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Midnight in Paris

domenica 25 marzo 2012

Un capolavoro di arguzia e di risate degno di un Woody Allen al pieno della sua maturita', ambientato nella cornice di Parigi, luogo carico di fascino e il cui fascino ha una continuita' storica che il regista riesce a ritrarre nitidamente nella Belle Epoque e negli anni venti, come frutto dell'amore di una vita dedicata all'arte. Ma anche nella Parigi dei giorni nostri, Woody Allen lascia percepire la magicita' dell'ambiente che si respira in svariate situazioni. E' indubbiamente Festa Mobile di Hemingway la principale ispirazione di questo contesto, e nulla di piu' appropriato si poteva addire al tema centrale di questo capolavoro, visto che il concetto di festa mobile e' un marchio per Parigi che difficilmente il tempo riuscira' a sbiadire.

Difatti il tema centrale del film non e' ne' l'arte ne' Parigi, ma e' l'esortazione a vivere il presente e non aggrapparsi al passato. Proprio per questo Festa Mobile di Hemingway, e l'ambiente in cui esso prende forma, risultano ideali a descrivere questo concetto. Tuttavia, e' chiaro anche come la postilla di Woody Allen, recitata nelle scene finali del film e ripresa dalla celebre frase di William Faulkner 'Il passato non e' morto e sepolto. In realta' non e' neppure passato', protesa a completare la prima parte del messaggio, con la precisazione della necessita' di conoscere il passato e di rispettarlo perche' serve per farci prendere coscienza del presente.

A questa contrapposizione o, se vogliamo, complementarieta' di messaggi, che insieme costituiscono quindi il tema centrale del film, ne corrisponde una parallela di ambientazione. Se Parigi degli anni venti rappresenta l'attaccamento al passato, quella dei giorni nostri invece rappresenta il presente e il rispetto per il passato.

E' di una genialita' bizzarra il percorso che solo da Woody Allen poteva prender forma e che il protagonista Gil (interpretato da Owen Wilson, ricalcando per molti aspetti il tipico protagonista di un classico film 'alleniano') traccia per arrivare alla fine a dipingere per intero - e in un modo molto leggero e divertente nonostante sia intriso di richiami storico-artistici, i contorni del cuore del film.

Gil Pender, disincantato sceneggiatore hollywoodiano di discreto successo, non e' soddisfatto della sua carriera e prova a dare una svolta alla sua vita cercando di approdare alla sua aspirazione di diventare uno scrittore. Non c'e' nulla di piu' propizio per perseguire questo obiettivo, che trovarsi a Parigi per un viaggio di piacere con la sua futura sposa Inez, bella donna americana (come lui, ma che a differenza sua non stravede per Parigi) e di estrazione borghese.

Mentre Inez trova l'incontro con l'intellettuale inglese Paul (sua vecchia fiamma dei tempi dell'universita') che si trova a Parigi in compagnia della moglie Carol per tenere una lezione alla Sorbonne, un'occasione per dare una svolta alla carriera di scrittore di Gil, lo stesso Gil rimane stregato da questo posto unico che tanto ha ispirato artisti di un passato irripetibile, al punto di convincersi che e' nato in un'epoca successiva a quella in cui avrebbe dovuto nascere.

Paul, in gita a Versailles con Carol, Inez e Gil, spiega il fenomeno psicologico di 'quelli che pensano che la loro vita sarebbe stata piu' felice se fossero vissuti nel passato':

Paul: Beh! La nostalgia e' negazione. La negazione di un presente infelice.
Inez: Oh, beh! Gil e' un vero romantico. Insomma, lui sarebbe piu' che felice di vivere in un totale stato di perpetua negazione.
Paul: E il nome di questo falso pensiero e' sindrome 'Epoca d'Oro'.
Inez: Touche'!
Paul: Cioe' l'idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, e' difetto dell'immaginario romantico di quelle persone che trovano difficile cavarsela nel presente.

La convinzione di Gil prende ancora piu' corpo notte dopo notte, da quando, girovagando per le caratteristiche vie del centro della citta' alla ricerca dell'ispirazione per la sua attivita' di romanziere, si smarrisce e non riesce a trovare piu' la via dell'albergo. Seduto sulle scale davanti alla chiesa di Saint Etienne du Mont, al rintocco delle campane che segna la sopravvenuta mezzanotte, viene invitato a salire su una Peugeot d'epoca che lo catapulta per incanto nella Parigi degli anni venti.

Nel suo primo viaggio, dentro una festa allietata dalle musiche di Cole Porter che suona al pianoforte, Gil incontra i coniugi Francis Scott e Zelda Fitzgerald, attraverso cui conosce in un crescente e immaginabile stato di incredulita', uno dei suoi scrittori preferiti, Ernest Hemingway. Nulla da ridire sulla fantastica interpretazione di questo personaggio da parte di Corey Stoll e sulla capacita' del regista di cogliere degli aspetti che anche chi lo conosce poco, puo' condividere.

L'atteggiamento di disfida di Hemingway, di fronte a Gil che si presenta come scrittore che gli propone di leggere la bozza del suo primo romanzo, si placa pian piano. Alla fine Hemingway propone addirittura di far leggere la bozza a Gertrude Stein, mandando Gil letteralmente in visibilio.

Gil cerca di portare negli anni venti anche Inez, presentandosi allo stesso posto, in vano, il giorno dopo. Solo dopo che Inez va via visibilmente contrariata, lo scoccare della campana e il successivo arrivo della stessa Peugeot della notte precedente, fanno capire la chiave per essere catapultato indietro nel tempo.

Sulla macchina questa volta Gil trova Hemingway che, dopo una bellissima esposizione sulla relazione tra la paura di morire e amore, lo porta a casa di Gertrude Stein, al numero 27 di rue de Fleurus. Qui, oltre a consegnare il manoscritto, ha modo di conoscere Pablo Picasso e Adriana, sua fantomatica quanto affascinante amante e soggetto di un suo dipinto. In casa, era in corso una accesa discussione in cui Gertrude Stein criticava l'opera di Picasso. Adriana rimane colpita dalle prime righe del romanzo di Gil che a sua volta rimane stregato dalla disegnatrice di moda arrivata a Parigi da Bordeaux che prima di Picasso, aveva gia' amoreggiato con Coco Chanel, Amedeo Modigliani e Braque.

