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Festa mobile

martedì 22 maggio 2012

Quando ho capito che questa era la vera guida per visitare Parigi, mi sono precipitato alla Feltrinelli per prenderne una copia. Non so' se nel recensire questa raccolta di racconti pubblicata in due diverse versioni dopo la morte del suo autore, Ernest Hemingway, riusciro' a fare a meno dell'eccitazione di una serie di tasselli che si legano a questa nuova esperienza di lettura. Ma sicuramente non penso che posso evitare di ringraziare questo autore per le emozioni che mi ha fatto provare nel leggere e rileggere le pagine del libro sia prima che dopo averne visto i luoghi dove molte delle situazioni sono ambientate, che hanno suscitato diverse ma ugualmente forti sensazioni di vivere i racconti dal di dentro.

Tuttavia, ancor prima di queste motivazioni, la lettura e' gia' ampiamente appagante per quanto di nuovo e interessante ha portato nel mio animo. Anche gia' solo leggendo l'incipit.

La versione che ho letto e' l'ultima pubblicata in ordine cronologico, ed e' premessa da Patrick Hemingway, primo figlio dell'autore nato dal suo secondo matrimonio, quello con Pauline Pfeiffer. Mentre e' introdotta dal nipote Sean (figlio di Gregory, secondogenito del matrimonio dell'autore con Pauline Pfeiffer), che ne e' anche curatore.

In particolare, la premessa si sofferma sul significato di festa mobile che Hemingway tira in ballo nella celeberrima frase:

If you are lucky enough to have lived in Paris as a young man, then wherever you go for the rest of your life, it stays with you, for Paris is a moveable feast.

Il concetto di festa mobile infatti, di primo acchito, lascia pensare che Hemingway intenda che Parigi e' una festa, per chi la vive, in ogni suo posto, in ogni situazione, in ogni diverso giorno. In realta', Patrick Hemingway si distingue chiaramente da questa banale interpretazione e associa festa mobile agli appuntamenti che si ripropongono annualmente ma non con cadenza semplicemente individuabile da un preciso giorno del calendario. La Pasqua, ad esempio, e' una festa mobile. E mobili sono tutte le feste che dipendono dalla Pasqua, come la Domenica delle Palme. Una gioia che permane nell'individuo a prescindere dallo spostamento della stessa nello spazio e nel tempo. Come l'amore e la felicita'. Parigi e' cosi', per chi l'ha vissuta secondo i crismi citati da Hemingway nella sua celeberrima frase. La sua posizione, relativamente all'individuo 'abbastanza fortunato' che l'ha vissuta 'come un giovane uomo', non muta il fascino, che verra' portato dentro come una parte di se'.

L'introduzione invece spiega le ragioni di questa edizione speciale, che differisce dalle precedenti. L'opera infatti non e' stata mai pubblicata quando l'autore era in vita, sebbene il materiale c'e' sempre stato tutto. Ed era stato addirittura generato in sovrabbondanza nel perfetto stile dell'autore che amava rifarsi a una vecchia regola che professa:

La qualita' di un libro deve essere giudicata, da parte di chi lo scrive, dall'eccellenza del materiale che elimina.

Tuttavia, come il curatore di questa edizione fa notare, sebbene lo scrittore avesse elencato una lista dei racconti che dovevano prendere parte alla versione definitiva del libro, non e' riuscito mai a scrivere un'introduzione e un capitolo finale che lo avessero soddisfatto. Anche se ci aveva provato. Non riuscendoci probabilmente perche' la malattia e le cure devastanti che gli hanno praticato, avevano gia' divorato le qualita' che ne hanno fatto di lui quello per cui oggi lo ricordiamo. Ed erano ad un passo dal divorare anche la sua vita.

Sean Hemingway spiega la differenza tra questa edizione e la prima, pubblicata nel 1964 a tre anni di distanza della morte del nonno, e curata da Mary Welsh (quarta moglie di Hemingway) e Harry Brague. In questa edizione sono stati inseriti nella sezione principale tutti i capitoli scelti da Hemingway, rispettandone una sua volonta'. Altri racconti invece sono stati inseriti nella sezione 'Altri sketch parigini'. Il curatore di tale edizione fa inoltre notare che lo scrittore ha dato solo il titolo a tre dei racconti presenti nella stesura finale del romanzo (Ford Madox Ford e il discepolo del diavolo, Nascita di una nuova scuola e L'uomo che era marchiato a morte)

Agli altri racconti, Sean Hemingway ha scelto di lasciare il titolo assegnato dai curatori della prima edizione. Tuttavia, rimarca di essersi permesso di ripristinare alcune sezioni in cui Mary Welsh e Harry Brague avevano preferito le citazioni di Hemingway in forma impersonale a quella in prima persona, contrariamente alla scelta definitiva dell'autore.

