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Installazione di Android Kitkat 4.4.4 su HTC HD2

mercoledì 12 novembre 2014

HTC HD2 (noto anche come 'HTC LEO') e' uno vecchio modello di smartphone prodotto da HTC che ha fatto la storia della categoria. La fama di questo telefono e' essenzialmente dovuta all'interesse che gli e' stato dato da un numero sempre maggiore di sviluppatori e dai risultati che si sono riusciti a raggiungere lavorando intorno a questo prodotto. A proposito di questo telefono leggendario, sui vari blog si sono scritte anche frasi come 'They just don't make devices like that anymore', che non e' facile da negare.

HTC ha commercializzato diverse versioni di questo telefono a partire dal novembre del 2009. La versione considerata dentro questo articolo e' la versione distribuita dal carrier di telefonia mobile americano T-Mobile (HTC HD2 T-Mobile).

Le principali caratteristiche (utili nell'ottica della presente argomentazione) di HTC HD2 T-Mobile sono:

- il processore Qualcomm Snapdragon QSD8250 @1GHz ('downclockato' di default @768Mhz);
- la memoria ROM da 1GB;
- la memoria RAM da 576MB;
- la memoria esterna costituita da una microSD da 16GB;

Inoltre, nativamente, HTC HD2 viene venduto con il sistema operativo Windows Mobile 6.5 Professional.

Tra i primi risultati ottenuti dall'interesse che questo telefono ha attratto, e' la possibilita' di installare diversi sistemi operativi (OS). In particolare, e' possibile installare le diverse versioni di Android, OS originariamente sviluppato per smartphone e, ancor prima, progetto che tra i primi collaboratori vede anche Nick Sears (vicepresidente di T-Mobile).

Tutto parte dalla progettazione di un sistema che permette di caricare Android nella ROM del telefono (che essenzialmente e' una flash memory - ovvero un dispositivo di memorizzazione 'a sola lettura', ma piu' volte riscrivibile, di tipo NAND (e per questo chiamata semplicemente 'NAND'). ll software ('firmware') che carica l'OS nella ROM e' il 'bootloader'. Il bootloader, che ha avuto maggior successo in tal senso e che e' quello trattato in questo articolo, e' MAGLDR, sviluppato da Cotulla e dal gruppo di lavoro Dark Force Team (DTF).

Nella mia personale esperienza, mi sono trovato del tutto insoddisfatto dell'uso del telefono con il software nativo e, successivamente, con l'installazione di Windows Phone 7. Ecco perche' mi sono cimentato quindi nella possiblilita' di installare un OS Android per cogliere le differenze e magari trarne i benefici di un uso del telefono piu' proficuo nel senso dell'utilita' che la tecnologia oggigiorno puo' garantire.

Dopo un po' di ricerche iniziali, ho trovato tutto estremamente piu' semplice cominciando ad installare diverse versioni di Android KitKat, seguendo passo passo un semplice ma quanto mai interessante tutorial:

Prima di andare nel dettaglio della procedura di installazione che e' la finalita' di questo post, viene riepilogato di seguito l'elenco dei software necessari e l'eventuale breve descrizione di quello che fa, e di come viene utilizzato ciascuno dei software.

- SDFormatter. Software usato per formattare la microSD usata per estendere la memoria dell'HTC HD2.
- MiniTool Partition Wizard Home Edition. Software usato per la gestione delle partizioni di un disco. Supporta i principali tipi di file system.
- HD2 Toolkit. Software utile per l'installazione del bootloader MAGLDR e che semplifica altre operazioni altrimenti complesse attaverso un pannello di controllo.

Naturalmente, e' fondamentale disporre del firmware Android da installare sull'HTC HD2.

Prima di citare questa ulteriore risorsa, e' utile spendere qualche parola sulla terminologia usata a riguardo. Originariamente, ogni semplice dispositivo elettronico era dotato di un processore al cui interno era codificato un software su memorie 'a sola lettura' (ovvero ROM). Tali tipologie di software sono meglio note come 'software emebedded' e ancor di piu' come 'firmware'. Per via del fatto che risiedono su ROM, si e' cominciato a far riferimento a questa categoria di software come 'ROM'. Mentre l'attivita' di copiare il software sulla ROM viene descritta con una frase direttamente importata dal gergo americano 'flashare la ROM'. Ecco, e' proprio per questo che per installare Android su HTC HD2 e' necessario dotarsi di una ROM di Android. Diremo quindi che, seguendo questo post, procederemo a flashare una ROM su HTC HD2.

La ROM di Android che andremo a considerare e' ovviamente una ROM per HTC HD2. A sviluppare le ROM di Android per HTC HD2 che prendiamo in considerazione e' la CyanogenMod community. La CyanogenMod community e' una rete di volontari e entusiasti di Android di tutto il mondo che sviluppano Android per diversi dispositivi smartphone nuovi e vecchi (cosidetti 'legacy phone' come quando si fa riferimento ad HTC HD2).

Fatta questa leggera digressione sulla terminologia, e' possibile elencare l'ultimo e fondamentale software necessario ai fini di questo post:

- NexusHD2-KitKat-CM11.0. La ROM CyanogenMod 11.0 per HTC HD2 (tali ROM sono appunto identificate come 'NexusHD2') basata su Android 'KitKat' 4.4.4.

Disponendo del software elencato, installato su un PC (A parte della ROM che deve essere semplicemente scaricata sul PC) e di un cavo USB con attacco microUSB per collegarlo all'HTC HD2, si puo' procedere eseguendo i passi elencati:

PASSO 1. Formattazione microSD (SDFormatter). Formattare la microSD come un'unica partizione NTFS.

PASSO 2. Partizionamento microSD (MiniTool). Creare una partizione primaria di tipo FAT32 da 11GB, in modo da lasciare 4GB per creare una partizione primaria di tipo EXT4 da 4GB.

PASSO 3. Copia ROM Copiare la ROM Android scaricata sul PC, sulla scheda microSD, nella partizione di tipo FAT32.

Prima di andare avanti con l'installazione, e' necessario dare qualche chiarimento sul concetto di 'bootloader'. Il bootloader e' il primo pezzo di software che viene eseguito in un dispositivo hardware, con il compito di avviare il dispositivo hardware e di caricare il OS. Data l'essenzialita' di questo software, esso risiede nella ROM.
In un dispositivo Android, il bootloader permette tipicamente di decidere se avviare il OS oppure la 'recovery' (che e' una modalita' che consente di fare diverse operazioni, come l'aggiornamento del software, la cancellazione dei dati di una partizione oppure l'esecuzione di programmi che possono risiedere sulla microSD). Il bootloader dell'HTC HD2 include due componenti: IPL (Initial Program Loader) e SPL (Secondary Program Loader). L'IPL e' molto simile al BIOS nei PC ed e' molto legato all'hardware per cui e' progettato. Essenzialmente, serve per caricare l'SPL nella RAM per essere eseguita. La funzionalita' dell'SPL e' quella di consentire di caricare l'OS o - appunto come si diceva sopra - di avviare la modalita' recovery. Nel caso del bootloader 'di fabbrica', nell'SPL e' codificato il 'Carrier ID' ('CID') che permette che l'unico OS che puo' essere flashato per l'esecuzione e' quello con un corretto 'ID' (quello del carrier, appunto), oltre al controllo della verifica della firma della ROM.
Per l'HTC HD2, questa restrizione viene superata con l'installazione del bootloader MAGLDR, che difatti sostituisce l'SPL con HSPL.
MAGLDR, come si avra' modo di vedere quando sara' tutto prondo per l'installazione di Android, permette diverse possibilita' di installazione:

- NAND (Installazione dell'OS completamente sulla NAND del dispositivo)
- NativeSD (Installazione dell'OS completamente sulla microSD collegata al dispositivo)
- NAND with DataOnEXT (Installazione dell'OS sulla NAND del dispositivo, con alcune partizioni su microSD)

L'installazione che verra' seguita' in questo tutorial e' ovviamente la prima.

PASSO 4. Installazione bootloader.


  • Avviare lo smartphone in modalita' 'bootloader', tenendo schiacciato il tasto 'volume DOWN'. Lo schermo di questa modalita' e' multicolore. Uno smartphone (HTC HD2 T-Mobile) su cui non e' mai installato un OS diverso da quello con cui viene venduto (Windows Mobile 6.5), dovrebbe riportare che la dicitura SPL a indicare che il bootloader e' quello rilasciato dal carrier. Normalmente

  • Collegare lo smartphone con un apposito cavo USB al computer .

  • Avviare HD2 Toolkit installato sul computer.

  • Installare HSPL, cliccando sul bottone 'Install HSPL' del pannello dell'applicazione HD2 Toolkit (Lo smartphone si riavviera' e sara' necessario premere il tasto 'volume DOWN' per avviarlo ancora in modalita' 'bootloader').

  • Effettuare il 'wipe' del dispositivo (ovvero la cancellazione delle informazioni dall dispositivo), cliccando sull'apposito bottone del pannello dell'applicazione HD2 Toolkit (Ancora una volta il telefono va riavviato in modalita' 'bootloader').

  • Installare il bootloader MAGLDR, cliccando sul bottone 'Install MAGLDR' del pannello dell'applicazione HD2 Toolkit.

Dopo l'installazione di MAGLDR, il telefono avviera' MAGLDR e apparira' il menu relativo.

PASSO 5. Dimensionamento del file system del MAGLDR.


  • Dal pannello dell'applicazione HD2 Toolkit, scegliere dimensione della partizione 'system' (320MB) e lasciare invariata la dimensione della 'cache' (45 MB).

  • Con il tasto 'volume DOWN' selezionare la voce 5 ('USB flasher') e premere quindi il tasto dello smartphone con la cornetta rossa.

  • Lasciare completare l'operazione. Alla fine dell'operazione, il telefono si riavviera' riproponendo il menu MAGLDR.

E' possibile adesso staccare lo smartphone dal PC e inserire la scheda microSD nell'apposito alloggiamento dello smartphone.

PASSO 6. Installazione della ROM.


  • Dal menu MAGLDR selezionare la voce 8 ('AD Recovery') e premere quindi il tasto dello smartphone con la cornetta rossa. Si avviera' il menu della recovery.

  • Dal menu della recovery scegliere la voce 'Install zip from SD Card' muovendosi con i tasti 'volume UP' e 'volume DOWN'.

  • Dal nuovo menu che si aprira', ancora muovendosi con i tasti 'volume UP' e 'volume DOWN', spostarsi e selezionare la voce 'choose zip from sdcard'.

  • Selezionare l'unica ROM proposta (quella caricata sulla microSD al PASSO 3 e confermare anche la richiesta di voler installare la ROM selezionata.

  • Cliccare come indicato per continuare l'installazione, secondo il partizionamento del sistema proposto. (*)

  • Nella schermata successiva ci verra' proposto la tipologia di installazione che vorremo seguire (come sopra elencato). Sceglieremo il radio box 'NAND' e proseguiremo.

  • Alla schermata successiva scegliere 'full install' e l'installazione da questo punto proseguira' da sola.

  • Durera' qualche minuto. Alla fine verra' chiesto il riavvio. E' questo il primo avvio del nuovo OS installato.

  • Si presenteranno alcune richieste necessarie per configurare il telefono, tra cui i parametri di accesso alla rete e l'accesso ad un 'account Google' per permettere l'installazione delle 'app'.

Da questo punto si potra' godere a pieno delle funzionalita' di un sistema Android.

Un importante accorgimento da seguire e' quello di fare un backup dal menu della recovery, di tanto in tanto.

Angeli e demoni

sabato 19 gennaio 2013

Angeli e Demoni, come Il Codice Da Vinci, e' un romanzo thriller di Dan Brown. Anche Angeli e Demoni ha come protagonista il professore americano di simbologia religiosa presso l'Universita' di Harvard, Robert Langdon. Ma sono le storie raccontate sono del tutto slegate e non e' necessario seguire un ordine cronologico nella lettura dei due libri. Tant'e' vero che, sebbene Il Codice Da Vinci sia stato pubblicato per primo in Italia, e', tra i due, il romanzo piu' recente. Angeli e Demoni, nonostante sia stato pubblicato in America nel 2000, e' stato pubblicato in Italia solo nel novembre del 2004.

Il mio ordine di lettura e' stato quello della pubblicazione dei due romanzi in Italia. E non di certo perche' sono stato la' ad aspettare con la bava alla bocca che i due romanzi venissero pubblicati dalla casa editrice per legerli in tutta fretta! Come al solito c'ho messo del tempo prima di leggerli. Ho letto per primo Il Codice da Vinci perche' il titolo e i temi trattati mi hanno incuriosito e interessato di piu'. La soddisfazione del libro nel complesso mi ha spinto in tutta fretta a leggere anche Angeli e Demoni.