All'indomani, Gil si trova ancora con Inez, Paul e Carol al Musee de l'Orangerie. In questo spettacolare contesto, Paul commenta le Ninfee di Monet prima della scena in cui si sofferma sul quadro di Picasso che la notte prima era stato oggetto di discussione a casa di Gertrude Stein. Un fantastico monologo critico di Gil lascia tutti sbigottiti e la scena e' degna del piu' sottile umorismo 'alleniano'.

Intanto, nella vita parallela che si svolge nelle notti di Gil, qualcosa di tenero sta nascendo con Adriana. Adriana, al pari di Gil, e' legata al suo passato. Ad un'epoca antecedente a quella in cui lei realmente vive. Adriana e' terribilmente attratta dalla Parigi di fine XIX secolo. La Belle Epoque rappresenta per Adriana l'eta' dell'oro. In questa serata Adriana e Gil passeggiano in una romanticissima Parigi ed e' qui che Woody Allen, per bocca dell'attore protagonista, recita un inno al fascino immortale di questa citta':

(In sottofondo, Parlez-moi d'amour di Dana Boule)
Adriana: Ma non riesco mai a decidere se Parigi sia piu' bella di giorno o di notte.
Gil: Ah! Non ci si riesce! Non si puo' scegliere! Ti posso dare un argomento che mette KO sia l'una che l'altra ipotesi. Sai, a volte mi chiedo come possa qualcuno realizzare un libro, un dipinto, una sinfonia, una scultura che competa con una grande citta'. Non ci si riesce! Ci si guarda intorno e ogni... ogni strada, ogni boulevard sono in realta' una speciale forma d'arte. E quando uno pensa che nel gelido, violento, insignificante universo, esiste Parigi, esistono queste luci... Insomma, andiamo! Non succede niente su Giove o su Nettuno, ma da lassu' nello spazio uno puo' vedere queste luci, i caffe', la gente che beve e che canta. Per quanto ne sappiamo, Parigi e' il posto piu' cool dell'universo.

Alla fine di questa passeggiata, Gil, con molta naturalezza, conferma di stare per sposarsi e cio' spinge Adriana ad interrompere bruscamente la serata, giustificandosi di dover rientrare a casa dove c'e' Picasso che la aspetta. La serata pero' riserva altre sorprese. L'incontro con Salvador Dali', Luis Bunuel e Man Ray. Gil racconta il suo grande problema: l'essere innamorato della sua futura moglie e della sua amante. Oltre al vivere in due epoche diverse. Ne viene fuori una fantastica gag per via della corrente surrealista a cui i tre artisti appartengono.

Da notare la seriosita' del 'personaggio Bunuel' nella parte recitata. Lascia pensare a un segno di un rispetto di Woody Allen verso il regista che aveva rifiutato l'invito a prendere parte al cast di (e successivamente anche sminuito) Io e Annie, nella scena della coda al cinema con lo pseudo-intellettuale chiacchierone. Nella sua autobiografia, I miei sospiri estremi, Bunuel, infatti, scrisse:

Allen mi propose di interpretare me stesso in Io e Annie. Mi offrivano trentamila dollari per due giorni di lavoro, ma avrei dovuto restare a New York una settimana. Dopo qualche esitazione, rifiutai. Alla fine e' stato McLuhan a recitare se stesso nell'atrio di un cinematografo. Ho visto il film, ma non mi e' piaciuto per niente.

Sempre piu' sopraffatto dal dissidio d'amore, Gil al mattino seguente si reca di nuovo al museo Rodin (dove era stato gia' insieme a Inez, Paul e Carol) e chiede alla guida (interpretata da Carla Bruni) davanti alla scultura di Rodin se lo scultore fosse stato realmente innamorato della moglie e dell'amante, come lei stessa aveva asserito qualche giorno prima. In tutto questo esterna un dubbio la cui risposta potrebbe essere la soluzione al suo dramma interiore. La possibilita' di amare due persone contemporaneamente, infatti, potrebbe salvare la relazione con Inez e quella con Adriana.

All'appuntamento notturno Gil si trova a casa di Gertrude Stein dove e' in atto una discussione ancora con Picasso ma questa volta perche' Adriana e' fuggita in Africa con Hemingway. Gil ci rimane evidentemente male. Mentre miss Stein spezza (anche se non le riesce bene) la sua delusione, riferendogli il suo giudizio in merito al romanzo:

Allora. Parliamo del tuo libro.
Abbiamo tutti paura della morte
e ci interroghiamo sulla vita.
L'artista ha il dovere di
non arrendersi alla disperazione,
ma di trovare un antidoto
al vuoto dell'esistenza.
Tu hai una voce chiara e toccante.
Non essere cosi' disfattista.

Al mattino seguente Inez e la sua famiglia partono per Mont Saint Michel. Gil, come sempre piu' frequentemente accade, decide di rimanere a Parigi. Alla scena della passeggiata in riva alla Senna, sulla Ile de la Cite, fino ad arrivare sotto Pont Neuf, segue la scena dove Gil va al negozio in cui lavora la bella ragazza francese di nome Gabrielle, al mercato delle pulci di Saint Ouen, e acquista un disco di Cole Porter. Nella scena successiva Gil, girovagando per le tipiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano), trova a sorpresa e compra, il diario di Adriana.

Dalla lettura del diario - tradotto dalla guida del museo Rodin, Gil viene a conoscenza che Adriana e' innamorata di lui e lo preferisce a Picasso ed Hemingway. Inoltre, Adriana manifesta una profonda amarezza per aver appreso che Gil presto sposera' la sua fidanzata Inez. Infine, Adriana confessa di aver sognato di aver ricevuto dei bellissimi orecchini da Gil e di aver fatto dopo l'amore con lui.

