipli di sette, in onore all'astronomia che, quando e' stata costruita (durante il '500 o poco prima), andava molto di moda (all'epoca si conoscevano solo 7 pianeti).

Tornando indietro e seguendo le mura mi sono trovato davanti al museo Czartoryski, che mi sarebbe piaciuto tantissimo visitare, visto che all'interno si trova uno dei rarissimi dipinti a olio di Leonardo da Vinci esposti al pubblico, ovvero 'La dama con l'ermellino'. Purtroppo il museo era chiuso per ristrutturazione.

Mi dirigo, quindi, sommessamente verso la trattoria 'da Cesare'. Cesare e' alle prese con la gestione della sua attivita'. Prima di uscire per un giro in citta', lo accompagno allo studio commercialistico dove si serve per sbrigare le faccende fiscali e burocratiche. Lungo il tragitto, passiamo per lo stadio dove gioca la Wisla Cracovia, che insieme al Klub Sportowy Cracovia, sono le due squadre di Cracovia che militano nella massima serie polacca ('Ekstraklasa').

In seguito, ci avviamo verso Kazimierz ('quartiere ebraico') costeggiando la Wisla ('Vistola'), il fiume che si insinua dentro Cracovia e come un serpente si contorce creando delle affascinanti insenature che esaltano determinati punti della citta'.

Non sono rimasto molto colpito da questo quartiere. Parecchio trasandato, anche se e' evidente che c'e' una ripresa in atto delle attivita' commerciali. Parlando con Cesare, sono venuto a sapere che in realta' sono gli Ebrei che si stanno riappropriando di questo angolo di Cracovia. E dalle sue parole traboccava la rabbia per l'atteggiamento deplorevole di questo popolo. Per carita', nessuno vuole dimenticare le umiliazioni subite dagli ebrei nel corso della storia, ma non e' giustificabile questo isolamento che creano. Questo ghettizzarsi non e' assolutamente un modo civile di vivere. E' contrario ad ogni tendenza che il futuro prevede per i rapporti umani.

Facendosi l'ora di pranzo, abbiamo sostato in Plac Nowy, il mercato centrale del quartiere ebraico che oggi ospita dei miseri localini dove si puo' mangiare economicamente, seduti fuori, ai tavoli molto spartani che vengono messi a disposizione.

La pioggia poi ci ha bloccati a Plac Nowy. Siamo entrati quindi in un bar per consumare una birra. Quando il tempo ce l'ha permesso abbiamo ripreso a girare per Kazimierz, passando davanti alle sinagoghe piu' famose e senza mai entrarci, un po' disgustato dal clima che respiravo.

Ci siamo quindi diretti verso la Collina del Wawel. Forse il posto piu' bello di Cracovia. E anche quello piu' emblematico. Percorrendo la salita che porta sulla cima del colle dove si erge il magnifico castello, si scorge il bellissimo panorama della Wisla che solca la citta'. E, abbassando lo sguardo, giu' lungo il costone della collina, si intravede la statua bronzea del drago del Wawel.

Il drago e' una curiosa leggenda che rende la citta' piu' radicata nella sua storia, e lascia un ricordo piu' impresso nel cuore del turista che si predispone per essere incantato dalle meraviglie che si ritrova intorno. Si narra che un tempo un drago, Smok Wawelski, dimorava in una caverna sotto la Collina del Wawel. Il drago soleva mangiare le pecore e terrorizzare le vergini. Fino a quando un giovane astuto e coraggioso, Krak, passato alla storia poi come fondatore di Cracovia, non ebbe la felice idea di farcire una pecora di zolfo e catrame e di sottoporla al palato di Smok, che la mangio'. La digestione fu esplosiva e il drago fu sconfitto per sempre.

Arrivando in cima al colle, ci troviamo subito sulla destra, gli scavi i cui reperti sono conservati nel Lost Wawel. Di fronte si erge maestoso il Castello del Wawel. Proseguendo ci addentriamo nel cortile al cui angolo si associa un'altra affascinante leggenda di questa citta'. Una delle sette pietre sacre che il dio indiano Shiva lancio' sulla Terra, si troverebbe in quell'angolo. E avvininandosi si puo' beneficiare, purche' si abbia la necessaria fede, dell'energia emanata dalla pietra.