Se devo dire la verita' fino in fondo, sono stato ancora piu' preso a leggere Angeli e Demoni. La lettura di questo ulteriore romanzo di Dan Brown e' stata una conferma che e' un abile romanziere con delle spiccate qualita' fantastiche e con una spiccata tendenza alla suspance che rendono i suoi libri piacevoli da leggere e allo stesso tempo richiedono la predisposizione del lettore ad essere pronto che qualcosa di inaspettato si verifichera' nei successivi paragrafi.

Gia' dall'inizio, sono stato attratto dall'ambientazione nel CERN (European Organization for Nuclear Research) di Ginevra e dal pensiero del contributo che questo ente ha garantito all'umanita'. E' bastato solo un accenno a farmi tornare in mente che nei laboratori del CERN e' stato implementato il WWW, che e' l'acronimo di World Wide Web ('Ragnatela Ampia come il Mondo') ovvero il servizio prevalente dell'Internet usato per lo scambio di ipertesti, per opera di Tim Berners Lee.

La storia comunque fa presto a discostarsi notevolmente dalla realta'. Ed e' forse questo l'aspetto piu' evidente che distingue questo romanzo da Il Codice Da Vinci. Mentre quest'ultimo fa' parecchio riferimento a ipotesi documentate (anche se nella maggior parte dei casi, mai provate), Angeli e Demoni ha solo per determinati aspetti, riflessi di cio' che e' noto. Per il resto e' una storia che altro non puo' essere che puro frutto della fantasia di Dan Brown (e dei suoi collaboratori che hanno contribuito alla scrittura del romanzo).

Al CERN viene trovato il primo indizio della fantomatica setta degli Illuminati . Infatti, il direttore del CERN Maximilian Kohler (noto nell'ambiente con il soprannome 'der Konig' ovvero 'il re'), accerta che il cadavere del sacerdote-scienziato Leonardo Vetra, e' stato marchiato a fuoco con l'ambigramma della parola 'Illuminati'. Entra in gioco quindi il professor Langdon e in poco tempo, alla presenza della scienziata Vittoria Vetra, figlia di Leonardo e sua stretta collaboratrice nella ricerca che ha portato all'isolamento dell'antimateria, viene constatato che il campione piu' grande di antimateria e' stato trafugato dallo studio di Leonardo Vetra. Il ladro-assassino si e' servito dell'occhio estirpato dalla vittima per entrare nel laboratorio, il cui accesso era consentito solo ai due ricercatori tramite una tecnica di autorizzazione basata sulla scansione della retina.

In pratica, Vittoria racconta a Kohler e a Langdon che, dallo scontro di due particelle appartenenti a due separati fasci ultrasottili di luce fatti viaggiare in direzioni opposte ad altissime velocita' nell'acceleratore di particelle, l'LHC (Large Hadron Collider), del CERN, e dalla successiva compenetrazione con la concentrazione di tutta la loro energia in un singolo punto, Leonardo Vetra era riuscito a osservare che venivano generate dal nulla delle particelle di materia. In particolare, vi erano due tipi di materia: uno era della materia comune e l'altro era il suo contrario ovvero l'antimateria. Difatti questo esperimento, che riproduceva in se' il Big Bang, avrebbe avuto delle pesanti implicazioni morali in quanto sarebbe una dimostrazione che c'era un processo che avrebbe potuto dar luce all'universo, dando cosi' una giustificazione scientifica alla Genesi. E la materia e l'antimateria in questo quadro non potevano che completare il disegno di Dio che per ogni cosa creo' il suo contrario.

Leonardo Vetra riusci' a isolare un considerevole quantitativo di antimateria in dei cilindri ideati da Vittoria, all'interno del quale le particelle venivano tenute sospese nel vuoto da un campo magnetico generato da pile con autonomia di ventiquattro ore. In mancanza di questo campo magnetico le particelle - altamente instabili - sarebbero venute a contatto con le pareti del cilindro - fatte di materia, generando una reazione di annichilazione che avrebbe prodotto un quantitativo di energia molto elevata, in proporzione molto superiore a quella generata dall'esplosione di una bomba atomica. E questo e' un altro aspetto del lavoro dei due ricercatori. Il loro esperimento avrebbe potuto garantire all'umanita' la generazione di quantitativi di energia immensi, senza produrre scorie. Anzi, addirittura anche le scorie radioattive presenti sul nostro pianeta avrebbero potuto essere smaltite mettendole a contatto con l'antimateria, oltretuttto procucendo nuova energia pulita.

Poco dopo la scoperta della scomparsa, Kohler riceve una chiamata dal Vaticano. Il comandante Olivetti, capo della Guardia Svizzera, lo invita a presentarsi immediatamente a Roma dove la telecamera wireless numero 86 del sistema di sorveglianza della Citta' del Vaticano e' stata spostata da qualcuno, nascosta all'interno dello stesso Stato Pontificio e fatta puntare su un cilindro sospetto. Kohler, in balia dei suo problemi fisici delega Vittoria e Robert a presiedere l'appuntamento. Il cilindro era chiaramente quello contenente l'antimateria sottratto al CERN e il display a LED in esso incastonato riportava implacabile il conto alla rovescia dell'autonomia delle pile che alimentavano il campo magnetico. A mezzanotte in punto il cilindro sarebbe rovinosamente esploso se non fosse stato riportato nella base del CERN dove avrebbe potuto continuare ad essere alimentato.

La Chiesa intanto stava vivendo un periodo particolare. Era in programma il conclave da cui sarebbe venuto fuori il nuovo pontefice. Il vecchio, infatti, era morto di ictus pochi giorni prima. I cardinali si stavano quindi per riunire nella Cappella Sistina, e i media e le folle di curiosi stavano per popolare Piazza San Pietro per l'occasione.

Il comandante Olivetti, tende ad ignorare il pericolo dell'ordigno segnalato da Robert e Vittoria. Ma i due riescono in modo rocambolesco ad arrivare davanti al camerlengo Ventresca, che durante la Sede Vacante assolve molte delle funzioni del pontefice e che risulta subito molto sensibile al problema. La sensibilita' diventa convinzione quando telefona una persona che si identifica come appartenente alla setta degli Hashashin ('setta degli Assassini') e che lucidamente rivendica tutto cio' che avverra' da li' a poche ore. Non prima aver accusato la Chiesa degli orrori commessi nel passato ovvero l'Inquisizione, le crociate, lo sterminio dei Templari e la Purga.

La Purga, appunto, e' da sola il motivo di tutto quanto stava per succedere quella notte. Al pari della Chiesa, che nel 1668 aveva sacrificato quattro scienziati appartenenti alla setta degli Illuminati, marchiandoli a fuoco ed esponendoli in altrettante piazze di Roma come monito per gli altri scienziati a non entrare a prender parte di questa setta, gli Illuminati, adesso, per mano della setta degli Assassini, avrebbero ucciso il cardinale Lamasse' di Parigi, Il cardinale Guidera di Barcellona, il cardinale Ebner di Francoforte e il cardinale Baggia, che gia' avevano sequestrato.

Gli omicidi sarebbero avvenuti uno ogni ora a partire dalle 20. Ciascun cardinale, inoltre, prima di essere ucciso sarebbe stato marchiato a fuoco e il suo corpo esposto in una diversa chiesa di Roma. Langdon ricostruisce subito che i marchi usati saranno i rimanenti quattro dei cinque in mano alla setta. Inoltre l'assasino fa riferimento a quelli che da li' a breve saranno i nuovi martiri della Chiesa, come 'agnelli immolati sull'altare della scienza'. L'assassino ricorda quindi che a mezzanotte l'ordigno sarebbe esploso e la Citta' del Vaticano sarebbe stata per sempre distrutta e con essa la Chiesa. Sebbene Ventresca tenta strenuamente di rivendicare che la Chiesa non si fonda sui soldi, l'assassino ricorda che nel Vaticano e' custodito un tesoro stimato sui 48,5 miliardi di dollari e che la Chiesa l'anno prima aveva elargito alcune centinaia di milioni di dollari per tenere viva la fede cattolica nel mondo. Per cui difatti la distruzione del Vaticano sarebbe equivalsa alla distruzione della Chiesa.

Ventresca dimostra in questo momento grande responsabilita' e prende in mano la gestione della crisi, dando fiducia al professore, al punto di autorizzare il suo accesso all'Archivio Segreto Vaticano, che aveva a sua volta spiegato che al suo interno avrebbe potuto trovare delle informazioni fondamentali per capire dove i cardinali sarebbero stati uccisi. Langdon aveva capito che l''altare della scienza' a cui aveva fatto poco prima riferimento l'assassino altro non poteva essere una tappa del Cammino dell'Illuminazione. Il Cammino dell'Illuminazione era un sistema ideato dai galileani per proteggersi dalle minacce della Chiesa.

Per dare accesso alla setta, in sostanza, uno scienziato arrivato a Roma doveva dimostrare di esser degno di potervi appartenere seguendo tale cammino che alla fine l'avrebbe condotto alla Chiesa dell'Illuminazione. Il cammino era indicato in maniera offuscata per le strade della citta' ed era segnato da quattro tappe fondamentali, gli Altari della Scienza, ognuno dei quali era associato a uno degli allora 'quattro elementi della scienza' ovvero Earth(Terra), Air (Aria), Fire (Fuoco) e Water (Acqua). Infine, i marchi usati non potevano che essere quelli che rappresentavano gli ambigrammi di ciascun elemento della scienza, la cui notorieta' risaliva alle origini del movimento.

Negli archivi del Vaticano, Langdon, quindi, ritiene di doverci andare per scoprire quali sono gli Altari della Scienza. Proprio come un qualunque altro scienziato del tempo che voleva entrare a far parte della setta, Langdon aveva bisogno dell'informazione iniziale. Tale informazione doveva essere divulgata e allo stesso tempo doveva essere compresa solo dagli attori a cui realmente era destinata, ovvero gli adepti che si apprestavano a entrare nella setta. Nel caso specifico questa informazione e' il numero 503 che in numeri romani si scrive DIII. Tale codice andava interpretato come i codici DI, DII, e DIII dei tre scritti maggiori di Galieleo: Dialoghi, Discorsi e Diagrammi. Langdon aveva la quasi certezza che nei Diagrammi sarebbe stato indicato il primo Altare della Scienza.

Con molto stupore i due alla fine trovano sui quattro lati di una pagina dello scritto, la seguente quartina attribuita allo scrittore inglese, anch'esso Illuminato, John Milton:

From Santi's earthly tomb with demons hole,
'Cross Rome the mystic elements unfold.
The path of light is laid, the sacred test,
Let angels guide you on your lofty quest.

Erroneamente Langdon pensa che la 'prima tappa dell'Illuminazione' sia il Pantheon. In realta', quando e' oramai troppo tardi, scopre che e' la chiesa di Santa Maria del Popolo. Ad indurre il professore in errore ci sono diversi fattori. In primo luogo, la Santi's earthly tomb ('tomba terrena di Santi'). 'Santi' era il cognome di Raffaello e la sua tomba si trova dentro il Pantheon. Il Pantheon originariamente era un tempio pagano e la forma circolare ne e' una giustificazione. Come pure il nome che e' stato attribuito a questa struttura dipende essenzialmente dalla religione che si praticava al suo interno, ovvero il 'panteismo'. Il buco del demonio citato nella quartina di Milton, poteva essere l'oculus ovvero l'apertura circolare sopra la cupola del Pantheon in quanto una leggenda racconta che tale buco era stato fatto dai demoni che fuggivano dal Pantheon quando Bonifacio IV consacro' il tempio.

E' Vittoria che si accorge, una volta che i due constatano che sul foglio dei Dialoghi di Galileo contente la quartina, era riportato '1639' ad indicazione dell'anno di stesura, che la salma di Raffaello e' stata portata dentro al Pantheon nel 1759. E questo e' sufficiente per concludere che il Pantheon non poteva essere la 'tomba terrena di Santi'. Il professore allora comincia a pensare alla 'tomba terrena di Santi' come una tomba progettata da Raffaello.

La guida turistica con cui Langdon sta parlando, non sa suggerire altro che l'unica tra le tante che dovrebbero esserci a Roma , che le tornava in mente piu' per il poco gusto con cui era stata realizzata e fuori luogo per il posto in cui si trovava. In realta' la tomba e' un ipogeo dotato di un'apertura di cui ci si serviva per portarci dentro le salme. E questo rende il tutto piu' verosimile visto che poteva essere il 'demons hole' ('buco del diavolo') citato da Milton. La tomba si trova nella Cappella Chigi (un tempo chiamata 'Cappella della Terra') dentro la chiesa di Santa Maria del Popolo, nei pressi di Piazza del Popolo.

Nella cripta, Langdon trova il corpo senza vita del cardinale Ebner. Era stato fatto morire soffocato dopo che gli era stata riempita la bocca piena di terra, ed era stato marchiato a fuoco sul petto con l'ambigramma della parola 'Earth'.