Gil, cosciente di cio', quindi prepara tutto per la prossima serata 'anni venti', riciclando degli orecchini di perla di Inez come regalo per Adriana. Ma non va tutto come previsto perche' inaspettatamente Inez e i genitori rientrano a Parigi a causa di un malore accusato dal padre. Inez si accorge subito della mancanza degli orecchini di perla. La madre la incita a denunciare la cameriera. Gil cerca di dissuaderla prendendo le difese della cameriera. Cio' suscita le ire di Inez che risponde con un sarcasmo proprio di Woody Allen:

Tu prendi sempre le parti della servitu', come al solito!
Ecco perche' papa' dice che sei un comunista!

Alla fine Gil trova il modo di placare la situazione di tensione che si era venuta a creare, facendo finta di aver ritrovato gli orecchini mancanti, in bagno, sul lavandino. L'incontro notturno viene rimandato quindi di un giorno. Gil ha cosi' modo di comprare degli orecchini (di pietra di luna, suppongo) da regalare ad Adriana.

A mezzanotte, Gil porta la nuova stesura del suo libro a miss Stein che nel frattempo lo indirizza alla festa di matrimonio di 'uno di quei pazzi pittori surrealisti' dove c'e' anche Adriana che intanto era gia' tornata da un viaggio sul Kilimangiaro - con un improbabile seguito, con Hemingway ed ha nel frattempo anche rotto definitivamente con Picasso. Gil, incontrandola, le chiede un posto piu' intimo dove poter parlare con lei.

Prima di uscire dalla festa, Gil incontra Bunuel e gli da' alcune indicazioni riguardo un suo film. Gil spiega velocemente la trama del film senza dare delucidazioni sul significato. Poi i due si congedano lasciando Bunuel assorto nel tentavivo di afferrare il senso di quello che in futuro sara' una sua grande opera. Si tratta verosimilmente del film L'angelo sterminatore che uscira' nel 1962. Non e' detto che la scena non sia un messaggio ironico per smorzare il rifiuto di Bunuel all'invito di Woody Allen per partecipare al film Io e Annie. Ma, se lo e', e' senz'altro proteso a smorzare i toni, a dimostrazione di una grande stima per un grande maestro di cinematografia.

Fuori, Gil bacia Adriana e le dona degli apprezzatissimi orecchini. Tuttavia, succede che Adriana rivive nella sua realta' in un certo senso quello che Gil vive nella sua. Appare una carrozza d'altri tempi, trainata da cavalli da cui si affaccia una coppia che li invita a salire. Gil e Adriana vengono cosi' trasportati nella Parigi della fine del XIX secolo. La felicita' palpabile di Adriana alla vista del Maxim's di quegli anni, comincia ad aprire gli occhi a Gil. I due si recano quindi al Moulin Rouge dove assistono al balletto sulle musiche del Can-can. Alla fine del quale Adriana intravede Henri de Toulouse-Lautrec solitario al suo tavolo. I due si siedono al tavolo con il famoso pittore impressionista. Subito dopo arrivano Paul Gauguin e Edgar Degas. Sapendo che Adriana e' una disegnatrice di moda, Degas propone di farla conoscere ad un tale Richard (si dovrebbe trattare di Richard Strauss) per disegnare gli abiti di un suo spettacolo teatrale.

Dopo un'esitazione iniziale causata dal fatto che veniva da un'altra epoca, Adriana chiede a Gil di consultarsi privatamente. Gil intanto e' riuscito a farsi un quadro chiaro di quello che stava vivendo, osservando quello che stava succedendo ad Adriana. A rafforzare la sua tesi, intervengono gli atteggiamenti degli artisti impressionisti che sostengono che loro sono delusi dalla generazione attuale e che avrebbero preferito vivere nel Rinascimento e dipingere a fianco a Tiziano e Michelangelo. E aggiunge, spiegando quanto percepito, che sicuramente questi ultimi due si sarebbero trovati meglio ai tempi di Kublai Khan. Gil spiega cosi' ad Adriana che non e' una soluzione scegliere di rimanere nella Parigi della Belle Epoque. Molto probabilmente, una volta ambientata in quell'epoca, avrebbe cominciato ad immaginare che un'altra epoca ancora antecedente sarebbe stata la sua 'epoca d'oro'. Poi conclude con un frase molto signifcativa:

Ecco.. ecco cos'e' il presente! E' un po' insoddisfacente! Perche' la vita e' un po' insoddisfacente...

Ma nemmeno davanti a questa frase pregna di significato, Adriana riesce a percepire il malessere che sta vivendo e rimane ferma sulla decisione di fermarsi nella Parigi di 'fine-ottocento'. Si congeda cosi' da Gil con tenerissimo bacio.

Ritornato negli anni venti, Gil ha il consenso di Gertrude Stein per il suo libro. Miss Stein confessa che anche Hemingway lo ha letto e pensa che sara' un buon romanzo. Tuttavia, riferisce che lui non crede che il finale del libro possa essere realistico. In effetti, il romanzo scritto da Gil e' profondamente autobiografico. Parla del 'negozio nostalgia' (un negozio dove di vendono cimeli) che in qualche modo riflette il suo attaccamento al passato, e il finale lascia intendere che lui non si era realmente accorto del tradimento perpetrato nei suoi confronti da Inez con Paul. Il giudizio (che Gil definisce ironicamente 'negazione') di Hemingway spinge Gil ad aprire gli occhi anche su quest'ultimo aspetto della sua vita e a far confessare Inez.

Il ritorno alla realta' e' quindi segnato dalla fine della relazione tra Gil e Inez. La scena, che si svolge in parte alla presenza dei genitori, si chiude con un'appendice sarcastica, recitata dal padre di Inez:

Salutami Trotsky.

Gil decide di rimanere a Parigi, ma il finale lascia intendere chiaramente che il protagonista e' oramai guarito dalla sindrome che lo portava a fuggire dal suo presente. La bellezza e la sobrieta' di Gabrielle, e il loro passeggiare per Parigi sotto la pioggia ne sono una inequivocabile testimonianza.