Tornando indietro, lungo la discesa dall'altro versante della collina, sulla nostra destra ci troviamo la Cattedrale del Wawel. Non posso desistere dall'entrare, e ammirarne il suo incredibile fascino che non sta tanto nell'impatto visivo, quanto nell'atmosfera surreale che vi si respira dentro. Il luogo e' comunque ricco di fastosi altari e di opere d'arte varie che lo rendono molto interessante da visitare.

Uscendo dalla cattedrale di fronte a me si scorge una statua dedicata a Karol Wojtyla, che da queste parti ha, tra i tanti meriti, anche quello di aver fatto riaprire, prima di diventare papa, il Museo della Cattedrale.

Ci incamminiamo quindi verso la Stare miasto. Attraversiamo ulica Kanonicza, passando davanti al Museo Arcidiocesano, residenza un tempo di Karol Wojtyla, e al Museo Wyspiansky, dove vengono esposte delle preziosissime opere del famoso artista polacco. Quindi ci immettiamo su ulica Grodzka trovandoci subito di fronte a noi la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo.

Attratto dalle statue dei dodici apostoli che sembra facciano la guardia al retrostante luogo sacro, mi sono infilato dentro e' ho potuto ammirare lo splendore celato nella chiesa. La chiesa risale al '600 e lo stile barocco ne e' una testimonianza. Le statue oggi sono delle copie delle originali settecentesche, e sono state messe la' dopo l'affronto che e' stato fatto durante la breve vita della Repubblica di Cracovia, quando la chiesa e' stata ceduta alla Chiesa Greco-Ortodossa.

Continuando su ulica Grodzka, verso il centro, incrociamo ulica Francizckanska, cosi' chiamata perche' passa davanti alla Basilica di Francesco, che noi ammiriamo sulla nostra sinistra. E ammiriamo vividamente le altissime vetrate art nouveau di Wyspiansky. E' stato un vero peccato non averle potuto vedere da vicino, ma data l'ora tarda, la basilica non era accessibile.

Ha quindi inizio la serata mondana. Prima consueto incontro con gli amici di Cesare in un locale all'interno di una corte di cui francamente non ricordo il nome. La mia guida mi ha suggerito a chiare lettere di evitare la birra polacca, in quanto colpevole di forti mal di testa. A dispetto di questo consiglio, ho bevuto un'ottima Okocim, che insieme alla Zywiec, sono le piu' famose birre polacche, a un prezzo che rende ancora piu' piacevole berla: solo 7 zloti (1 zloto e' circa un quarto di euro) per una birra alla spina da mezzo litro.

Al ristorante ci aspettava un bel gruppo eterogeneo e variegato di persone, per una cena in compagnia e che ci ha regalato una esperienza di scambio culturale davvero unico. Al tavolo si e' parlato italiano, polacco, francese e ovviamente inglese, come lingua che consente di comunicare a coloro che non avevano altra alternativa per comunicare.

Terzo giorno

Per tutta la notte la pioggia ha imperversato, e alle prime luci dell'alba del terzo giorno in me si prospettava un rinvio per la visita al Campo di concentramento di Oswiecim (Auschwitz). In tarda mattinata, pero' ha spiovuto e, essendo l'appuntamento per la gita alle Miniere del sale di Wieliczka fissato per le quattro del pomeriggio, ho pensato 'male' di intraprendere una corsa fino alla stazione di Cracovia e salire sul primo autobus per Auschwitz.

Circa settanta chilometri di autobus al costo di 9 zloti. Incredibile. Arrivo verso l'una al Museo di Auschwitz, che e' il campo principale del complesso nazista di Auschwitz. A quell'ora, e fino alle 15, e' previsto l'ingresso al museo solo se accompagnati da una guida a pagamento. L'atmosfera indescrivibile che si respira, mi ha spinto sempre piu' a dare la giusta importanza per questo posto segnato da una delle cicatrici piu' profonde inferte all'umanita', e quindi a visitarlo con il dovuto rispetto e i tempi necessari per rifletterci sopra. Ho visto sempre piu' nitidamente saltare il mio appuntamento del pomeriggio.

Ho preso quindi la navetta per il campo 2 di Auschwitz, ovvero Auschwitz II - Brzezinka (Birkenau), cosi' chiamato per la localita' in cui e' situato. Questo e' stato il campo di sterminio vero e proprio. L'arrivo ti lascia senza respiro. La torretta al di sotto del quale si infilano i binari che non escono da nessun'altra parte, sono un'immagine che rimane impressa a vita. Perche' sai che ha rappresentato il capolinea comune per piu' di un milione di persone e allo stesso tempo il capolinea della follia umana.