Gli uomini di Olivetti portano via il cadavere ma mentre lo fanno la scena viene ripresa dall'inviato Gunther Glick e dall'operatore Chinita Macri, entrambi della BBC.

Intanto, Vittoria aiuta Langdon a capire che Gian Lorenzo Bernini e' lo scultore degli Illuminati, nonostante fosse l''enfant prodige' della Chiesa. Egli visse nello stesso periodo di Galileo e lavoro' molto per la Chiesa, ma la Cappella Chigi, progettata da Raffaello, fu completata per mano del Bernini, come riportava una dicitura che descriveva la cappella.

Come ben sapeva, Langdon doveva trovare l'angelo per farsi guidare nel seguire il Cammino dell'Illuminazione, come recitava l'ultima riga della quartina Let angels guide you on your lofty quest ('Lascia che gli angeli ti guidino nella tua nobile ricerca'). Tale angelo doveva essere un'opera del Bernini e gli avrebbe indicato un'altra opera dello stesso artista. Langdon scopri' da li' a breve che l'angelo era quelllo della scultura di Abacuc e l'angelo che si trova nella stessa cappella. La direzione segnata dall'angelo indicava verso Sud-Ovest. Inoltre, la seconda riga della quartina 'Cross Rome the mystic elements unfold ('Attraverso Roma si snodano gli elementi mistici') lasciava pensare che la prossima vittima sarebbe stata fatta trovare in prossimita' di una scultura del Bernini che avesse attinenza con l'aria.

Dopo essersi arrampicato sull'impalcatura che stava tutt'intorno alla chiesa e aver consultato una cartina della 'citta' eterna', Langdon deduce che il posto e' la Basilica di San Pietro e la Citta' del Vaticano. Tuttavia, l'Altare della Scienza, secondo la quartina di Milton, doveva trovarsi dentro Roma e la basilica e' territorio dello Stato Pontifcio. Una delle guardie svizzere accorse con Olivetti sul luogo del delitto, quindi, osserva che in piazza San Pietro ha spesso notato un'incisione che ritrae un volto che soffia e anche che la stessa piazza e', secondo molti, ancora territorio italiano visto che si trova fuori dalle mura del Vaticano. Gli indizi forniti dalla guardia fanno ben sperare Langdon di aver trovato il successivo Altare della Scienza. Infatti l'opera fa una chiara allusione all'aria e il professore fa presto a concludere che si tratta del West Ponente del Bernini.

Quando Langdon arriva sul posto affollato, la sua attenzione viene attirata dall'urlo di una bambina terrorizzata alla vista del corpo di quello che sembrava un vecchio barbone, appoggiato ai piedi dell'obelisco al centro della piazza, che cade riverso su se stesso. Si tratta del corpo del cardinale Lamasse sul punto di morte a causa dei due buchi che gli erano stati praticati sul petto e che gli avevano perforato i polmoni. Anche questa 'vergine sacrificale' reca in petto un marchio a fuoco. Si tratta dell'ambigramma della parola 'Air'.

Le cose si aggravano notevolmente quando in televisione vengono diffuse le immagini del cadavere che viene portato via dalla chiesa di Santa Maria del Popolo e anche di quello ripreso nei pressi dell'obelisco di piazza San Pietro. Inoltre, Gunther Glick a seguito della chiamata ricevuta dall'assassino, in un servizio televisivo, dichiara che il pontefice defunto non sarebbe morto per un ictus come ufficialmente dichiarato dalla Chiesa ma avvelenato da un'overdose di eparina usata per curare la tromboflebite di cui lo stesso pontefice soffriva.

Per aver rivelato queste informazioni Glick viene chiamato dal camerlengo, che se ne serve per fare chiarezza su quello che stava succedendo al mondo intero. E' cosi' che Glick assiste alla telefonata di Kohler in cui dichiara che sta arrivando a Roma per fornire delle informazioni importanti per la risoluzione del caso. Glick non riesce a placare il suo protagonismo sfrenato e rende pubblico anche questo ultimo scoop attraverso le televisioni.

A seguito di quanto successo finora, Langdon capisce che gli Altari della Scienza potrebbero essere tutti delle piazze contraddistinte dalla presenza di obelischi come lo sono piazza del Popolo e piazza San Pietro. Inoltre le opere che caratterizzano tali siti sono sculture del Bernini, ciascuna contrassegnata dalla presenza di un angelo e avente attinenza con i 'quattro elementi della scienza'. Il prossimo sarebbe stato quindi il Fuoco.

Langdon si reca ancora nell'Archivio Segreto Vaticano per prendere visione dell'elenco delle opere del Bernini. Si sofferma su L'estasi di Santa Teresa. Un'opera che apparentemente non aveva alcuna attinenza con il Fuoco. Tuttavia, era rimasto colpito dalle note che la scultura nonostante la riconosciuta validita' artistica era stata spostata in una chiesa periferica indicata dallo stesso scultore. L'opera infatti e' stata considerata blasfema da Urbano VIII che aveva anche ritenuto che la sua ubicazione non poteva essere dentro le mura vaticane.

Tali note inducono Langdon a pensare che Bernini deliberatamente avesse realizzato questa opera che ritrae una scena descritta nell'Autobiografia di Santa Teresa, scritta appunto da Santa Teresa d'Avila, in modo tale da non poter essere collocata in Vaticano e quindi in modo da dover essere nascosta in una chiesa indicata dall'artista. Tale chiesa si troverebbe quindi sulla linea immaginaria la cui direzione era segnata dall'angelo del West Ponente. Il paragrafo dell'Autobiografia di Santa Teresa che il Bernini rappresento' ne L'estasi di Santa Teresa, che lascia senza parole per il carico di passione che reca, e' la seguente:

In un'estasi mi apparve un angelo; io vedevo nella mano di questo angelo un dardo lungo; esso era d'oro e portava all'estremita' una punta di fuoco. L'angelo mi penetro' con il dardo fino alle viscere e quando lo tiro' fuori mi lascio' tutta bruciata d'amore per Dio.

Difatti, sono parecchie le allusioni al fuoco. E la scultura raffigura l'angelo con il dardo come un serafino, termine che significa letteralmente 'colui che arde'. D'altra parte il dardo tenuto in mano dal serafino puo' essere l'indicazione dell'ultimo Altare della Scienza. La chiesa dove e' custodita questa scultura e', come riportato nell'elenco delle opere del Bernini, Santa Maria della Vittoria, nei pressi di piazza Barberini, al centro del quale fino al 1773 si ergeva l'obelisco che oggi si trova in piazza Bulgaria.

In Santa Maria della Vittoria, Langdon insieme a Vittoria e le guardie svizzere avrebbero dovuto catapultarsi immediatamente, se non fosse che qualcuno cerca di bloccare il professore rinchiudendolo dentro l'archivio. Langdon riesce a liberarsi e a raggiungere la chiesa dove il corpo del cardinale Guidera sospeso in aria da catene, sta bruciando sopra le fiamme alimentate dalle panche accatastate delle chiesa.

L'assassino e' ancora nei paragi e in uno scontro a fuoco uccide Olivetti e colpisce Vittoria facendole perdere i sensi. Langdon, dopo aver notato che il corpo del cardinale presenta sul petto il marchio a fuoco con l'ambigramma della parola 'Fire', riesce a sfuggire ai proiettili partiti dell'arma dell'assassino, riparandosi sotto un sarcofago. Nella sfortuna di rimanere bloccato al suo interno, Langdon scampa cosi' alla morte, visto che l'assassino non riesce a sferrare il colpo che avrebbe dovuto ucciderlo. Dopo vani tentativi l'assassino desiste e va via portando Vittoria con se'.

Sono i pompieri, al loro arrivo, ad accorgersi di un rumore proveniente dal sarcofago e cosi' a liberare Langdon. Il professore, pervaso dai sensi di colpa per il rapimento di Vittoria, reagisce immediatamente procurandosi una cartina di Roma e osservando la direzione indicata dal dardo del cherubino della statua dedicata a Santa Teresa d'Avila. Langdon cosi' ha modo di fare ulteriori deduzioni che gli consentono di trovare il quarto Altare della Scienza.

In particolare, il professore deduce che 'Cross Rome' nella quartina di Milton non sta ad indicare 'attraverso Roma' ma che i quattro Altari della Scienza descrivevano una croce dentro Roma. E questa sarebbe anche una testimonianza di come il Cammino dell'Illuminazione di Galilei sia anche un tributo a Dio e non solo alla scienza.

Questa deduzione deriva dalla disposizione a forma di triangolo isoscele dei tre altari fin li' trovati, sulla pianta di Roma. A Langdon facevano pensare il Great Seal, il simbolo presente sulla banconota di un dollaro costituito da una piramide a base quadrata con un occhio al vertice che sta a significare 'l'occhio che tutto vede'. La base quadrata poteva essere quindi la forma simmetrica che il quarto punto avrebbe descritto, ma l'ipotesi fu subito scartata perche' un quarto punto non avrebbe mai potuto descrivere un quadrato insieme agli altri tre punti.

Tutt'al piu' avrebbe potuto descrivere un rombo. E lo era, infatti, disegnando la linea che parte dalla chiesa di Santa Maria della Vittoria e seguendo la direzione indicata dal dardo del cherubino, prendendo per buono che una delle ipotesi di opere del Bernini ispirate all'acqua che Langdon conosceva, fosse quella mancante. Tale direzione passava infatti per Piazza Navona dove si trova La fontana dei quattro fiumi. Infine, tracciando un'ultima linea per disegnare una figura piana, si otteneva il rombo. Congiungendo i vertici opposti del quadrilatero si ottiene, appunto, una croce dentro Roma, che dava forti indizi a Langdon che il suo ragionamento corrispondeva al vero. D'altra parte anche dentro Piazza Navona si erge un obelisco, caratteristica che concorda con quella delle altre tre piazze nei pressi delle quali si trovano i tre altari fin la' scoperti.

L'attinenza dell'opera con l'ultimo dei 'quattro elementi della scienza', ovvero l'Acqua, e' del resto evidente. La fontana dei quattro fiumi e' infatti un'opera del Bernini che presenta delle sue sculture ed e' un tributo ai quattro fiumi piu' importanti al mondo ovvero il Nilo, il Gange, il Rio della Plata e il Danubio.

In una Piazza Navona pressocche' vuota, il professore ci arriva con un buon anticipo rispetto all'orario in cui era previsto l'assasinio dell'ultimo dei cardinali. Nonostante cio' non riesce a sfruttare al meglio questo vantaggio. L'assassino arriva, riesce ad annegare il cardinale Baggia che ha sul petto il marchio a fuoco dell'ambigramma 'Water' e, solo la finzione, fa scampare ancora una volta Langdon alla morte.

Dalla direzione della colomba (simbolo pagano dell'Angelo della Pace) Langdon deduce che la tappa finale del Cammino dell'Illuminazione, ovvero l'Altare della Scienza, era Castel Sant'Angelo, la fortezza a base circolare, protetta da un recinto quadrato fatto di mura alte 15 metri. Tale struttura ha avuto nel tempo diverse destinazioni d'uso: tomba, fortezza, nascondiglio per i papi (che accedevano ad essa dal Vaticano attraverso un percorso stretto e lungo di circa un chilometro meglio noto come Passetto), prigione per i nemici della Chiesa e, infine, museo.

A Castel Sant'Angelo ci si accede dalla riva opposta del Tevere, attraversando il ponte dell'Angelo, l'antico ponte costeggiato da dieci statue di angeli, realizzate dal Bernini allorquando gli fu commissionato di ristrutturare il monumento. E questo aspetto contribuisce a rendere piu' verosimile l'ipotesi di Langdon.

Per superare le alte mura di cinta, Langdon si fa aiutare da un operatore televisivo fermo da quelle parti con il camion della sua emittente, dotato un lungo braccio che permette di superare le alte mura che cingono il castello. Durante la conversazione, l'operatore riporta a Langdon quanto di clamoroso Glick ha diffuso poc'anzi in un suo collegamento alla BBC ovvero che a Roma, da li' a breve, sarebbe arrivato un personaggio (che Glick nel suo servizio battezza come 'Deus ex machina') che potrebbe dare una svolta alla crisi vaticana.

Il professore, entrato nella fortezza, trova l'assassino pronto a seviziare Vittoria. Inizia una rocambolesca colluttazione durante cui, avendo Langdon dedotto la presenza di un sesto marchio oltre i cinque fin la' usati, l'assassino rivela che quello mancante e' il marchio che Giano, capo degli Illuminati, in prima persona, avrebbe usato su un 'nemico pericoloso'. Alla fine della rissa, i due riescono ad aver la meglio sull'assassino e si servono del Passetto per giungere prima possibile da colui che pensano che sara' la prossima vittima degli Illuminati, ovvero il camerlengo.