Frasi


  • Il problema e' che quando si tratta del suo lavoro, lui non ha rispetto dell'opinione altrui. (Inez)
  • Nessun soggetto e' terribile se la storia e' vera. E se la prosa e' chiara e onesta. E se esprime coraggio e grazia nelle avversita'. (Hemingway)
  • Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte. La vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa. (Hemingway)
  • Guardate come l'ha ritratta! E' grondante di allusioni sessuali. Carnale, di passionalita' bruciante. (...). Ne ha fatto una creatura di Place Pigalle! Una puttana dai vulcanici appetiti. (...) quindi tu la giudichi da petit-bourgeois e la trasformi in un oggetto di piacere. E' piu' una natura morta che un ritratto. (Gertrude Stein)
  • Mio Dio! Con lei le groupie fanno un salto di qualita'! (Gil)
  • Questo sogno di piccola parigina, non e' una festa mobile? (Hemingway)

Dialoghi

Scena al Bricktop's dove Gil si reca insieme ai Fitzgerald, dopo che questi trovano 'noiosa' la festa organizzata per lo scrittore Jean Cocteau, nonostante ad allietare la serata c'e' Cole Porter che suona al pianoforte. In questo locale Gil conosce Hemingway.

Hemingway: Ti fara' diventare pazzo quella donna.
Francis Scott Fitzgerald: E' eccitante. E ha del talento.
Hemingway: Questo mese la scrittura, l'altro mese era qualcos'altro. Tu sei uno scrittore. Ti serve tempo per scrivere, non ti servono queste pagliacciate. Ti sta distruggendo perche' in realta' e' una tua rivale. Non sei d'accordo?
Gil: Io?
Hemingway: Parla perdio! Non credi che il mio amico stia commettendo un tragico errore?
Gil: Ecco, i-i-io no-non conosco i Fitzgerald abbastanza...
Hemingway: Sei uno scrittore, sai osservare, c'hai passato tutta la sera.


Scena della seconda sera in cui Gil sale sulla Peugeot d'epoca per essere catapultato nella Parigi degli anni venti. In questa scena Gil trova in macchina Hemingway,e con lui intrattiene un interessante dialogo sulla paura di morire e l'amore.

Hemingway: Non scrivi mai bene se hai paura di morire. Tu ce l'hai?
Gil: Si', io si'. Direi che forse.. direi che forse e' la mia paura piu' grande.
Hemingway: Beh, e' una cosa che a tutti prima di te e' successa e a tutti succedera'.
Gil: Lo so, lo so...
Hemingway: Hai mai fatto l'amore con una vera meraviglia di donna?
Gil: Beh, ecco, la mia fidanzata e'... parecchio sexy!
Hemingway: E quando fai l'amore con lei, senti una vera e bellissima passione... almeno per quel momento dimentichi la paura della morte?
Gil: No, no... Questo non succede.
Hemingway: Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte; la vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa, e quando un uomo che e' vero e coraggioso, guarda la morte dritta in faccia come certi cacciatori di rinoceronti o come Belmonte che e' davvero coraggioso, e' perche' ama con sufficiente passione da fugare la morte dalla sua mente, finche' lei non ritorna, come fa con tutti. E allora bisogna di nuovo far bene l'amore. Devi pensarci.


Scena al mercatino delle pulci di Saint-Ouen('Marche' aux Puces de Saint-Ouen') in cui Gil e' attratto da un vecchio pezzo di Cole Porter (You do Something to me) che giunge dal negozio dove lavora Gabrielle.

Gabrielle: Le piace Cole Porter?
Gil: Molto, sono un vero fan. Si'... anzi... mi piace pensare di far parte del gruppo di intimi amici di Linda e Cole. Sto scherzando!


Scena al museo dell'Orangerie ('Musee de l'Orangerie') dove Gil si reca in compagnia di Inez, Paul e Carol. Paul fa da cicerone ma Gil non riesce a trattere le sue considerazioni critiche in merito al quadro di Picasso, che aveva maturato la notte precedente a casa di Gertrude Stein, alla presenza del pittore e del suo soggetto (Adriana).

Paul: Ah si'.. Ecco un superbo Picasso. Se non vado errato dipinse questo meraviglioso ritratto della... della sua amante francese, Madeleine Prissou, negli anni venti.
Gil: Ah.. Pa-Pa-Paul, mi vedo costretto a dissentire da te.
Paul: Ah si'?
Inez: Gil, Gil, sta' un po' attento, magari impari qualcosa.
Gil: Si'.. be-be-beh.. se non vado errato, questo fu un tentativo fallito di catturare una giovane francese, di nome Adriana, di Bordeaux che, se gli studi mi assistono, era venuta a Parigi per studiare come costumista teatrale. E sono piu' sicuro che ebbe una storia con Modigliani. E poi Braque. Ed e' li' che Pablo la vide. Picasso. Quello che non ti fa arrivare questo quadro e' l'indefinibilita' della sua bellezza. Era davvero uno schianto.
"
Inez: Ma che ti sei fumato?
Gil: Io non definirei questo quadro 'meraviglioso', e' piu' un'affermazione petit-bourgeois di come in effetti Pablo la vede... la vedeva. Era distratto dal fatto che era un autentico vulcano a letto.


Scena in cui Adriana e Gil passeggiando per le strade del centro di Parigi, notano Zelda Fitzgerald sull'argine della Senna che cerca di togliersi la vita. In questa scena Gil, in tutta naturalezza, fa riferimento all'imminente al suo matrimonio nella vita reale, come pure ad un medicinale ancora non noto negli anni venti (Valium).

Gil: Tieni, prendi questo.
Zelda Fitzgerald: Che cos'e'?
Gil: Un Valium, ti sentirai meglio.
Adriana: Giri con delle medicine?
Gil: No, di solito no, ma da quando sono fidanzato con Inez, ho avuto qualche attacco di panico. Ma sono sicuro che sparira' dopo il matrimonio.
Adriana: Non ho mai sentito parlare del 'Valium'. Che cos'e'?
Gil: E'... e' la pillola del futuro.