Il curatore, inoltre, aggiunge una interessante serie di considerazioni sul titolo che avrebbe dovuto avere l'opera. In sostanza, l'autore propose una serie lunga di titoli dei quali quella piu' plausibile e' parsa L'occhio precoce e l'orecchio (Com'era Parigi ai primi tempi). Ma alla fine Mary Welsh decise di adottare il titolo con cui oggi questa opera e' nota, che in lingua originale e' A moveable feast. Dove si noti che di proposito e' stato scelto di usare la deformazione dell'aggettivo 'movable'. Il primo motivo e' la propensione di Hemingway a non elidere l'ultima lettera nel formare l'aggettivo a partire da quei verbi che terminano in 'e'. Il secondo motivo, invece, e' la piacevole assonanza che si ottiene accoppiando i termini 'moveable' e 'feast' che presentano entrambi le occorrenze di 'ae' al loro interno.

E' stato piacevole poi leggere i capitoli di questo romanzo. Tutti in generale. Senz'altro e' stato piacevole leggere il primo dei racconti di questo libro, Un bel Cafe' in Place St-Michel, soprattutto per via del fatto che il tragitto seguito da Hemingway per giungere da casa sua, al numero 74 di rue de Cardinal Lemoine, fino a place St-Michel, e' coinciso con buona parte della 'passeggiata letteraria' nel quartiere latino che ho avuto la fortuna di percorrere. Ma poi, quando sono riuscito ad astrarmi da questa condizione vissuta, sono ancora riuscito a trovarlo irresistibile anche perche' l'autore scrive di se' nelle sue giornate semplici ma che magicamente con le sue parole riesce a rendere cariche di fascino. E non so quanto Parigi c'entri.

In altri capitoli, Hemingway parla ancora di Parigi negli angoli della Rive Gauche e anche fuori, associandola alla sua condizione economica che non sono riuscito a realizzare del tutto, sebbene rimarcata lungamente dentro l'opera. Ma all'infuori di questo, emerge l'occhio attento di una persona che anche nello scorrere della quotidianita' di una nuova e diversa realta' di quella dov'e' nato e cresciuto, riesce a carpire e immortalare determinati aspetti che anche a distanza di decenni, quando lui li descrisse, non sembrano nostalgia ma emozioni vissute e segregate a lungo dentro al cuore.

Oltre questo, Hemingway, si proietta sul racconto di persone conosciute e vissute nel suo soggiorno parigino che va dal 1921 al 1926. E qui emerge, dopo l'occhio, anche la bonta' del suo orecchio. Dell'orecchio della persona che sa ascoltare e sa selezionare le parole dei suoi interlocutori. Come e' pure evidente che l'autore e' senz'altro uno che sa se dire certe parole o non dirle. Forse arrivando ai confini del subdolo e dell'ipocrisia. Che si manifestano quando le sue impressioni vengono riportate in questi racconti. Ma poi, a un certo punto, essendo l'uomo anche risultato delle decisioni di quello che ritiene di controbbattere rapportandosi con gli altri, e quello che decide di tener dentro, data la giovane eta' e anche la buona fede che sgorga dai suo racconti, altro non puo' essere che saggezza precoce.

D'altra parte non sarebbe giusto trarre diverse conclusioni se non si acoltano i dialoghi e non si guardano in faccia i personaggi che Hemingway si e' trovato di fronte in quel periodo. Gertrude Stein, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald e tanti altri, sono tutti personaggi ritratti sotto aspetti incredibilmente umani ma allo stesso tempo oggettivi - quasi in linea con il pensiero impressionista dei quadri di Cezanne che Hemingway ammirava e 'usava' per dare forma alle sue capacita' critiche, che pero' non escludono la possibilita' a chi legge i racconti di queste scene, di farsi un'idea del tutto personale degli stessi personaggi.