Da lontano Vittoria nota che dall'elicottero del Vaticano e' sceso Kohler, che si rivela, cosi', essere nel ragionamento di Langdon, il Deus ex machina, ma anche Giano e quindi colui che avrebbe marchiato a fuoco Ventresca.

Era gia' iniziato l'incontro privato tra Kohler e Ventresca quando, nella camera dove era in corso la riunione, irrompono prepotentemente Langdon e Vittoria, e notano il raccapricciante spettacolo di Ventresca marchiato a fuoco con il simbolo del diamante degli Illuminati. Le guardie, accorse subito dietro, freddano Kohler, che un istante prima di morire consegna al professore una minicamera palmare da dare ai media. L' accusa del camerlengo che Kohler e' un Illuminato scatena inspiegabilmente l'ira del capitano Rocher che cerca di scaraventarsi contro, ma a seguito di questo scatto il tenente Chartrand spara al capitano e lo uccide, temendo per la vita del camerlengo.

Gli atteggiamenti strani del camerlengo si susseguono. Strani al punto che fanno pensare a molti che egli e' guidato da una forza soprannaturale. E guidato da questa forza, riesce a trovare il cilindro nelle grotte vaticane, dentro la cappella che ospita la tomba di San Pietro.

Riemerso da sottoterra pochi minuti prima della mezzanotte, il camerlengo si serve dell'elicottero vaticano da lui stesso guidato per volare il piu' in alto possibile dal suolo, in modo che l'antimateria esplodendo causi il minor numero di danni possibile. Tuttavia, contro la sua volonta', sull'elicottero sale anche Langdon. A un minuto dalla mezzanotte il camerlengo, alla guida, si fa passare l'antimateria dal professore, la chiude a chiave dentro un armadietto all'interno dell'elicottero e, dopo aver gettato la chiave nel vuoto, inserisce il pilota automatico che fa proseguire l'elicottero nella sua traiettoria ascendente. Infine, dopo aver indossato l'unico paracadute, si butta nel vuoto, lasciando Langdon dentro l'elicottero.

La scaltrezza di Langdon lo porta tuttavia a buttarsi anch'egli nel vuoto, dopo essersi appropriato di un telo con un foro a ciascuna delle quattro estremita' appigliandosi ai quali, con le dita delle mani, lo rende un sistema che frena leggermente la propria velocita' di caduta. La sua abilita' invece gli rende possibile di cadere dentro il Tevere e cosi' salvarsi. A dire il vero a salvarlo e' il dottore del Fatebenefratelli - l'ospedale che posizionato sull'isola Tiberina - che trovandosi sulla riva dell'isola ad ammirare il folgore dell'esplosione dell'antimateria, nota la caduta di un oggetto dal cielo, per via del tonfo causato dall'impatto dello stesso oggetto con l'acqua.

Ripresosi dallo choc dell'impatto con l'acqua del Tevere, Langdon si fa portare nella Citta' del Vaticano. Giunge nel Sacro Collegio con il video lasciatogli da Kohler, e trova da una parte, i porporati che, a seguito della vista di Ventresca vivo dopo l'esplosione, sono unanimamente concordi a volerlo come prossima guida della Chiesa. E dall'altra, il cardinale Mortati, che invece cerca, secondo i crismi dell'insegnamento cristiano, di non farsi trasportare dall'istinto e quindi relegare tutto cio' che e' successo quella sera come la manifestazione della volonta di Dio.

Il video viene quindi proiettato e rivela quanto, a questo punto, risulta facile prevedere ovvero che il camerlengo e' colui che ha giostrato tutto. Nel dettaglio, Kohler era giunto da Ginevra perche' nei laboratori del CERN aveva potuto appurare dal diario di Leonardo Vetra che egli aveva parlato con il defunto papa dell'incredibile scoperta e delle sue implicazioni etiche, e che queste erano state accolte positivamente. Il papa, impossibilitato a incontrare lo scenziato al CERN, invio' il camerlengo a farne le sue veci.

Dalla confessione di un incredulo Ventresca inchiodato dal video, si ha modo di capire successivamente che a causa dello sconcerto del camerlengo per quanto aveva visto al CERN e aveva riportato al papa al rientro a Roma, il papa aveva trovato opportuno spiegargli il perche' del suo apprezzamento per la scoperta di Vetra e, in generale, per la scienza. Tuttavia, un'incomprensione lo aveva portato a dedurre che il Sommo Pontefice aveva rotto il proprio voto di castita', avendo avuto un figlio in gioventu' dalla relazione con una giovane suora, con cui si erano molto amati.

Cio' aveva accelerato in Ventresca la necessita' gia' da tempo percepita di destare le coscienze cristiane che negli anni erano arrivate ad assopirsi addirittura anche ai vertici piu' alti della Chiesa (*), causando un crescente divario tra la scienza e la morale. Ventresca mette in atto cosi' un piano articolato per controvertire questa tendenza.

Inizia, aumentando la dose di eparina che lui stesso era tenuto a somministrare quotidianamente a Sua Santita', al punto da renderla letale, facendo in seguito promuovere fraudolentemente l'ictus come la causa di tale morte. Poi assolda l'assassino per andare ad impadronirsi del cilindro con l'antimateria al CERN. Tira fuori gli Illuminati, sebbene si tratti di una setta che gia' da secoli era stata soffocata dal potere della Chiesa, sfruttando la possibilita' di accedere alla biblioteca del papa dopo la sua morte, in qualita' di camerlengo. Dentro la biblioteca erano custoditi anche i marchi dei 'quattro elementi della scienza' requisiti agli Illuminati quando la setta era stata soffocata.

Alla fine della proiezione del video un Ventresca delirante afferma la necessita' di tutto questo quindi per riaffermare i valori cattolici che valgono molto di piu' delle prestigiose vittime che quel giorno si erano contate. Ma la sorpesa piu' clamorosa si verifica quando prende la parola il cardinale Mortati che confessa che era a conoscenza del figlio del papa, rivestendo il ruolo di 'avvocato del diavolo' al momento della sua nomina. E aggiunge che il figlio avuto era frutto dell'amore con la suora che tanto aveva amato e che, grazie alla scienza, non aveva implicato la rottura del voto di castita'. Mortati aggiunge ancora che il papa, da vescovo, era andato fino a Palermo, dopo l'attentato in cui rimasero coinvolti Ventresca e la madre, perche' la donna era la suora che il papa aveva amato e Ventresca era il frutto del loro amore.

Il tutto si conclude drammaticamente con Ventresca che, carico di sensi di colpa, si da' fuoco davanti agli occhi di tutti i fedeli sulle scale davanti a piazza San Pietro. Mortati invece diventa papa. Mentre il professore e Vittoria ricevono una lettera di riconoscenza dal nuovo papa per aver compreso l'importanza di mantenere tutte le dinamiche che tanto orrore avevono disseminato e tanto altro ancora avevano rischiato di causare, per mano di un uomo di Chiesa.

La morte che Dan Brown ha riservato a Ventresca nella trama di questo romanzo ha profuso in me la sensazione di assoluzione che lo stesso scrittore ha voluto attribuire alla Chiesa. D'altra parte quello che sembra di primo acchito un continuo vilipendio nei confronti della Chiesa, a me e' sembrato un messaggio moderno e costruttivo che la Chiesa per riavvicinare i fedeli, parlando di tutto cio' che la Chiesa non puo' nascondere e creando nuovi approcci per vivere la l'interiorita', dando il giusto spazio a Dio come luce da tenere come punto di riferimento per muoversi in un mondo sempre piu' difficile e sopraffatto dalla tecnologia e dalla scienza.

Frasi


  • p. 367: "Il dolore aiuta a crescere. E' cosi' che si impara."
  • p. 483: "<<A volte, una rivelazione divina consiste semplicemente nel fare in modo che il nostro cervello ascolti quello che il cuore gia' sa>>."

Impressioni di Parigi

domenica 11 novembre 2012

Ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento di fare un viaggio a Parigi. La pazienza e' stata premiata proprio nel momento in cui attorno a me 'Parigi' tornava ricorrentemente a proporsi nella mia quotidianita'. Dai libri, dalla televisione, dai discorsi con gli amici, da Internet. Tutto mi suggeriva Parigi. E quando mi e' stato proposto di passare un lungo fine settimana in questa splendida realta', non ho avuto esitazioni. E poi tutto mi lasciava presagire che era un momento propizio. Anche la stagione. La primavera ci avrebbe permesso di visitare questa citta' magari baciata dal candido sole di questo periodo dell'anno. E se poi non ci fosse stato, anche il grigio del cielo che tipicamente l'avvolge e la pioggia fine che la bagna, non avrebbe mutato il fascino, ma avrebbe cambiato in noi solo il modo di percepirlo.

L'arrivo all'aeroporto Charles De Gualle di Parigi mi ha fatto avvertire che tanta differenza con l'Italia poi non c'e'. Per prendere un biglietto della RER (Reseau Express Regional, i treni regionali che collegano i sobborghi al centro di Parigi) per arrivare a Gare du Nord, abbiamo fatto in pratica una coda che e' durata piu' del viaggio in aereo. Non solo perche' non c'erano macchinette automatiche per i biglietti della RER, ma anche perche' della decina di sportelli della biglietteria, solo uno era aperto.

Una volta fatto il biglietto, arriviamo facilmente a Gare du Nord e da li' ci incamminiamo verso il vicino albergo nella zona di Montmartre, cosi' chiamata perche' dominata dalla collina (Butte de Montmartre) sulla quale i romani decapitarono Saint-Denis. La zona visse momenti di fervore artistico durante la Belle Epoque, e comunque conserva un fascino immortale. Visto il richiamo turistico del quartiere ci eravamo illusi, quindi, che fosse accogliente e ospitale. Se non che ci accorgiamo presto di essere capitati nel sobborgo 'Maghreb' del quartiere. Un ambiente, all'apparenza, del tutto ostile e sudicio. E alla vista di cio' ho continuato ad elaborare nella mia mente i confronti con l'Italia.

Dopo esserci sistemati velocemente nelle stanze, ci siamo precipitati fuori per mettere qualcosa di pratico e sostanzioso sotto i denti. Per poi catapultarci verso la vicina place Pigalle. E nell'avvicinarci, arrivando dalla stazione metropolitana di Barbes Rochechouart, era un crescendo di luci e movimento. Una progressione di colori e la curiosita' del quartiere a luci rosse pian piano cominciava a materializzarsi. Quasi invitava ad entrare e a sbirciare cosa dentro ci fosse, ma forse erano i PR che stavano davanti al locale - per lo piu' gente dell'Est o Nordafricani - che infondevano in noi diffidenza e ci davano delle buone ragioni per andare dritto. Tuttavia, nessuno e' stato mai invadente e mai e' stato antipatico nel rapportarsi a noi. Ma la loro presenza sposava il preconcetto del malaffare che spesso si associa a queste etnie quando trovi di queste persone in determinati contesti.

La nostra passeggiata prosegue per boulevard de Clichy e ci fermiamo davanti al Moulin Rouge per dei doverosi scatti da portare indietro come ricordo. Sebbene qualcuno di noi ci avesse spudoratamente creduto di riuscire ad entrare vestendosi di un elegantissimo doppio petto, si e' dovuto irrevocabilmente ricredere visto il proibitivo prezzo del biglietto d'ingresso.

Al mattino e' stato pressocche' impossibile trovare nel nostro quartiere un cafe' tipico parigino. Uno di quelli con i tavolini all'aperto dove ti siedi e ti viene servito un cafe' creme e una brioche e ti confondi tra un Parigino e un turista. Abbiamo finito di fare una volta il giro del quartiere e abbiamo iniziato un secondo giro e alla fine abbiamo deciso di fermarci al bar di un simpaticissimo tunisino che faceva degli ottimi caffe' espresso e aveva dei dolci altrettanto buoni oltre ai croissant, tutti rigorosamente ed esageratamente carichi di burro, prodotti nell'annessa rosticceria a conduzione familiare. Di questo posto ne abbiamo fatto un ritrovo obbligatorio giornaliero, se non per il mattino quando partivamo per il nostro tour quotidiano, la sera quando arrivavamo, non solo per i prezzi onesti che aveva, ma soprattutto per la grande umanita' della gente che lo frequentava.

Dopo un appagante cafe' lounge e un enorme croissant con creme, attraversiamo il trafficatissimo hallesdi rue de la Chapelle, che si svolge sotto la soprelevata della linea della metro che in quel punto esce fuori dalle viscere di Parigi. Nella bolgia assistiamo ad un ammanettamento in diretta di un Islamico che aveva appena finito di fare a cazzotti con qualche suo simile. Ma non ci saremmo mai accorti di nulla, tant'e' la concitazione in quell'halles che lo fa per molti aspetti assomigliare al souq all'interno della medina di Marrakech.