Scena del bacio tra Gil e Adriana

Adriana: Cosa stai facendo?
Gil: Non lo so. Ma per un minuto mi sono sentito come se fossi immortale.


Scena finale. Gil, finalmente 'guarito', si stabilisce a Parigi e incontra casualmente Gabrielle che gli confessa di averlo pensato. Lei accetta di essere accompagnata a casa. Ma 'sfortunatamente' inizia a piovere. A Gabrielle piace Parigi con la pioggia, come in verita' (e piu' volte nel corso del film cio' e' stato rimarcato) anche a Gil. Il che lascia presagire ad un'affinita' tra i due che e' sempre mancata tra Gil e Inez.

Gil: OK, sta cominciando a piovere.
Gabrielle: Si'... No... ma e' lo stesso! Non mi dispiace bagnarmi.
Gil: Davvero?
Gabrielle: Si'. In realta', Parigi e' ancora piu' bella con la pioggia.
Gil: Io-io-io.. E' sempre quello che ho detto io. Non potrei essere piu' d'accordo con te.
Gabrielle: Si'
Gil: E' piu' bella...

Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino

mercoledì 01 giugno 2011

Ho scritto questo post non per commentare questo film, che mi sembra molto eloquente nel messaggio che vuole trasmettere, ma per fissare il contesto in cui il tutto si svolge.

Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (Wir Kinder vom Bahnhof Zoo) e' un film di Uli Edel del 1981, tratto dal romanzo Noi i ragazzi dello zoo di Berlino che, a sua volta, e' stato scritto da due giornalisti tedeschi che durante il processo per detenzione di droga e ricettazione intervistarono l'imputata e testimone Christiane Vera Felscherinow. La storia si incentra sulla triste esperienza adolescenziale della giovane Christiane e l'ambiente di degrado morale e sociale in cui e' cresciuta.

Mi era difficile immaginare una Berlino cosi' decadente e miserabile dopo averla visitata anni addietro. Una metropoli in continua trasformazione viva e piena di voglia di rinascere dopo l'oscurantismo degli anni che vanno dalla guerra fredda fino alla caduta del muro, e quelli ancor prima che le hanno cucito addosso l'etichetta indelebile di capitale del Terzo Reich. E ho pensato, fino ad allora, che il male che i Berlinesi avevano potuto patire era tutto e solo quello inflitto direttamente dal vivere queste diverse - e comunque brutte - epoche (*).

In realta', Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino mette in evidenza dei problemi sociali che sono frutto di una societa' resa invalida da decenni pesanti che Berlino in particolare ha attraversato.

Guardando il film, la curiosita' si puo' soffermare a chiedersi quale sia la Berlino dove il degrado della droga e della prostituzione adolescenziale fanno da sfondo alla triste giovinezza di Christiane. La storia risale alla fine degli anni '70 e quindi e' ambientata in una Berlino divisa dal muro. Il fatto che il miserrimo e' sempre qualcosa che va associato al comunismo puo' indurre erroneamente a pensare che ci si trovi a Berlino Est. Tuttavia, molti aspetti escludono che la Berlino ripresa nelle scene del film sia la parte orientale della citta'.

Lo zoo di Berlino a cui si riferisce il titolo del film e' la zona del quartiere di Berlino dove il film e' ambientato. Si tratta del quartiere di Charlottenburg ai cui margini sorge, appunto, il Giardino Zoologico di Berlino (Zoologischer Garten Berlin). Il film si sviluppa, per lunghi tratti, nei pressi della Stazione dello Zoo (Bahnhof Zoo), che e' il nome con cui viene chiamata solitamente la Stazione del Giardino Zoologico di Berlino.

Per rendere piu' chiara la locazione delle scene del film, riporto delle citazioni prese da Wikipedia relative al quartiere Charlottenburg, che un tempo costituiva anche uno dei distretti di Berlino:

Con la divisione della citta' (1949), il distretto di Charlottenburg fu assegnato al settore di occupazione britannico, e quindi a Berlino Ovest.

Il Neuer Westen assunse il ruolo di centro commerciale dei settori occidentali; i negozi e i grandi magazzini del Kurfürstendamm e della Tauentzienstraße divennero simbolo della superiorita' e dell'opulenza del sistema capitalistico occidentale, contrapposto al socialismo di Berlino Est. Anche la costruzione dell'anello autostradale (attuale Stadtring A 100) lungo il tracciato della Ringbahn, molto negativo per l'impatto ambientale, rispondeva all'esigenza di creare una citta' moderna, 'dedicata all'automobile' (Autogerechte Stadt).

Fu la costruzione improvvisa del Muro di Berlino (13 agosto 1961) a segnare l'inizio del declino: i negozi del Ku'Damm, non piu' in concorrenza diretta con il settore orientale, persero smalto; Charlottenburg divenne il centro delle contestazioni studentesche del 1968, spesso violente, dirette principalmente contro l'Amerika-Haus di Hardenbergstraße.

Negli anni ottanta la zona intorno alla stazione Zoo divenne tristemente nota come centro dello spaccio e del consumo di eroina, a cui si aggiungevano la diffusione di fenomeni di piccola criminalita' e prostituzione; l'atmosfera ha ispirato un libro, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, da cui e' stato tratto il noto film.

Il film ha acquisito un notevole valore in piu' dalla presenza di David Bowie. E puo' dar l'aria di quella presenza che non si vorrebbe trovare se si vuole poter sperare che il finale di un film vada nella maniera che uno si augura. Ma la sigla di chiusura del film ha sibilato in me un nuovo elemento di curiosita', ripagata da un testo quanto mai appropriato per un finale come quello del film. La canzone e' una particolare versione del pezzo Heroes, che nella colonna sonora del film e' stata pubblicata con il doppio titolo Heroes/Helden, cantata in inglese, francese e tedesco.