Salgo sulla torretta in un'atmosfera surreale. Non si dovrebbe fotografare, come tante altre azioni da non intraprendere, nel rispetto di cio' che il luogo rappresenta. Ma questa e' l'unica mancanza di rispetto che i visitatori si concedono. Anche se devo ammettere che la forma di rispetto fondamentale legata allo scatto di fotografie che mi sembra di aver notato chiaramente mantenuta, e' che nessuno mi e' capitato davanti mentre si faceva immortalare in una foto dentro il campo.

La vista dall'alto lascia senza fiato. Tante baracche di legno dislocate ordinatamente a destra e a sinistra, e conservate perfettamente. Due binari al centro che si biforcano a un certo punto, prima di esaurirsi in fondo al campo, davanti alle lapidi che i vari stati hanno erto, in memoria del genocidio consumato. E, tutto intorno, chilometri di filo spinato.

Dopo la pioggia abbondante della notte, i viali dentro il campo son pregni d'acqua. E specie davanti all'ingresso delle baracche, il passaggio ripetuto di centinaia di turisti, e' causa della formazione di un fango che da' un'idea di quelle che potevano essere le condizioni dei prigionieri.

Dentro si fa in fretta a realizzare che il fango era l'ultimo dei disagi. Si tratta di stalle, originariamente destinate ad ospitare 52 cavalli, e in seguito usate per contenere centinaia di esseri umani. Al centro, delle stufe per riscaldare l'ambiente, anche se non oso immaginare come con il calore emesso potevano mai combattere le decine di gradi sotto zero che attanagliano l'aperta campagna polacca nei mesi piu' freddi dell'anno.

L'altra baracca che ho visto e' quella destinata ai servizi. Constavano di un muretto cavo centrale con dei fori circolari sovrastanti del diametro di circa 20 centimetri, dentro cui i prigionieri facevano i bisogni. Il liquame veniva quindi disperso nel terreno attiguo.

Ho quindi seguito i binari. A meta' della linea ferroviaria che attraversa il campo, c'e' una postazione nei pressi del quale veniva effettuata la selezione. Le persone non idonee ai lavori forzati venivano da la' fatte proseguire, come rimarcano le targhe (che sono diffusamente impiantate in tutto il campo) attraverso descrizioni o, piu' esplicitamente, attraverso foto dell'epoca, fino alla fine dei binari dove, sia sul lato destro che su quello sinistro, si trovavano le camere a gas.

Le camere a gas erano sotterranee e vi si scendeva attraverso delle scale. In un'anticamera, le persone venivano spogliate; poi, in modo del tutto ingannevole, venivano condotte nelle docce che altro non erano che le camere a gas. Strumenti di morte efficentissimi che riuscivano ad ammazzare anche 1500 persone in mezz'ora. Annessi alle camere a gas, c'erano i forni crematori che consentivano ai nazisti di liberarsi dei cadaveri.

Difatti, oggi di questi ultimi impianti rimangono solo le rovine. I tedeschi, infatti, vedendosi incapaci di fermare l'avanzata dell'Armata Rossa alla fine del 1944, cercarono maldestramente di nascondere i propri delitti, distruggendo per prime le camere a gas.

Sono le ore tre del pomeriggio, e non intendo perdermi la visita ad Auschwitz I. In breve mi trovo davanti al cancello con la scritta piu' ipocrita che la storia conosca: 'Arbeit macht frei' ('Il lavoro rende liberi'). E da li' comincio a seguire al contrario il percorso indicato, che attraversa la griglia di vie che definisce il campo.

L'intreccio di quattro vie, ciascuna perfettamente perpendicolare alle altre due attigue, definisce i limiti di un blocco. Ovvero di una unita' abitativa dove alloggiavano i detenuti, ma anche dove avevano sede i vari presidi nazisti e gli uffici politici e amministrativi. Oggi, ogni blocco e' un padiglione che descrive una testimonianza dell'orrore nazista. Parecchi blocchi sono destinati a singoli stati - quelli maggiormente colpiti da questa tragedia, che al loro interno hanno realizzato delle installazioni, protese a ridare ai propri concittadini la dignita' che gli appartiene.