A Garde du Nord facciamo il nostro abbonamento di tre giorni che per venti euro e settanta centesimi ci permettera' di muoverci in liberta' nell'intra-muros di Parigi con la metro o con gli autobus (di cui non ci siamo mai serviti). La nostra prima destinazione e' la Tour Eiffel. Alla sua visione ne rimaniamo stupiti dalle dimensioni ma non certo dall'aspetto. Ci rendiamo conto del perche' molti Parigini con spregio la chiamano l''asparago di ferro'. E forse la giornata grigia e dal freddo vento pungente che spira nei grandi spazi aperti che si aprono sotto essa, che ne ha amplificato questo aspetto inquietante. In tanti, tantissimi, comunque erano in fila per prendere gli ascensori che consentono di salire ad uno dei tre ripiani a cui e' permesso accedere. Noi deliberatamente abbiamo proseguito, attraversando il ponte e dirigendoci verso place du Trocadero.

E' impossibile non fermarsi davanti alle fontane e agli artistici giochi d'acqua dei Jardins du Trocadero. E ogni possibile angolatura e' diventata uno sfondo plausibile per le nostre foto. Salendo sulla balconata abbiamo invece potuto ammirare la vista sui sottostanti giardini e, oltre la Senna, la Tour Eiffel, il retrostante Parc du Champ de Mars e un ampio panorama della citta'.

Cartina alla mano, in poche decine di minuti siamo arrivati all'Arc de Triomphe, percorrendo avenue Kleber, un elegante e raffinato boulevard costellato da boutique di lusso frequentate necessariamente da una clientela altolocata, che partono a raggera da place du Trocadero. L'enorme rotonda che l'accerchia e il grande traffico che la stessa rotonda convoglia, rendono praticamente impossibile l'attraversamento pedonale. Tuttavia un lungo sottopasso consente di raggiungere il mausoleo che difatti e' una meta molto popolare tra i visitatori di Parigi. D'altra parte questa enorme struttura posta al centro di place de Charles De Gualle, voluta da Napoleone per celebrare le sue conquiste, corrisponde al nostro Altare della Patria. Ai suoi piedi infatti brucia ininterrottamente una fiamma accesa dal 1919 in memoria di tutti i caduti per la patria.

Ci incamminiamo quindi per avenue des Champes Elysee, immettendoci difatti in quella che viene chiamata Voie Triomphale o Axe Historique ('Asse Storico') che e' la direttrice che attraversa la citta' da sud-est a nord-ovest, fino alla Grande Arche nel quartiere della Defense (*). Percorriamo un bel tratto quando decidiamo di fermarci a pranzo. Poi riprendiamo ma e' difficile riuscire a percorrere tutta la via e per la lunghezza e per l'elevata concentrazione di negozi di griffe che difficilmente si riesce a passare davanti senza fermarsi catturati dalle accattivanti vetrine o solo per il risalto del marchio.

Fino a quando non giungiamo al Rond Point Champ Elysee Marcel Dassault. Da qui il boulevard si immerge nel verde e i tratti pedonali ai suoi lati diventano ciotolosi. Prima di arrivare a place de la Concorde, ci lasciamo alla nostra destra il Grand Palais costruito, con la sua caratteristica copertura in vetro in stile Art Noveau in occasione dell'Esposizione Universale del 1900, e l'antistante statua bronzea di Charles De Gualle a cavallo. Sullo sfondo, invece, proseguendo con lo sguardo verso la Senna, il bellissimo pont Alexandre III, costeggiato da sfarzosissime decorazioni dorate.

Arrivati a place de la Concorde facciamo una leggera digressione verso place de la Madeleine per visitare l'Eglise de la Madeleine, la chiesa neoclassica costruita al centro della piazza che ha l'aria di un tempio dell'antica grecia. La freddezza dell'architettura non ci ispira al punto di entrare al suo interno. Risaliamo comunque l'antistante scalinata che permette di catturare con lo sguardo tutta la prestigiosa rue Royal, place de la Concorde e oltre, fino all'Assemblee Nationale, l'edificio che ospita la camera bassa del parlamento francese.

Lungo rue Royale ci firmiamo per scattare una foto davanti al Maxim's, il locale molto frequentato da artisti nella Parigi della Belle Epoque. Ritorniamo cosi' in place de la Concorde. Da' un brivido pensare il significato di questa grande piazza per Parigi e per i Francesi tutti. Infatti, place de la Concorde, adornata lateralmente da otto statue muliebri che rappresentano le citta' piu' importanti alla fine del XVIII secolo, e al centro dall'obelisco di granito rosa con la punta dorata, donato dall'Egitto alla Francia nel 1831, e' il luogo dove sono state eseguite le decapitazioni di Luigi XVI e, a seguire, della regina Maria Antonietta, di Danton e di Robespierre. Sul lato nordorientale della piazza si affacciano due degli hotel storicamente piu' prestigiosi di Parigi: Hotel de la Marine e Hotel de Crillon.

Attraversiamo gli enormi cancelli che ci permettono di entrare nel Jardin des Tuileries, lasciandoci alla nostra destra l'Orangerie e alla nostra sinistra il Jeu de Paume. Quest'ultimo e' il palazzo cosi' chiamato perche' l'antistante spazio era destinato al gioco della pallacorda e ospitava un tempo una prestigiosa collezione di quadri impressionisti, adesso spostata al Musee d'Orsay. Mentre l'Orangerie ospita una non meno importante collezione impressionista, notevolmente impreziosita dalla presenza delle due camere ovali sulle cui pareti e' apposto Le ninfee di Monet.

L'entrata nei giardini ci restituisce una sensazione di tranquillita' del tutto benefica dopo i diversi chilometri fin la' percorsi. E noi l'assecondiamo totalmente sedendoci sulle pesanti sedie di acciaio dipinte di verde ai lati della enorme vasca circolare che si incontra poco dopo l'ingresso nel giardino. Anche non leggendolo e avendo visto i giardini di Versailles si puo' facilmente percepire che i loro progetti hanno molto in comune, se non altro nello stile adottato. Difatti, a disegnare questo spazio verde nel centro di Parigi e' stato Andre Le Notre, che progetto' anche i giardini di Varsailles.

Alla fine dei giardini, prima di arrivare a place du Carrousel, si erge l'Arc de Triomphe du Carrousel, un arco di dimensioni ridotte rispetto all'Arc de Triomphe di place de Charles De Gualle, ma comunque molto suggestivo. E suggestiona ancora di piu' leggere sulla nostra guida che Napoleone lo volle per celebrare le vittorie delle battaglie del 1805 e che al posto della quadriga che oggi e' posta sopra l'arco, che segna il ritorno dei Borboni sul trono di Francia nel 1828, quando fu costruito, al suo posto un tempo c'erano i Cavalli di San Marco.

Davanti a noi e' gia' perfettamente visibile la Grande Pyramide, la struttura di forma piramidale in vetro alta 21 metri al centro del Cour Carree ('Cortile Quadrato'). Attorno al Cour Carree si sviluppano le tre sezioni del Louvre (Ala Denon, Ala Sully e Ala Richelieu). Sotto questo spiazzo, invece, accessibile dalle scale mobili poste all'interno della Grande Pyramide, si estende la Hall Napoleon, che e' la sezione del Louvre ad accesso libero.

Il fulcro della Hall Napoleon e' il Carrousel du Louvre, il centro commerciale che ospita la controparte antitetica della Grande Pyramide, ovvero la Pyramide Inversee, che e' una piramide di dimensioni piu' ridotte che sviluppa con la punta verso il basso, con il vertice che giunge fino a un metro e mezzo di distanza dal suolo della Hall Napoleon.

Il fascino dato da Dan Brown a questo pezzo di Louvre ne Il Codice Da Vinci e' completamente sminuito da bambini estasiati da questa particolare struttura e dalla curiosita' che suscita. E nulla sono riuscito a pronunciare dopo questa visione relativamente al commento 'Una ferita sulla faccia di Parigi' del commissario Fache nelle prime pagine del romanzo, riferendosi a questo complesso architettonico in stile neomoderno, progettato dall'architetto americano di ori­gine cinese I.M. Pei, voluto dall'allora presidente Mitterand. Realmente, qualunque cosa avrei detto, avrei sbagliato. Proprio come il professor Langdon, protagonista del romanzo.

Giriamo velocemente nel Carrousel du Louvre, soffermandoci negli spazi piu' interessanti aperti a tutti, come la sala che ospita la mostra sulla storia del museo, ma poi andiamo via. La visita delle gallerie del Louvre non era nei miei piani. Era anche tardi ed eravamo stanchi. Prendiamo la metropolitana dalla stazione sotto rue de Rivoli e cosi' si conclude questa giornata, senza nemmeno esser riuscito ad organizzare per nulla la gita fuoriporta a Giverny

Sono riuscito a malapena a capire che sarei dovuto uscire di buon mattino dall'albergo e raggiungere la stazione di Gare de l'Est. Da li' poi prendere un RER che mi avrebbe portato a Vernon e poi, se avessi avuto un po' di fortuna, avrei trovato un autobus turistico che mi avrebbe portato fino a Giverny.

Una follia pensavo tra me e me al mattino seguente uscendo dall'albergo vagando per le strade di Parigi, baciate da uno splendido sole che tuttavia faceva fatica a riscaldare l'aria gelida delle prime ore dell'alba. Ma d'altronde era alta la voglia di non sprecare una giornata di questa breve parentesi parigina nel caos inutile di Disneyland, nonostante l'ottima compagnia.

La mia audacia e' stata presto premiata visto che inaspettatamente al centro informazioni della stazione mi hanno subito dato un depliant con il ricco programma previsto per consentire di visitare il paesino che per tanto tempo ha ospitato e ispirato il grande maestro dell'Impressionismo, Claude Monet. E la cosa mi ha iniettato una fiducia che e' perdurata in me per tutta la giornata, trasformandosi in eccitazione e forse tanto di piu'. Avevo scelto una cosa che mi piaceva, avevo seguito il mio cuore e tutto si e' mosso perche' si verificasse quello che avevo immaginato per quella giornata.

Mi sono accorto presto che a Giverny ci stava per andare un fiume di persone. Mentre realizzo cio', sul comodissimo treno che attraversa silenziosamente e quasi sembra planare sul Lungosenna, fuori da Parigi, in direzione della Bassa Normandia, immerso in un paesaggio da favola, il cielo comincia a velarsi di un sottile strato di nubi alte. Quanto basta per non poter vedere i fiori del Jardin de l'Eau irradiati dai raggi del sole, che sicuramente avrebbero ancora di piu' accentuato la vivacita' dei colori. Ma forse sarebbe stato troppo. Avrei potuto rimanerci imprigionato con il cuore in quel giardino. Una sorta di sensazione di mal d'Africa proiettata nei quadri di Monet, vissuta in un attimo senza tempo.

Alla stazione dei treni di Vernon mi precipito subito alla ricerca della fermata degli autobus per Giverny, ma e' subito fuori. Con prepotenza sono il primo nella fila per salire sull'autobus. Per scongiurare ogni lontana possibilita' di aspettare un altro turno e perdere cosi' del tempo prezioso che avrei potuto dedicare alla mia escursione unica. Dal parcheggio poco fuori dal grazioso borgo di Giverny, raggiungiamo a piedi in pochi minuti la casa-museo di Monet lungo la via principale del paese. Ma la fila per entrare e' gia' lunghissima. E l'unica soluzione e' sorbirsi un'ora e passa di coda. Dopo aver comprato il biglietto per sette euro, si e' proiettati subito nell'anticamera del tour, che e' costituito da uno stanzone luminosissimo dove sono in vendita i souvenir carichi di tutti quei colori che hanno caratterizzato la vita di Monet.

L'uscita da' sui giardini antistanti alla famosa casa dai colori pastello rosa e verde. Anche i bagni per i vistatori sono adornati da riproduzioni di quadri di Monet e, dopo aver apprezzato questo particolare e aver respirato profondamente l'aria e i colori del giardino fiorito, mi appropinquo alla visita della casa lungo un percorso guidato che attraversa le camere piu' significative. Una novita' piacevole e' per me il gusto del pittore anche nel creare il suo habitat dentro le quattro mura. Ricca di colori pastello ognuno sapientemente accostato ad ogni ambiente della casa. Senza immaginarmelo prima, e' stato cosi' che un lungo lasso di tempo di questa visita l'ho trascorso a deliziarmi di questo particolare totalmente a me non noto.

Ogni spostamento e' incredibilmente placido e ogni cosa che in me suscita un'emozione e' un'occasione vissuta di contemplazione. Come raramente capita nella vita di tutti i giorni. E' questa la lezione che mi insegna principalmente questa visita. E ne sono quasi commosso dal non avergli dato importanza nei miei giorni passati.