E' un testo di speranza. La speranza che nasce dal coraggio che si fanno i protagonisti del film a superare insieme problemi esistenziali che il mondo adulto ha generato e che ipocritamente ignora, come messaggio per tutti i giovani.

Il falo' delle vanita'

sabato 19 marzo 2011

Su due piedi, mi vengono in mente due film che in qualche modo mi ricordano questo capolavoro: L'avvocato del diavolo, di Taylor Hackford e con Al Pacino, e Una poltrona per due, di John Landis e con Eddie Murphy. Il primo tratta la vanita' sullo sfondo di un'ambientazione thriller, mentre il secondo la presenta in un contesto ironico, per molti fuorviante. Ma non vi e' dubbio che sono tanti altri i film che si rifanno a questa tematica.

Il falo' delle vanita', invece, estremizza la vanita' proliferante nella nostra epoca. L'arroganza e la pontificazione dell'edonismo che si combattono, si abbattono e rinascono senza tregua. E il finale non lascia intedere che ci sia una prospettiva di trovare una via d'uscita da questo circolo vizioso, se non riscoprendo determinati valori.

Il falo' delle vanita' (The Bonfire of Vanities) e' un film di Brian De Palma tratto dall'omonimo romanzo di Tom Wolfe. Il protagonista del film e' un finanziere della New York degli anni '80: il bianco e ricco Sherman McCoy interpretato magnificamente da Tom Hanks. Su un passo falso di questo personaggio oltremodo arrogante e pieno di se', si incentra lo sviluppo del film. Sherman si trova per sbaglio in un quartiere del Bronx insieme alla sua amante Maria Ruskin, interpretata da Melanie Griffith. La loro Mercedes e' avvicinata da due presunti malviventi di colore. Maria, che e' alla guida, in preda al panico, investe uno dei due ragazzi (che si scoprira' dopo essere rimasto in coma). Ignara di tutto, la coppia si dilegua.

Da qui si leva un falo' di vanita' che si alimenta ancor di piu' quando si arriva ad avere dei forti sospetti che il colpevole dell'incidente che ha coinvolto il ragazzo di colore, sia Sherman McCoy. E quest'ultimo diventa una bella torta che in molti vogliono suddividersi. Il procuratore distrettuale interessato al voto dei neri per le prossime elezioni. Il reverendo Bacon che fa leva sulla disparita' tra bianchi e neri per specularci sopra. L'avvocato Fox che vuole denunciare l'ospedale che ha assistito la malcapitata vittima, per negligenza. La madre della vittima che placa il suo dolore quando annusa che beneficera' di buona parte del risarcimento.

E poi, la moglie Sherman che lo lascia e svuota la casa di famiglia. L'amante unicamente interessata all'eredita' del vecchio marito morto di infarto. E, dulcis in fundo, il giornalista Peter Fallow, interpretato da Bruce Willis, che da profestionista sull'orlo del baratro, riesce inaspettatamente a trarne da tutto cio', la pubblicazione di un racconto che lo rende un ricco e famoso scrittore.

Il giorno del giudizio anche la folla dimostra, con la sua fame di giustizialismo, di pretendere un ruolo che puo' trarre dei vantaggi in questo gioco al massacro.

A questo punto e' la Giustizia (impersonata dal giudice Leonard White, interpretato da Morgan Freeman) - intesa come aspetto oggettivo della vita degli uomini - che desta le coscienze di una societa' malata, compresa la giustizia - intesa come organo istituzionale - che anch'essa si e' dimostrata perturbata dalla vanita'. Il film quindi vuol essere un invito a riscoprire i valori della Giustizia perche' in essa e' vista la cura di molti dei nostri mali.

Riporto il discorso finale del giudice Leonard White alla folla scontenta del verdetto, in lingua originale, cosicche' nulla si perda del senso delle parole:

You dare call me a racist! Well, I say to you, you -- a mob who dares to come into these walls -- I say to you, what does it matter ... the color of a man's skin? If witnesses perjure themselves... and a prosecutor, a sworn officer of the court, enlists the perjurers ... and a district attorney throws a man to the mob and lawyers carve up that man for his money... and men of the cloth, men of God take the prime cuts! Now you tell me -- IS THAT JUSTICE?!

I don't hear you!

I'll tell you what justice is not. Justice is not the will of the few and it's not the will of the many. Justice is not politics. Justice is the law. And the law is man's feeble attempt to set down the principles of decency. Decency! And decency is not a deal. Or an angle, or a contract, or a hustle or a campaign or a trick or a bid for sympathy. Decency is not the beast that bays for money, power, dominion, position, votes and blood! Decency is what your mother taught you! Decency is in your bones! Do I make myself clear! Now go
home. Go home now.

Be decent people. Be decent.

Harry a pezzi

giovedì 15 luglio 2010

Sebbene Woody Allen sia uno dei miei attori preferiti, non ho visto poi tanti dei suoi film. Harry a pezzi (Deconstructing Harry) e' uno di quelli che ho visto (al momento, solo una dozzina di volte! :-0) e lo trovo una fotografia di una parte rilevante del suo modo di essere. L'amore per l'arte, l'ossesione del sesso e la sua alta capacita' introspettiva che si esprime al meglio sul lettino di uno psicoanalista, sono - in sintesi - i tre aspetti della sua personalita' su cui verte l'intera commedia.

C'e' il bello, il discutibile e il circospetto. Insomma, c'e' quello che in una persona puo' piacere, ma c'e' anche cio' che va deplorato. Eppure Woody Allen piace ed e' indiscutibilmente un genio dei nostri tempi.

E la sua genialita', piu' che in altri, la trovo espressa in questo film. E non mi scandalizza che questa opera possa essere un'autobiografia. Perche' gli aspetti di una personalita' accomunano tanti e tanti esseri umani dello stesso genere. E le perversioni di Harry - oltre ad essere un messaggio di protesta verso chi lo critica con ipocrisia - non sono altro che degli aspetti umani messi a nudo, con un'ironia propria di Woody Allen, e con una schiettezza che difficilmente si trova non solo nell'ambiente cinematografico, ma anche nella vita di tutti i giorni.