Non ho dubbi che l'installazione che mi ha colpito di piu' e' quella francese. Sono entrato da solo nel blocco 20. Non c'era nessuno. Solo l'audio dei treni che arrivavano ad Auschwitz. Stanchi e lamentosi. E sui muri delle stanze buie proiezioni di filo spinato, di uomini in ginocchio, di scritte minacciose di stampo nazista che si susseguivano in un'atmosfera di angoscia senza fine. E poi, seguendo il percorso guidato, si arrivava in stanze dove la storia echeggiava cosi' realisticamente che avvertivo un nodo alla gola, un vuoto allo stomaco e un battito del cuore che difficilmente ho provato in altre situazioni.

Anche il blocco 21 mi ha colpito, non tanto per l'installazione dell'Italia, quanto per quella dell'Olanda. Pareti piene di nomi di martiri della follia nazista. E poi stanze con foto e lettere che fanno riflettere sull'umanita' di quell'incredibile ammasso di carne e di ossa senza vita che il nazismo e' riuscito a mettere insieme.

Poi c'e' tanto altro da riportare, ma per quanto si possa scrivere, non si riesce a rendere nemmeno lontanamente l'idea di quanto diverso possa essere trovarsi la', e in una ricercata solitudine, ascoltare ogni sensazione che ogni millimetro quadrato di quel posto, suscita.

Come il blocco 11, detto anche 'death block', con le sue tre 'standing cell' ovvero delle celle crudelissime dove gli sfortunati condannati erano costretti a stare per tutto il tempo in piedi. Si usciva solo di giorno, per andare a svolgere le solite 11 ore di lavori forzati. Ogni condannato, in queste condizioni, non resisteva piu' di tre giorni, prima di spegnersi.

E poi le esposizioni di raccolte di oggetti delle vittime del nazismo. Gli occhiali, le spazzole, gli spazzolini da denti, le valigie e - la raccolta piu' macabra - le protesi delle persone menomate che sicuramente sono state subito destinate alle camere a gas.

L'uscita da Auschwitz I e' stata una sensazione di leggerezza riacquisita, ma con una forte consapevolezza di una voglia straripante di dare un senso diverso ad ogni attimo della vita e la forte rabbia interiore che anche se il tempo affievolira', sapra' rinascere per opporsi ad ogni forma di azione mirato a portar via la dignita' di un popolo.

A Cracovia mi attendeva la prima sera veramente asciutta, una temperatura gradevole e uno spiraglio di sole che ha cambiato veramente il volto di questa splendida citta'. Ho approfittato per girare un po' per le vie del centro che, dalle vetrine, sembrano le vie delle nostre citta'.

Poi la solita 'puntatina' in uno dei locali frequentati da Cesare e dai suoi amici, prima di rientrare in trattoria per cenare. Una pizza consumata in una beata solitudine, con delle azzeccatissime canzoni italiane e circondato da tavoli di coppiette, che ho guardato con discrezione e l'occhio della loro felicita', ma senza provare alcuna invidia.

Poi dei clienti 'di spessore' di Cesare, proprietari del 'Tram bar', ci hanno invitato a seguirli nel loro locale. Ho apprezzato tanto la loro compagnia e quella delle loro mogli. Tra una chiacchiera e l'altra, un drink e l'altro, la serata e' scivolata via. E le signore sono rientrate. Noi, invece, abbiamo iniziato il nostro tour notturno che si e' dissolto nelle prime luci dell'alba.

Quarto giorno

In malo modo direi. Sono andato a letto alle 8 e 30 dopo avere aspettato sotto casa di Cesare per qualche ora. Ma due ore di sonno mi sono bastate. La voglia di godermi ogni attimo di questa vacanza era piu' forte della stanchezza e del maltempo.

Pranziamo facendo colazione in un pub irlandese. Dopodiche' ci sediamo come da rituale ai tavoli di un locale del centro dove si beve, si chiacchiera e si continua a bere. Fino al punto in cui arriva l'ora di andare dall'agenzia che organizza le gite alle Miniere del sale di Wieliczka per tentare di riciclare la prenotazione del giorno prima.

Abilmente faccio finta di aver sbagliato giorno, e tutto mi va bene.

Nella mia tirchieria senza limiti, prenoto la gita con la guida in lingua inglese. Per lo piu' le persone del gruppo sono signori piu' grandi di me, ma molto giovanili, almeno nella voglia di visitare, conoscere e scoprire novita'. Wieliczka dista circa trenta chilometri da Cracovia.