Dal giardino dei rossi tulipani con cui mi sono fatto fotografare da una graziosa turista asiatica, comincio a dirigermi, attraverso lo stonato sottopasso sormontato dalla strada che rappresenta una ferita insabile di un ambiente cosi' magico, nel Jardin de l'Eau. E tutto diventa ancora piu' lento, il sangue lo sento fluire ancora piu' lentamente nel mio corpo. Il resto sembra lontano. E' un'estasi. Nemmeno andandoci mano nella mano con la donna che piu' si possa amare si potrebbero percepire le stesse sensazioni. E adesso che scrivo me ne rendo conto.

E il mio cuore ritorna a palpitare alla vista di uno dei ponticelli giapponesi tanto amati da Monet - come deduco da quanto fin la' visto, che tanto amata da lui e' stata tutta la cultura giapponese.

Contestualmente a Le ninfee, il ponticello mi fa venire alla mente la prima scena di Midnight in Paris. La' tutto era costruito, a partire dalle ninfee tutte ben posizionate sullo specchio d'acqua su cui rifletteva il sole e sicuramente la luce artificiale del set cinematografico. Quel giorno invece la pozza d'acqua era buia e solo guardando attentamente distinguevi qualche ninfea sparpagliata qua e la' sotto il filo d'acqua del laghetto che affiora. E poi il cielo velato rendeva tutto meno lucente e tutto piu' malinconico. Ma piu' vero. Piu' affascinante.

Dopo tanto, e una ulteriore lunga sosta nei giardini della casa, esco e intraprendo il percorso escursionistico che si divide per le vie di Giverny e il territorio circostante. Ma arrivo solo fino alla chiesetta del paese eretta sul cucuzzolo alla cui sommita' si stende il cimitero tra le cui lapidi si puo' facilmente trovare quella di Claude Monet.

Comincia a farsi tardi. Qualche goccia d'acqua cade dal cielo, ma io passeggio incurante verso l'autobus. E non voglio perdermi nemmeno una passeggiata nel pioppeto vicino al parcheggio, che e' stata fonte di ispirazione di alcuni quadri del maestro. E all'interno del quale e' stato collocato un suo busto.

Un ritorno piu' sereno e anche tanto compiaciuto mi ha dato modo di osservare ancora meglio l'armonia dei paesaggi di quella zona della Francia, di riflettere sull'importanza del rispetto dell'uomo per la natura e di come questo rispetto sia ampiamente ricompensato, attraverso il benessere - se non altro interiore - che in quel momento stavo provando.

Tornando a Montmartre, non ho sprecato un attimo del mio tempo e della mia tanta energia accumulata per fare un giro su al Sacre Coeur, salendo per la strade e la scalinata lunghe e ripide, a volte puzzolenti e sempre rumorose, che dal quartiere Maghreb si levano fino alla cima della collina. Un panorama fantastico sulla citta' nonostante il grigio del cielo e le prime ombre della sera. Ma mi siedo tra le panche dell'affollatissima cattedrale e assisto al rito religioso in lingua francese. Ma sto bene. E anche questo acquisisce un senso.

Avrei voluto iniziare a girovagare per questo quartiere, visitare la vicina l'Eglise Saint Pierre de Montmartre e il Dali' Espace Montmartre, arrivare a place du Tetre e passare per tutti quei posti che hanno qualcosa da raccontare. Il Bateau Lavoir, dove vissero Modigliani e Picasso e tanti altri artisti impressionisti nei momenti di estrema poverta', e il famoso cabaret Au Lapin Agile. E poi passeggiare per rue Lepic e scorrere il Moulin de la Galette oggetto del quadro di Renoir intitolato Le Bal du Moulin de La Galette, e il Cafe' des Deux Moulins dove lavorava la protagonista del film Il favoloso mondo di Amelie. Insomma avrei voluto perdermi con la luce del giorno per le viuzze, le piazze e le scalinate di questo incantevole angolo di Parigi.

A molti potrebbe sembrare ostinazione la mia determinazione ad andare senza alcun indugio a visitare il Musee de l'Orangerie. Ma io dentro sentivo qualcosa che mi trasportava, e non mi opponevo e nemmeno volevo sorprendermi di questo stato di completa interdizione. C'era solo una piccola parte consapevole di me stesso che non faceva altro che ripetermi che era tutto normale. E questo bastava a farmelo credere e a godere di questa estasi.

E mi e' sembrato naturale trovarmi in un attimo a fare la fila per entrare nel museo. Non prima di essermi fatto scattare una foto con la facciata dell'Orangerie sullo sfondo, pero', ed essermi fatto immortalare con davanti alla statua bronzea intitolata Le baiser di Rodin che e' collocata insieme ad altre copie di sculture dello stesso artista, nello spazio antistante al museo.

Avrei dovuto incontrarmi a mezzogiorno a place de la Concorde con gli altri. Alla visita, quindi, avrei dovuto dedicare un'ora e non di piu'. Ma non c'e' voluto molto a convincermi che non avrei rispettato l'appuntamento e cosi' ho invitato i miei compagni di viaggio a fare i loro giri. Ci saremmo visti in luogo e orario da destinarsi. Il non avere piu' un orario ha probabilmente influito il modo di vivere questa nuova parentesi impressionista parigina, in maniera ancora piu' sensazionale.

Inizio il mio tour spingendomi verso le sale ovali sulle che ospitano Le ninfee di Monet. E' quasi un sogno. L'accostamento di colori unico e la capacita' di riprodurre cio' che il giorno prima avevo visto con i miei occhi, e' commovente. Realmente, recepisco il rilassamento di nervi che Monet voleva regalare a coloro che, dopo il caos della Grande Guerra, avevano bisogno di ritrovarlo, passando per l'antistante 'camera di decompressione', appositamente voluta dall'artista.

Ciascuna delle due sale presenta quattro affreschi che ritraggono lo stagno della residenza di Monet, al ritmo delle variazioni di luce, dall'alba al tramonto. Le opere della seconda sala sono arricchite dalla presenza dei salici piangenti nel paesaggio dipinto. Gli ambienti ritratti sono comunque privi di orizzonte e di prospettiva e in essi non si distinguono chiaramente gli elementi (aria, acqua, cielo e terra) che vi partecipano, con la chiara allusione all'infinito e allo spazio in cui bisogna essere relegati per ritrovare il rilassamento completo.

Scendendo al piano inferiore, sono piacevolmente sorpreso dall'aver visitato con un crescente interesse, l'esposizione temporanea Debussy, la musica e le arti, un vero gioiello di documenti impressionisti che fotografano nitidamente il fervore artistico della Belle Epoque non solo dal punto di vista della pittura e della scultura, ma anche della musica, della letteratura e delle mondanita' e dei rapporti tra i vari artisti del tempo. Questa mostra e' stata un piacevolissimo 'fuorionda' che mi ha dato modo di deliziarmi alla vista di affreschi come ad esempio Parc de Saint-Cloud di Vassily Kandinsky.

La visita prosegue con la vista della ricca collezione di Paul Guillaume, venditore d'arte - oltre che collezionista - che sostenne artisti come Soutine, Derain, Picasso e Marie Laurencin. Seguendo il percorso indicato dalla utilissima guida che si puo' prendere gratuitamente all'ingresso del museo, ho attraversato il lungo corridoio ai cui lati sono affissi le prime opere impressioniste, per lo piu' di Renoir e Cezanne e nature morte e ritratti, molto suggestivi per la profondita' di colore e per le geometrie. Per poi arrivare nella sala successiva egemonizzata dalla presenza di alcune opere di un immenso Modigliani. La sua unicita' nel ritrarre i visi delle persone si riassume interamente nel Le portrait de Paul Guillaume, Novo Pilota.

La sala successiva mi ha dato modo di conoscere un artista che per molti aspetti mi ha ricordato Modigliani nel suo stile dei visi allungati. L'originalita' di Marie Laurencin l'ho comunque trovata nella tonalita' comune ai suoi quadri esposti che e' sostanzialmente basata su colori pastello, e tra essi sono rimasto colpito da Portrait de Madame Paul Guillaume.

Non meno piacevole e' stato appurare lo stile di Henri Matisse, fatto di giochi di linee orizzontali e verticali unicamente ravvivate da colori la cui intensita' difficilmente ho trovato in altri artisti. In special modo mi sono soffermato davanti a l'Odalisque a la culotte grise. E' stata poi la volta di Picasso e Derain, per finire quindi con il genio di Maurice Utrillo e Chaim Soutine. Dell'artista lituano, di cui l'Orangerie espone la piu' importante collezione d'Europa con i suoi 22 quadri, sono rimasto del tutto esterrefatto della stravaganza dei soggetti ritratti, come carcasse di animali, ma anche volti deformati, che per molti versi richiamano la corrente espessionista in cui ne e' stato poi anche inquadrato come esponente (nonostante - a causa del suo testardo individualismo - non si e' mai in essa apertamente rispecchiato), e per molti altri lasciano trasparire una chiara inquietudine giovanile di cui egli si vuole disfare.

Pienamente soddisfatto della mia lunga visita all'Orangerie, prendo la metro per raggiungere i miei compagni. Metto cosi' piede per la prima volta sull'Ile de la Cite', il nucleo da cui Parigi si e' sviluppata e da cui ad oggi parte il vortice dei venti arrondissement ('distretti') che la costituiscono. Uscendo dalla metro, di fronte a me c'e' la Sainte-Chapelle, sempre caratterizzata da una lunga fila di turisti che si appresta ad entrare per visitarla. Mi e' dispiaciuto non andarci dentro, sapendo che si tratta un magnifico esempio di raffinato stile gotico francese, i cui ambienti interni sono insolitamente luminosi e colorati nei giorni di sole, dalla tanta luce filtrata attraverso ampi e splendidi mosaici.

E' un giorno di vento frizzante e anche qualche goccia d'acqua comincia a scendere dal cielo grigio, ma nonostante tutto la fila davanti alla Cattedrale di Notre-Dame e' lunga. Furbescamente la elido completamente e mi infilo nel luogo sacro dove prima di tutto mi dedico ad ammirarne le bellezze. Poi facciamo un giro all'esterno e tutt'intorno per trovare un posto dove consumare il nostro pranzo a sacco. E' tutto molto bello e in quel contesto di aiuole e alberi fioriti, lo sarebbe stato ancora di piu' in una giornata di sole. Invece piove sempre piu', ma con un intensita' sopportabile. E' quindi una sottile e insistente pioggia a fare da contorno alla nostra passeggiata letteraria nel Quartiere Latino, uno degli itinerari suggeriti dalla mia inseparabile guida Lonely Planet, che non ho perso tempo a catalogare tra le cose che immancabilmente avrei dovuto fare durante questa esperienza parigina.

Giungiamo in metro alla stazione Cardinal Lemoine. Lungo la via omonima ci siamo fermati davanti all'appartamento dove visse James Joyce e poco piu' avanti quello dove vissero Ernest Hemingway e la sua prima moglie, Hadley. Quindi abbiamo attraversato place de la Contrescarpe, e li' per sbaglio ci siamo seduti al Cafe' des Amateurs, che in Festa mobile veniva descritto come un posto malfamato, ma che noi abbiamo dovuto mestamente ed educatamente salutare ancor prima di prendere qualcosa di caldo, dopo aver consultato la carta.

Abbiamo quindi girato l'angolo dietro al locale, per andare a visitare il portone di rue Descartes che era l'ingresso dell'albergo dove Hemingway si rifugiava per scrivere. Nello stesso albergo era morto trent'anni prima Paul Verlaine. Ritornando in piazza, passiamo davanti all'Au negre Joyeux, un altro dei locali citati da Hemingway nei suoi romanzi, per immetterci in rue Mouffetard e da qui seguiamo pari pari il percorso che Hemingway descrive nel primo capitolo di Festa mobile, fino ad arrivare a place Saint-Michel.

E' veramente eccitante ed emozionante per me avere l'opportunita' di seguire questo tragitto e scandire ogni punto in cui qualcosa di normale era successo in passato, ma che oggi e' diventato qualcosa di straordinario. E non riuscivo a spiegarmi se il merito fosse di Parigi, dei personaggi straordinari o se quegli anni fossero realmente l'epoca d'oro.

Imbocchiamo sulla nostra destra, rue du Pot de Fer o 'rue du Coq d'Or', come ad essa si riferisce George Orwell in Senza un soldo a Parigi e Londra, un romanzo autobiografico che descrive i posti dove ha vissuto lavorando come lavapiatti durante una parentesi della sua vita di estrema miseria. Piu' avanti passiamo davanti al Lycee Henry IV intravedendo la Tour Clovis, ampiamente ristrutturata, ma comunque ultimo reperto dell'abbazia di Sainte-Genevieve (Sainte-Genevieve e' la santa patrona di Parigi) fondata da Clodoveo I nel XIII secolo.