E' il modo di esporre queste inquadrature della sua personalita' che rendono i suoi film un modo unico di descrivere la natura umana. E diventa eccelso quando lo si inquadra in un contesto di contrapposizione alla critica bigotta - specialmente quella ebraica, avversa al suo modo di fare arte.

Il protagonista, Harry Block, e' uno scrittore che ad un certo punto della sua vita si trova a doversi confrontare con la sindrome del 'blocco dello scrittore' ovvero con la paura che lo attanaglia di aver perso la fantasia - strumento alla base del suo lavoro.

Scorrendo il film ci si rende conto che la causa della nevrosi di cui e' preda non e' altro che una conseguenza del particolare modo di essere di Harry. La sua condotta di vita, che trapela tra un atto del film e l'altro, come scene di vita (o di ricordi di vita) quotidiana oppure come scene dei suoi racconti con impronta maldestramente autobiografica, lo porta in un vortice la cui via d'uscita si rivelera' essere la riconciliazione con i personaggi frutto della sua creativita'.

Il film inizia con una scena che racconta le pagine dell'ultimo libro di Harry. Un libro autobiografico sugli intrecci del suo secondo matrimonio con Jane (nel libro Janet) nella casa di campagna del Connecticut. La scena si focalizza sulla sveltina tra Ken, il protagonista, e Leslie (che nella 'vita reale' e' Lucy, sorella di Jane).

La critica afferma che il film ha molti riferimenti alla fine del rapporto di Woody Allen con Mia Farrow - anche se Woody Allen ha sempre ribadito che si tratta di riferimenti casuali. E la casa del Connecticut citata nel film e' uno di questi riferimenti. Mia Farrow, infatti, possiede una casa di campagna nel Connecticut, a cui Woody Allen si e' ispirato per scrivere diversi dei suoi film.

Il film riprende con il ritorno alla 'vita reale'. Lucy, lasciata dal marito che ha avuto la certezza del tradimento della moglie dopo la pubblicazione del libro, raggiunge Harry a casa e comincia una sfuriata nei suoi confronti che mette in evidenza la ricaduta di Harry-uomo ma esaltano l'ascesa di Harry-scrittore, quasi a manifestare la relazione di inversa proporzionalita' che sussiste tra la riuscita nella professione e nella vita privata di un essere umano.

La scena e la sua interpretazione danno luogo a un sorriso soffocato da una stretta al petto, grazie alla veemente interpretazione di Judy Davis e al denso contenuto del rimbrotto di Lucy.

Lucy: Sei andato via due anni fa. Mi hai spezzato il cuore.
Lucy: Hai lasciato tua moglie e me per una 'cagnetta'. Me e Janet!
Harry: Jane. Janet è il personaggio del libro.
Lucy: Ora dopo due anni la tua ultima opera emerge da questa fogna di appartamento!
Lucy: Hai trasformato la nostra sofferenza in oro letterario!
Lucy: Tu causi infelicita'.
Lucy: Usando la tua schifosa alchimia, la trasformi in oro come un negromante!

Ma nel descrivere come Harry venga risucchiato in questo vortice, Woody Allen non tralascia la descrizione di situazioni particolari che caratterizzano questo malessere. La piu' emblematica delle quali e' la scena dell'attore fuori fuoco, interpretato da Robin Williams.

E' una metafora molto fine, che spesso - a riprova di cio' - e' stata richiamata per dare enfasi a situazioni reali. Ad esempio, su 'Il Fatto Quotidiano' di martedi' 29 settembre 2009, l'articolo 'Un partito senza' di Antonio Padellaro scrive: 'In un film di Woody Allen, 'Harry a pezzi', c'e' un regista che non riesce a capire come mai l'attore inquadrato in macchina risulti sempre sfuocato. Ma e' l'attore che non funziona, non la cinepresa. La stessa immagine sbiadita e fuori sincrono la sta dando di se' il PD...'.

E forse in questa scena c'e' la chiave di lettura del film. Lo psicoanalista usa questo aneddoto per spiegare ad Harry che, come l'attore fuori fuoco pretende che la sua famiglia si metta gli occhiali per essere visto come lui vuole, anche Harry 'si aspetta che il mondo si adegui alla stortura che lui e' diventato'.

All'inaspettato riconoscimento della vecchia universita' di Harry, che ha deciso di onorarlo, si contrappone il progressivo sgretolamento della sua vita privata. Finisce la relazione con Fay, sua giovane ammiratrice. Degenera il rapporto con la prima moglie Joan, che non gli affida il figlio Hilly per il giorno della cerimonia all'universita'. E' abbandonato in un primo tempo dall'amico Richard che decide di non accompagnarlo all'evento.

Nonostante tutto, alla fine, per la cerimonia Harry riesce a farsi supportare da Hilly (sottratto all'amica della madre Beth Kramer all'uscita della scuola), da Richard e Cookiee - la prostituta di colore con cui era stato la sera prima e che aveva assoldato per accompagnarlo.

Ma il tragitto in macchina verso l'Adair University si rivela drammatico. L'incontro virtuale con i suoi personaggi che lo rimproverano. La visita a casa della sorella Helen e la lite causata dall'ebraismo morboso di lei e dalla contrapposizione di Harry verso il loro padre. La morte di Richard in macchina. La cerimonia saltata a causa dell'arresto per rapimento, prostitute in auto in possesso di marijuana e possesso di arma da fuoco senza porto d'armi.

Dal carcere Harry viene tirato fuori da Fay e Larry - fresco marito e amico di Harry. Dopo vari dissensi, Harry stremato dalle avversita' accondiscende nel benedire il loro matrimonio.

In un momento di depressione quantomai profonda, tra sogno e realta', spunta il professore Wiggins che lo accompagna alla premiazione che era saltata il giorno prima. Ad attenderlo sul palco l'applauso di tutti i personaggi delle sue opere.