A proposito di questa maturazione acquisita dall'osservazione dei quadri impressionisti, c'e' un racconto molto interessante intitolato La fame era un'ottima disciplina, in cui lo scrittore ha finalmente la possibilita' di levarsi di dosso (come in tanti altri racconti di questo libro ha potuto fare) un velo di ingiustificata ma comprensibile vergogna ed esternare le sensazioni che aveva provato a quel tempo. Quando non tornava a casa per pranzo inventandosi la scusa che mangiava fuori con qualcuno. Mentre realmente non c'erano soldi per mangiare e passava le ore del pranzo al museo del Luxemburg a guardare i quadri di Cezanne e ad imparare a coglierne il messaggio. E' bello anche tutto il resto del racconto che lo vede arrivare sino alla libreria Sheakspeare and Company di Sylvia Beach e con lei intrattenere un bel dialogo. E fa percepire il sacrificio e la successiva soddisfazione di quando Sylvia Beach gli consegna la busta con seicento franchi inviatogli dalla rivista tedesca Der querschnitt per cui aveva scritto dei racconti. Come pure fa percepire la ventata di serenita' che, con il giusto atteggiamento, finisce sempre per arrivare, anche dopo momenti estremamente difficili, quando ha modo di sedere alla brasserie Lipp e farsi passare la fame.

Poi ci sono persone qualsiasi a cui Hemingway ha voluto dare spazio dentro questo libro. Forse a voler manifestare le origini umili da cui lui proveniva e l'essere stato uno come tanti. Forse semplicemente perche' le sue capacita' relazionali gli hanno permesso di vedere le qualita' all'infuori del valore che la societa' da' alle persone. E' il caso del cameriere Andre' della Closerie des Lilas, quando Hemingway racconta di una sua uscita con il poeta Evan Shipman nel capitolo Evan Shipman ai Lilas. Un breve passo, ripreso anche in altri punti del romanzo che evidenzia i principi e la dignita' e la lotta circoscritta ma pregna di significato che anche nelle persone, persino piu' anonime, puo' avere un senso.

Molti dei racconti danno spazio al rapporto con Hadley (prima moglie di Hemingway). Un rapporto la cui bellezza chiunque puo' cogliere leggendo le storie, perche' maturato nelle molteplici difficolta' che Hemingway si trova ad affrontare in questo periodo della sua vita. E forse il richiamo a eventi apparentemente insignificanti, ma che, visti con la retrospettivita' dello scrittore, diventano quasi fondamentali per la fine di questa relazione, che aggiunge una nota profondamente malinconica quando lo scrittore si sofferma su essi. Dando cosi' di conseguenza una marcata importanza al rapporto.

Il racconto piu' significativo in questa ottica, diventa Una falsa primavera. La sensazione conscia di fame che Hemingway avverte quando insieme ad Hadley attraversa il ponte al ritorno dal'ippodromo di Auteuil, e la conseguente decisione di andare al prestigiosissimo Michaud per festeggiare la vincita alle corse dei cavalli, rivela poi una verita' inconscia a cui lo stesso scrittore non da' maggior adito:

Fu una cena fantastica da Michaud una volta entrati; ma quando avemmo finito e la fame non era piu' una possibilita', la sensazione che ci era sembrata fame quando eravamo sul ponte era ancora tutta li' quando prendemmo l'autobus per casa nostra. C'era ancora quando entrammo in camera e dopo essere andati al letto e aver fatto l'amore al buio, era sempre li'. Quando mi svegliai con le finestre aperte e il chiaro di luna sui tetti delle grandi case, era li'. Distolsi la faccia dal chiaro di luna riparandola nell'ombra ma non riuscivo a dormire e rimasi sveglio a pensare a questo. Tutti e due ci eravamo svegliati due volte nella notte e mia moglie ora dormiva dolcemente con il chiaro di luna sul viso. Avrei dovuto cercare di risolvere il problema ma mi sentivo troppo stupido. La vita era sembrata cosi' semplice quella mattina quando mi ero svegliato e avevo trovato la falsa primavera e sentito la zampogna dell'uomo con il suo gregge di capre ed ero uscito per comperare il giornale delle corse.
Ma Parigi era una citta' molto vecchia e noi eravamo giovani e li' non c'era niente di facile, neanche la miseria, ne' i soldi improvvisi, ne' il chiaro di luna, ne' la ragione e il torto ne' il respiro di qualcuno sdraiato al tuo fianco al chiaro di luna.