Arriviamo nella piazza che ospita il Pantheon, al cui interno sono custodite le spoglie di famosi personaggi francesi. Girando attorno all'edificio ci lasciamo sulla nostra destra l'Eglise Saint-Etienne-du-Mont e, prima di immetterci nel boulevard Saint-Michelle, facciamo una sosta per riscaldarci, asciugarci un po' e rifocillarci, in un caratteristico cafe'.

Lungo boulevard Saint-Michelle, ci lasciamo alla nostra destra la Sorbonne, antichissima universita' parigina e, dopo aver attraversato boulevard Sain-Germain, arriviamo da li' a poco nel pullulare di vita di place Saint-Michelle, sotto una pioggia finissima che rende tutto magico. Andiamo a fare una foto nella vicina 'nuova' libreria Shakespeare & Company. Per intenderci, quella ripresa in una scena di Midnight in Paris, che nulla ha a che spartire con l'originale, gestita da Sylvia Beach che si trovava al numero 12 di rue de l'Odeon, che andremo a visitare piu' avanti nel nostro tragitto. Anche se al suo posto troveremo un grande portone di un condominio con un annesso anonimo negozio di non so che genere di articoli. Una targa affissa al muro, comunque, ricorda che in quel posto Sylvia Beach pubblico' Ulysse di James Joyce.

Mi innamoro delle viuzze intorno a place Saint-Michelle, ma il tour continua, e siamo ancora parecchio indietro rispetto alla tabella di marcia. Proseguiamo lungo quai des Grands Augustins, famoso per la presenza delle caratteristiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano) che costeggiano l'argine della Senna. Passiamo davanti alla casa dove Picasso visse e completo' il suo capolavoro Guernica. Ritornando sul boulevard Saint-Germain, ci troviamo davanti alla statua di Georges Danton.

E' tardi. Qualcuno abbandona la passeggiata perche' siamo ormai zuppi d'acqua fino all'ultimo capello. Ma il resto della compagnia va avanti imperterrita, proseguendo su boulevard Saint-Germain, fino ad arrivare all'Eglise Saint-Germain des Pres. Di fronte si trova Les Deux Magots, che Hemingway cita nel racconto La fame era un'ottima disciplina di Festa mobile, quando lo evita uscendo dal Lipp per andare verso casa. Les Deux Magots, assieme al Cafe' de Flore che si trova tutt'oggi alle sue spalle, erano due locali a quell'epoca molto frequentati dagli intellettuali.

Altri locali nei dintorni che abbiamo avuto piacere di 'scovare' secondo le indicazioni della nostra guida, sono l'Hotel Saint-Germain des Pres (dove ha soggiornato negli anni trenta Henry Miller, che a seguito di questa esperienza scrisse Letters to Emil), Bistrot Le Pre aux Clercs (frequentato da Hemingway), il vecchio Hotel d'Alsace (dove mori' Oscar Wilde e soggiorno' Jorge Luis Borges), l'Hotel d'Angleterre (dove Hemingway passo' la sua prima notte quando arrivo' a Parigi), l'Hotel d'York (dove nel 1783 fu firmato il trattato in cui veniva riconosciuta l'indipendenza americana). La serie di locali lungo le viuzze che si intrecciano intorno all'Eglise Saint-Germain si conclude con l'anonimo cafe' Le Comptoir des Saint-Peres, un tempo meglio noto come Michaud, famoso perche' era frequentato da Joyce, come viene descritto anche da Hemingway in Festa mobile.

La luce del giorno viene meno. Facciamo in tempo ad arrivare alla Fointaine des Quate Eveques, davanti all'Eglise Saint-Sulpice, resa famosa dal romanzo Il Codice Da Vinci di Dan Brown. Avrei voluto entrare per mettere quanto meno il piede sulla Linea della Rosa, ma era gia' chiuso. Ci sarebbe stato ancora tanto da vedere. E cosi' ci immettiamo, felici ma con un velo di malinconia, sulla metro che ci porta a Montmartre.

Una calda doccia, un po' di relax, una cena calorica in uno dei tipici locali intorno all'albergo, e siamo pronti a deliziarci alla vista della Tour Eiffel in uno sfavillio di luci, da place du Trocadero. Nulla a che vedere con la vista triste dello stesso monumento, con la luce naturale. Un piacevole momento della giornata che colma di soddisfazione e assopisce i nostri ultimi sogni a Parigi.

E' l'alba di un ultimo giorno che trascorriamo in questa splendida citta'. La pioggerellina caratterizza ancora la nostra permanenza. Ma nulla influisce sul nostro programma. Un tranquillo giro per l'Ile de la Cite', o meglio per quella parte dell'isola che ancora non abbiamo visto. Passiamo davanti al palazzo di giustizia, per arrivare all'estremita' occidentale dell'isola, passando per place Dauphine, per scattare qualche foto sotto la statua di Enrico IV a cavallo e sulla attigua cuspide che divide il fiume in due.

Proseguiamo sul quai ('banchina') meridionale, passando sotto pont Neuf che, nonostante l'appellativo, e' il ponte piu' vecchio di Parigi. Bianco per il colore della pietra che lo costituisce, e sontuoso per le curve prorompenti delle sue arcate, scopriamo con immenso piacere l'angolazione della locandina del film Midnight in Paris che ritrae il ponte e ci immedesimiamo in una serie di foto con l'illusione di essere per un attimo i protagonisti dell'opera di Woody Allen.

E' bello anche ricordare il pranzo, in uno di quei locali tipici intorno a place Saint-Michelle, a tavola vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada di mattonelle di porfido costantemente innaffiate dalle gocce di pioggia che cadono placide e incessanti da un cielo grigio e da un'aria gravida di umidita' che inspiegabilmente rende felici alla vista. E in quel momento non vorresti nulla di diverso. Nemmeno da cio' stai per mangiare. Una zuppa francese con pane raffermo e del beuf du Charolais con caratteristica salsa verde. Avrei voluto anche riuscire a sorseggiare un buon vino rosso della Bourgogne. Ma se ne riparlera' in una Parigi di un'altra vita.

UEFA Euro 2012 e Julia Timosenko

domenica 03 giugno 2012

Anche a noi Italiani che di politica estera ci interessiamo davvero poco, come se fosse qualcosa di marginale per la nostra societa' e per il nostro futuro, ci sara' capitatato di non passare indifferenti davanti a qualche servizio televisivo o a qualche foto sul giornale di una bella donna dai capelli biondi con una lunga treccia raccolta sul capo, collocata in mezzo ad una cerchia di personaggi che dall'aspetto rispondono allo stereotipo di politico, presentata come il massimo rappresentante di uno stato post-sovietico, quale l'Ucraina.

A molti la sua immagine avra' suscitato l'idea di un comunismo morto e sepolto, di un rinnovamento e di un cammino verso la democrazia che ha bruciato tutte le tappe, volgendo a vele spiegate verso orizzonti mai immaginabili per gli stati dell'Est.

Pure a me ha fatto piacere pensarlo. E, sebbene non abbia seguito molto da vicino la storia di questo giovane stato, la Rivoluzione Arancione mi ha emozionato. Mi ha fatto pensare a come l'uomo riesca a prendere coscienza dell'obiettivo del bene comune e riesca ad appropriarsi della propria vita, intesa nel senso piu' puro del termine. E se tanto fascino possono arrecare eventi come questi in una persona, non e' certo solo perche' si e' altruisti a tal punto da empatizzare certe vittorie umane cosi' lontante che apparentemente non potranno mai lambire il proprio modo di essere. Difatti, esse sono uno stimolo anche per chi certi problemi li ha abbondantemente superati. Semplicemente perche' la democrazia in cui si pensa di operare, in realta' e' uno strumento che va raffinato per incarnare il vero senso del termine.

Julia Timosenko, ex premier ucraino, e' in carcere dall'agosto del 2011 ed e' stata condannata a sette anni di reclusione per abuso di atti di ufficio. E' stata accusata di aver comprato il gas dalla Russia ad un prezzo piu' alto di quello che ha pagato la Germania. Sulla vicenda si e' gia' pronunciato gia' il Comitato di Helsinki per i Diritti Umani, concludendo che l'ex premier aveva semplicemente preso una decisione politica.

L'Ucraina e' attualmente guidata da Janukovic (*), che la Timosenko ha scansato con l'aiuto del 'popolo arancione' nel 2004, quando gia' il premier russo Putin si apprestava a salutarlo come nuovo presidente. Dall'8 giugno al 1 luglio l'Ucraina ospitera', assieme alla Polonia, l'edizione 2012 degli europei di calcio (UEFA Euro 2012).

La Germania e' stato uno dei paesi che piu' di altri si e' mostrato paladino della difesa di Timosenko, ritenendo che ha bisogno di cure che l'Ucraina non puo' garantire e ha dato la propria disponibilita' per prestare l'assistenza medica necessaria. Si sostiene, che il peggioramento delle patologie di cui gia' la Timosenko soffriva gia' da tempo sia attribuibile alle condizioni precarie che le vengono riservate in carcere. Infatti, ha trascorso la prima parte della sua prigionia in una cella di appena sedici metri quadrati, priva di ogni minimo comfort (se si esclude un misero televisore), del carcere penale femminile di Charkiv, citta' ucraina ai confini con la Russia. Oggi e' stata ricoverata nel vicino ospedale delle ferrovie, appositamente attrezzato per le sue cure, avendo l'Ucraina respinto le richieste della Germania.

Tutto suona come un complotto. Uno di quegli sporchi complotti su cui pende l'ombra della Russia rabbiosa per aver perso il controllo di quelli che un tempo costituivano la nuvola di 'stati-satellite' dell'impero sovietico. Sarebbe a questo punto del tutto lecito avallare l'idea del sabotaggio di UEFA Euro 2012, portata avanti in un primo tempo da potenze come la Germania, mitigata dalla Polonia (nonostante la critica aspra alla politica adottata dall'Ucraina), e poi definitivamente scongiurata.

Tuttavia, non si puo' prescindere della storia passata della Timosenko per arrivare ad una conclusione individuale e quindi ad una presa di posizione dei singoli che nel complesso possa avere un peso nel cosmo della politica internazionale.

Julia Timosenko e' originaria di Dnipopetrovsk, dov'e' stata cresciuta dalla madre Ljudmila, operaia di fabbrica. La sua intraprendenza e' venuta fuori appena maggiorenne, quando ha sposato Oleksandr, figlio di un funzionario di partito. Da lui ha avuto una figlia, Evgenija, che adesso vive all'estero e sostiene vivacemente la causa della madre. In quegli anni ha avviato l'attivita' di noleggio di videocassette. Ma la vera svolta l'ha avuta con l'avvento del crollo del comunismo allorquando un investimento nella borsa russa le ha reso possibile ricavare un bel gruzzolo di soldi.

Ha cosi' partecipato all'acquisto di alcune aziende di stato e successivamente ha fondato il consorzio energetico UESU ('Sistemi energetici uniti d'Ucraina') il cui fatturato si aggirava attorno ai dieci miliardi di euro. Dopo la prima incarcerazione nel 1995, sostanzialmente in conseguenza di affari stipulati con imprenditori corrotti e della caduta di potere da parte del suo protettore politico, decide di intraprendere in prima persona la strada della politica in qualche modo per sopravvivere nel panorama economico ucraino.

Un aspetto che in Italia la farebbe associare a Berlusconi. Tuttavia, i fatti raccontano una sua sincera devozione all'instaurazione della legalita' in Ucraina, relegandosi ad una vita piu' sommessa e facendo delle cospicue donazioni a favore della comunita' e delle universita', in termini sia di denaro che di beni di prima necessita'. La sua ascesa politica trova diversi ostacoli e in particolar modo e' temporaneamente bloccata nel 2001 quando sopravviene un nuovo arresto e lo smantellamento delle sue aziende, dopo che ha tentato di imporre delle regole per far pagare le tasse e aumentare la concorrenza nell'imprenditoria energetica ucraina.

Questa tappa della vita della Timosenko sembra essere fondamentale per la formazione della sua cultura politica e per la determinazione che le permettera' di arrivare a diventare premier nel 2005. E il cambiamento e' enfatizzato in tutto il suo potere impressivo dal look che e' il marchio che ha cattuarato almeno una volta anche quella maggior parte delle persone che non seguono la politica, men che meno quella interna dell'Ucraina.

Adesso, quindi, si ha un quadro tale da potersi mettere nelle condizioni di decidere se guardare il prossimi europei calcio (anche se realmente motivi per non seguire il calcio ce ne sarebbero gia' tanti). Se non fosse che tale visione piu' ampia dello scenario mostra dei veri grovigli e rende quindi piu' ardua ogni decisione su quale parte prendere.

Alla base di tutto c'e' l'intreccio 'politica-economia', la cui pretesa di renderlo di fatti (e non solo con le parole) inammissibile, escluderebbe o almeno ridurrebbe al minimo la possibilita' che i politici agiscano in malafede. In un tale quadro anche Julia Timosenko potrebbe essere facilmente scagionata da qualsiasi accusa infame le venisse mossa contro, non solo da persone senza scrupoli 'filo-sovietiche'.