La confessione di Harry a seguito della commozione per l'inaspettata accoglienza, e' il messaggio del film. Imparare a vivere conoscendo se stessi. Accettarsi cosi' come si e' per liberarsi delle nevrosi e vivere meglio.

Harry assume maggiore consapevolezza anche dai messaggi dei propri personaggi:

Per me e' un personaggio interessante. Non funziona bene nella vita ma funziona solo nell'arte.
Questo e' triste, ma anche buffo.
E' ottimo come romanzo. I suoi libri sembrano tristi in superficie.
Mi piace smontarli perche' in fondo sono felici, ma lei non lo sa.

E forse questo rappresenta il segnale che egli finalmente ha imparato a riconoscersi e migliorare attraverso le sue creazioni. E in una serenita' ritrovata, riprende la sua passione di scrivere con un nuovo romanzo nel cui preambolo afferma 'che tutti conosciamo la stessa verita'. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla'.

In un contesto piu' generale, e' il modo in cui viene dosata l'arte nella nostra esistenza, tra professione e vita privata, a determinare le nostre inclinazioni. Tutto sta nel riconoscere l'arte che c'e' in noi, perche' l'arte e' il nostro rifugio ('...Solo la sua prosa era serena. In piu' di un'occasione gli aveva salvato la vita.').

I cento passi

domenica 07 febbraio 2010

Una storia, quella di Peppino Impastato, che mi e' semplicemente piaciuta finche' il film 'I cento passi' e' stata l'unica fonte da cui avevo attinto notizie circa il protagonista.

Una notte d'estate di non molto tempo fa poi, mi e' capitato di seguire per intero una puntata della trasmissione di Rai Educational 'La storia siamo noi' di Giovanni Minoli (Peppino Impastato - Omicidio di mafia). Probabilmente si trattava solo di una ripetizione (visto i decenni che sono trascorsi da quando Peppino Impastato e' stato ammazzato - 9 maggio 1978), ma sono rimasto incollato a seguirla tutta fino alla fine. E piu' la trasmissione andava avanti, piu' riscontravo che il film non e' altro che il racconto della verita', cosi' come Giovanni Minoli l'ha ricostruita nel suo reportage.

Alla fine ero quasi incredulo dalla terribile fedelta' del film di Marco Tullio Giordana, alla realta'. E ancora di piu' non posso credere come una storia di coraggio e di integrita' morale di questo spessore, abbia rischiato di essere sotterrata dalla malvagita' di uomini amorali che hanno nella violenza (in tutte le forme in cui essa puo' essere espressa) l'unico strumento per rapportarsi con i propri simili.

Questo film ha rivelato un aspetto meno conosciuto del cinema, ovvero quello di portare a galla verita' e relegare loro sul gradino della storia che gli spetta. E io penso che I cento passi abbia immortalato nella storia, quell'Italia che giorno dopo giorno sopperisce sotto i colpi bassi della malavita e di chi la favorisce, come quei cittadini che abbassano la testa di fronte a chi alimenta le malvivenze, quell'imprenditoria che si soggiace a logiche di guadagno spregiudicate e quella classe politica che asseconda i bisogni legislativi delle mafie.

Proprio per questo mi prodigo a divulgare questo film: perche' chiunque lo guardi possa realmente carpire che da ognuno di noi puo' partire un segnale di risveglio per ritrovare quei valori che appartengono ad una societa' civile, come dovrebbe essere quella del Sud e dell'Italia in generale.

La trama racconta di un personaggio che da' un senso alla propria vita perseguendo, senza mai smettere un solo secondo, valori che si sono delineati sempre in modo piu' chiaro a partire da una serie di esperienze che si sono verificate nella sua infanzia. E da questo si evince un aspetto piu' sottile che astrae l'invito alla denuncia che e' evidente per tutto il film. Ovvero quello di dare una sferzata alla propria vita senza viverla passivamente. Coltivare dei valori degni della vera natura dell'essere umano e lottare affinche' questi possano crescere e dare fascino alla vita della persona.

Si tratta di Peppino Impastato, ottimamente interpretato da Luigi Lo Cascio, che vive a Cinisi, a soli 'cento passi' dalla casa del boss del paese, Tano Badalamenti.

La storia di Peppino Impastato insegna che cio' puo' accadere anche se si ha la sfortuna di crecere in un ambiente ostile come quello della Sicilia degli anni '60-'70. Anche se non prescinde dalla presenza di persone cardine per la crescita nell'individuo. E non esclude che tra queste possono esserci persone che hanno valori lontani da quelli a cui ogni uomo dovrebbe aspirare.

Tra i primi, non puo' non saltare all'occhio la presenza costante e mai oppressiva di Felicia Bartolotta Impastato, mamma di Peppino, e quella del pittore comunista Stefano Venuti. Entrambi hanno permesso a Peppino di trovare i capisaldi attorno al quale la sua vita si sarebbe poi imperiniata. Tra i secondi, il film sembra annoverare lo zio capomafia Cesare Manzella e il padre Luigi. Ma e' proprio l'omicidio mafioso dello zio (ucciso in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo nel 1963) che scuote la giovane coscienza di Peppino. Ed e' proprio la completa sudditanza del padre nei confronti di Tano Badalamenti e delle professate culture mafiose che pervadono l'ambiente, che lo motivano e lo portano ad affinare quei valori di legalita' per cui oggi lo ricordiamo.

La corruzione dello Stato, rappresentato dalle forze dell'ordine che palesemente deviano le indagini verso piste per nulla plausibili, e' l'aspetto piu' triste, che da' meno forza al messaggio che il resto del film trasmette. Ma e' controbilanciato dalla partecipazione spontanea di numerosi giovani ai funerali di Peppino, che rida' tono al messaggio di speranza mai morta, e che oggi puo' ancora crescere grazie a storie come questa.

Riporto di seguito una delle scene che preferisco (La recitazione da parte di Peppino bambino de L'infinito di Giacomo Leopardi, ad un pranzo in onore dei parenti americani tornati in Sicilia).

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