Attrezzato come un turista stereotipato, con marsupio a tracolla, guida e fotocamera digitale alla mano, salgo cosi' sul minibus che ci porta a destinazione.

Le Miniere del sale di Wieliczka sono state proclamate nel 1978 patrimonio dell'umanita' dall'UNESCO. E se non ci fossi andato a visitarle non sarei mai riuscito a spiegarmi del perche'.

L'ingresso alle miniere per i turisti si trova dentro una struttura che ha le sembianze di un albergo. Attraverso un ascensore andiamo giu' fino a diverse decine di metri sottoterra. E la' comincia la visita vera e propria delle miniere. Accompagnati da una graziosa e quanto mai professionale guida polacca.

Anche se il tutto e' oltremodo preparato per scopi turistici, non mi sarei mai immaginato che l'uomo sarebbe riuscito a creare questa metropoli sotterranea nelle viscere della terra. E non penso che si tratti solo della necessita' di estrarre una materia prima che - ricordiamolo - per secoli e secoli e' stata di fondamentale importanza se non altro perche' permetteva la conservazione dei cibi. C'e' un rapporto intimo con madre Terra e la voglia di essere un tutt'uno con essa. Un rapporto che arriva ai limiti dell'adorazione.

Ma poi proseguendo viene fuori una smentita forte, dettata dal richiamo continuo alla religione e alla cristianita' che sono principi intrinseci della cultura polacca. Ma via via che proseguiamo nei tunnel mi accorgo che anche il sacrificio dell'uomo sottoterra e' venerato con un rispetto che le moltepli installazioni e le rappresentazioni della vita in miniera, descrivono. E rimarcano la nobilta' dell'animo di chi ha trascorsoo la propria vita dedita al lavoro in miniera.

Proprio parlando con la guida, ho avuto modo di consolidare il messaggio che coglievo man mano che ci spingevamo fino ai 150 metri sotto il livello del suolo. La nobilta' del lavoro dei minatori e la lotta per la democrazia hanno trovato qui la loro vittoria grazie a Lech Walesa, fondatore di Solidarnosc, primo movimento sindacale dell'Est, e di radici cattoliche.

Ma sono altri i nomi che danno lustro a questo luogo, da Nicolo' Copernico a Johann Wolfgang von Goethe. Anche Wolfgang Amadeus Mozart ha una traccia dentro le miniere, almeno per quello che mi riguarda. Uno dei momenti piu' emozionanti e' stato sicuramente l'ascolto della Sinfonia numero 25 nella Sala Weimar. La Sala Weimar e' una grotta alta e con un laghetto al cui interno si puo' percepire l'emozione della musica in un'atmosfera fatata.

Anche se poi la sala per cui queste miniere sono principalmente note e' quella annessa alla 'Cappella di Santa Kinga (Cappella della Santa Croce)'. Seguendo il percorso turistico, ci si arriva dall'alto e, tramite le scale, si scende nella sala che si rivela essere una vera e propria chiesa di dimensioni enormi, ricca di sculture e di bassorilievi fatti di sale. Tra le opere scolpite nella roccia salina che colpiscono di piu', c'e' sicuramente L'ultima cena di Leonardo da Vinci.

Dopo piu' di due ore di piacevoli passeggiate nelle miniere, giungiamo all'ascensore che ci riporta alla luce.

A Cracovia raggiungo Cesare laddove l'avevo lasciato, ma con una compagnia nuova. Insieme passiamo un po' di ore prima di decidere che andare a riposare per recuperare l'energie perdute, poteva essere una scelta moderatamente saggia.

Ultimo giorno

Di buon mattino preparo tutto e, senza svegliare Cesare, mi incammino verso il centro.

Come da rituale l'ultimo giorno e' dedicato allo 'shopping' e ad altre faccendine, come ad esempio la spedizione delle cartoline. Poi faccio una sana e necessaria colazione, prelevo al bancomat non senza qualche problema e infine, respiro profondo. Ho un'ora a disposizione per comprare dei pensierini per le persone piu' care, tenendo anche conto che Ryanair al gate non lascia scampo.

La Madonna nera di Czestochowa che non sono andato a visitare, nonostante il gran desiderio di pregare rivolgendomi a lei davanti alla sua effige, mi ha perdonato. Riesco miracolosamente a concludere il mio giro e a raggiungere l'aeroporto con gran tranquillita' accompagnato dal gran vecchio amico caro, Cesare, a cui sono veramente grato di questi indimenticabili giorni.

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