Mi piace notare che nello stesso racconto, Hemingway descrive la situazione vissuta con Hadley davanti al Michaud che e' gremito, e mentre attendono per entrare osservano attraverso i vetri James Joyce con la sua famiglia, seduti al tavolo. Scena oramai famosa e comunque ripresa nel capitolo Sheakspeare and Company. In tale capitolo, il protagonista parla della sua scoperta della biblioteca e libreria di Sylvia Beach, al numero 12 di rue de l'Odeon. Hemingway descrive il suo primo impatto con la biblioteca soffermandosi sulle foto degli scrittori, sia morti che viventi, appese ai muri. E chiede quindi con quale frequenza Joyce si reca in quel posto e da li' il discorso scivola sulla scena del Michaud. In quegli anni Sylvia Beach scrisse a macchina la copia dell'Ulisse di James Joyce da cui segui' la pubblicazione dell'opera.

Festa mobile e' un libro vero e schietto. E penso che non lo lascero' molto spesso fermo nella libreria da fargli prendere tanta polvere e ingiallire. Di tanto in tanto, ci sara' sempre l'esigenza di riprenderlo in mano per cercare qualche episodio che tratti di un personaggio o di una peculiarita' dello scrittore o semplicemente avro' l'esigenza di rivivere Parigi sotto uno dei suoi aspetti piu' affascinanti che me l'hanno fatta conoscere.

Frasi


  • p. 33: "Oramai sapevo che qualsiasi cosa bella o brutta lasciava un vuoto quando finiva. Ma se era brutta il vuoto si riempiva da solo. Se invece era bella potevi riempirlo solo trovando qualcosa di meglio. (Fine di una passione)"
  • p. 38: "Avevo gia' imparato a non esaurire mai il pozzo della mia scrittura; bensi' a fermarmi sempre quando c'era ancora qualcosa nel profondo del pozzo, e lasciare che tornasse a riempirsi di notte dalle sorgenti che lo nutrivano. ("Una generation Perdue")"
  • p. 62: "Dicono che in tutti noi ci sono semi di quello che faremo, ma a me e' sempre sembrato che in quelli che nella vita scherzano siano coperti da un terreno migliore e da un letame di piu' alta qualita'. (Con Pascin al Dome)"
  • p. 68: "Alla fine tutti, o non proprio tutti, tornavano ad essere amici tanto per non essere testardi o permalosi. Lo feci anch'io. Ma non riuscii ad essere piu' amico davvero, ne' con il cuore ne' con la testa. Quando non riesci ad essere piu' amico con la testa e' la cosa peggiore. (Un finale alquanto strano)"
  • p. 109: "...e gia' mi pesava di non aver lavorato e avvertivo la solitudine mortale che ti coglie ogni giorno che e' sprecato nella tua vita. (Scott Fitzgerald)"
  • p. 180: "Ma vi sono remises o magazzini dove puoi lasciare o immagazzinare cose come un baule con serratura o un borsone contenente effetti personali o poesie inedite di Evan Shipman o carte geografiche segnate o anche armi che non c'e' stato il tempo di consegnare alle autorita' competenti e questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima e' stata manomessa e il secondo non esiste (*). (Nada y pues Nada)"

Comments:

(*) Questa frase di questo racconto (Nada y pues Nada), che voleva essere la conclusione di Festa mobile (ma che poi Hemingway stesso ha deciso di omettere, optando per per un romanzo senza un finale), allude probabilmente all'elettroshock subito nella clinica di Mayo, dove era ricoverato per problemi psichici, pochi mesi prima di scrivere il racconto (tra l'1 e il 3 aprile del 1961), e al suo imminente suicidio. E nel dedurre quest'ultimo fatto ci si deve rifare al romanzo Il piccolo principe di Antoine De Saint-Exupery, amico di Hemingway ai tempi della guerra civile in Spagna. Un passaggio tra i piu' importanti del romanzo e', infatti, quello in cui la volpe rivela il suo piu' grande segreto al principe:

<<Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi.>>

Ovvero la necessita' di avere un cuore per vedere l'essenziale, che altrimenti non puo' essere visto. E' affermare che il suo cuore non esiste equivale ad affermare l'inutilita' di vivere che prova. Il definire questo libro come un 'contenitore delle remises della sua memoria e del suo cuore' e' quindi un inno alla potenza dello scrivere, anche essendo consapevole che determinati segreti e le alchimie che li costituiscono, non possono essere riportati nella scrittura.

Posted by Graziano Scappatura on giugno 04, 2012 at 09:26 AM GMT+01:00 #

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