Diversamente, questo caso sarebbe un buon esempio di un politico che paga quando commette uno sbaglio che tocca una comunita' di persone ampia quanto una nazione. Chi non riterrebbe giusto che danni di proporzioni cosi' ampie non venissero cosi' pagate da chi ha le responsabilita' delle decisioni che le hanno causate? In un contesto a noi piu' familiare, qualcuno ricorda Duilio Poggiolini e le truffe alla sanita' e puo' affermare che ha subito lo stesso trattamento dei presunti reati commessi dalla Timosenko?

Giusto per richiamare qualcosa di piu' confrontabile, piu' recente e piu' eclatante, qualcuno ricorda che nel 2010 il ministro della Sanita', Ferruccio Fazio, ha regalato milioni di euro alle case farmaceutiche per comprare dei vaccini totalmente inutili? Senza escludere che forse l'istituzione del Ministero della Salute e la nomina di Fazio a ministro della Salute e' stato solo un modo per coprire Maurizio Sacconi, che in precedenza copriva la guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nello stesso governo Berlusconi, anche essendo marito del direttore generale di Farmindustria, Enrica Giorgetti.

Di tutta questa vicenda, qualcuno ricorda per caso se qualcuno di questi signori ha mai pagato? Oggi probabilmente molti dei nuovi poveri dovrebbero pesare sulla loro coscienza e noi ci dovremmo sentire sereni quando guardiamo una partita di calcio alla televisione.

Festa mobile

martedì 22 maggio 2012

Quando ho capito che questa era la vera guida per visitare Parigi, mi sono precipitato alla Feltrinelli per prenderne una copia. Non so' se nel recensire questa raccolta di racconti pubblicata in due diverse versioni dopo la morte del suo autore, Ernest Hemingway, riusciro' a fare a meno dell'eccitazione di una serie di tasselli che si legano a questa nuova esperienza di lettura. Ma sicuramente non penso che posso evitare di ringraziare questo autore per le emozioni che mi ha fatto provare nel leggere e rileggere le pagine del libro sia prima che dopo averne visto i luoghi dove molte delle situazioni sono ambientate, che hanno suscitato diverse ma ugualmente forti sensazioni di vivere i racconti dal di dentro.

Tuttavia, ancor prima di queste motivazioni, la lettura e' gia' ampiamente appagante per quanto di nuovo e interessante ha portato nel mio animo. Anche gia' solo leggendo l'incipit.

La versione che ho letto e' l'ultima pubblicata in ordine cronologico, ed e' premessa da Patrick Hemingway, primo figlio dell'autore nato dal suo secondo matrimonio, quello con Pauline Pfeiffer. Mentre e' introdotta dal nipote Sean (figlio di Gregory, secondogenito del matrimonio dell'autore con Pauline Pfeiffer), che ne e' anche curatore.

In particolare, la premessa si sofferma sul significato di festa mobile che Hemingway tira in ballo nella celeberrima frase:

If you are lucky enough to have lived in Paris as a young man, then wherever you go for the rest of your life, it stays with you, for Paris is a moveable feast.

Il concetto di festa mobile infatti, di primo acchito, lascia pensare che Hemingway intenda che Parigi e' una festa, per chi la vive, in ogni suo posto, in ogni situazione, in ogni diverso giorno. In realta', Patrick Hemingway si distingue chiaramente da questa banale interpretazione e associa festa mobile agli appuntamenti che si ripropongono annualmente ma non con cadenza semplicemente individuabile da un preciso giorno del calendario. La Pasqua, ad esempio, e' una festa mobile. E mobili sono tutte le feste che dipendono dalla Pasqua, come la Domenica delle Palme. Una gioia che permane nell'individuo a prescindere dallo spostamento della stessa nello spazio e nel tempo. Come l'amore e la felicita'. Parigi e' cosi', per chi l'ha vissuta secondo i crismi citati da Hemingway nella sua celeberrima frase. La sua posizione, relativamente all'individuo 'abbastanza fortunato' che l'ha vissuta 'come un giovane uomo', non muta il fascino, che verra' portato dentro come una parte di se'.

L'introduzione invece spiega le ragioni di questa edizione speciale, che differisce dalle precedenti. L'opera infatti non e' stata mai pubblicata quando l'autore era in vita, sebbene il materiale c'e' sempre stato tutto. Ed era stato addirittura generato in sovrabbondanza nel perfetto stile dell'autore che amava rifarsi a una vecchia regola che professa:

La qualita' di un libro deve essere giudicata, da parte di chi lo scrive, dall'eccellenza del materiale che elimina.

Tuttavia, come il curatore di questa edizione fa notare, sebbene lo scrittore avesse elencato una lista dei racconti che dovevano prendere parte alla versione definitiva del libro, non e' riuscito mai a scrivere un'introduzione e un capitolo finale che lo avessero soddisfatto. Anche se ci aveva provato. Non riuscendoci probabilmente perche' la malattia e le cure devastanti che gli hanno praticato, avevano gia' divorato le qualita' che ne hanno fatto di lui quello per cui oggi lo ricordiamo. Ed erano ad un passo dal divorare anche la sua vita.

Sean Hemingway spiega la differenza tra questa edizione e la prima, pubblicata nel 1964 a tre anni di distanza della morte del nonno, e curata da Mary Welsh (quarta moglie di Hemingway) e Harry Brague. In questa edizione sono stati inseriti nella sezione principale tutti i capitoli scelti da Hemingway, rispettandone una sua volonta'. Altri racconti invece sono stati inseriti nella sezione 'Altri sketch parigini'. Il curatore di tale edizione fa inoltre notare che lo scrittore ha dato solo il titolo a tre dei racconti presenti nella stesura finale del romanzo (Ford Madox Ford e il discepolo del diavolo, Nascita di una nuova scuola e L'uomo che era marchiato a morte)

Agli altri racconti, Sean Hemingway ha scelto di lasciare il titolo assegnato dai curatori della prima edizione. Tuttavia, rimarca di essersi permesso di ripristinare alcune sezioni in cui Mary Welsh e Harry Brague avevano preferito le citazioni di Hemingway in forma impersonale a quella in prima persona, contrariamente alla scelta definitiva dell'autore.

Il curatore, inoltre, aggiunge una interessante serie di considerazioni sul titolo che avrebbe dovuto avere l'opera. In sostanza, l'autore propose una serie lunga di titoli dei quali quella piu' plausibile e' parsa L'occhio precoce e l'orecchio (Com'era Parigi ai primi tempi). Ma alla fine Mary Welsh decise di adottare il titolo con cui oggi questa opera e' nota, che in lingua originale e' A moveable feast. Dove si noti che di proposito e' stato scelto di usare la deformazione dell'aggettivo 'movable'. Il primo motivo e' la propensione di Hemingway a non elidere l'ultima lettera nel formare l'aggettivo a partire da quei verbi che terminano in 'e'. Il secondo motivo, invece, e' la piacevole assonanza che si ottiene accoppiando i termini 'moveable' e 'feast' che presentano entrambi le occorrenze di 'ae' al loro interno.

E' stato piacevole poi leggere i capitoli di questo romanzo. Tutti in generale. Senz'altro e' stato piacevole leggere il primo dei racconti di questo libro, Un bel Cafe' in Place St-Michel, soprattutto per via del fatto che il tragitto seguito da Hemingway per giungere da casa sua, al numero 74 di rue de Cardinal Lemoine, fino a place St-Michel, e' coinciso con buona parte della 'passeggiata letteraria' nel quartiere latino che ho avuto la fortuna di percorrere. Ma poi, quando sono riuscito ad astrarmi da questa condizione vissuta, sono ancora riuscito a trovarlo irresistibile anche perche' l'autore scrive di se' nelle sue giornate semplici ma che magicamente con le sue parole riesce a rendere cariche di fascino. E non so quanto Parigi c'entri.

In altri capitoli, Hemingway parla ancora di Parigi negli angoli della Rive Gauche e anche fuori, associandola alla sua condizione economica che non sono riuscito a realizzare del tutto, sebbene rimarcata lungamente dentro l'opera. Ma all'infuori di questo, emerge l'occhio attento di una persona che anche nello scorrere della quotidianita' di una nuova e diversa realta' di quella dov'e' nato e cresciuto, riesce a carpire e immortalare determinati aspetti che anche a distanza di decenni, quando lui li descrisse, non sembrano nostalgia ma emozioni vissute e segregate a lungo dentro al cuore.

Oltre questo, Hemingway, si proietta sul racconto di persone conosciute e vissute nel suo soggiorno parigino che va dal 1921 al 1926. E qui emerge, dopo l'occhio, anche la bonta' del suo orecchio. Dell'orecchio della persona che sa ascoltare e sa selezionare le parole dei suoi interlocutori. Come e' pure evidente che l'autore e' senz'altro uno che sa se dire certe parole o non dirle. Forse arrivando ai confini del subdolo e dell'ipocrisia. Che si manifestano quando le sue impressioni vengono riportate in questi racconti. Ma poi, a un certo punto, essendo l'uomo anche risultato delle decisioni di quello che ritiene di controbbattere rapportandosi con gli altri, e quello che decide di tener dentro, data la giovane eta' e anche la buona fede che sgorga dai suo racconti, altro non puo' essere che saggezza precoce.

D'altra parte non sarebbe giusto trarre diverse conclusioni se non si acoltano i dialoghi e non si guardano in faccia i personaggi che Hemingway si e' trovato di fronte in quel periodo. Gertrude Stein, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald e tanti altri, sono tutti personaggi ritratti sotto aspetti incredibilmente umani ma allo stesso tempo oggettivi - quasi in linea con il pensiero impressionista dei quadri di Cezanne che Hemingway ammirava e 'usava' per dare forma alle sue capacita' critiche, che pero' non escludono la possibilita' a chi legge i racconti di queste scene, di farsi un'idea del tutto personale degli stessi personaggi.

A proposito di questa maturazione acquisita dall'osservazione dei quadri impressionisti, c'e' un racconto molto interessante intitolato La fame era un'ottima disciplina, in cui lo scrittore ha finalmente la possibilita' di levarsi di dosso (come in tanti altri racconti di questo libro ha potuto fare) un velo di ingiustificata ma comprensibile vergogna ed esternare le sensazioni che aveva provato a quel tempo. Quando non tornava a casa per pranzo inventandosi la scusa che mangiava fuori con qualcuno. Mentre realmente non c'erano soldi per mangiare e passava le ore del pranzo al museo del Luxemburg a guardare i quadri di Cezanne e ad imparare a coglierne il messaggio. E' bello anche tutto il resto del racconto che lo vede arrivare sino alla libreria Sheakspeare and Company di Sylvia Beach e con lei intrattenere un bel dialogo. E fa percepire il sacrificio e la successiva soddisfazione di quando Sylvia Beach gli consegna la busta con seicento franchi inviatogli dalla rivista tedesca Der querschnitt per cui aveva scritto dei racconti. Come pure fa percepire la ventata di serenita' che, con il giusto atteggiamento, finisce sempre per arrivare, anche dopo momenti estremamente difficili, quando ha modo di sedere alla brasserie Lipp e farsi passare la fame.

Poi ci sono persone qualsiasi a cui Hemingway ha voluto dare spazio dentro questo libro. Forse a voler manifestare le origini umili da cui lui proveniva e l'essere stato uno come tanti. Forse semplicemente perche' le sue capacita' relazionali gli hanno permesso di vedere le qualita' all'infuori del valore che la societa' da' alle persone. E' il caso del cameriere Andre' della Closerie des Lilas, quando Hemingway racconta di una sua uscita con il poeta Evan Shipman nel capitolo Evan Shipman ai Lilas. Un breve passo, ripreso anche in altri punti del romanzo che evidenzia i principi e la dignita' e la lotta circoscritta ma pregna di significato che anche nelle persone, persino piu' anonime, puo' avere un senso.

Molti dei racconti danno spazio al rapporto con Hadley (prima moglie di Hemingway). Un rapporto la cui bellezza chiunque puo' cogliere leggendo le storie, perche' maturato nelle molteplici difficolta' che Hemingway si trova ad affrontare in questo periodo della sua vita. E forse il richiamo a eventi apparentemente insignificanti, ma che, visti con la retrospettivita' dello scrittore, diventano quasi fondamentali per la fine di questa relazione, che aggiunge una nota profondamente malinconica quando lo scrittore si sofferma su essi. Dando cosi' di conseguenza una marcata importanza al rapporto.

Il racconto piu' significativo in questa ottica, diventa Una falsa primavera. La sensazione conscia di fame che Hemingway avverte quando insieme ad Hadley attraversa il ponte al ritorno dal'ippodromo di Auteuil, e la conseguente decisione di andare al prestigiosissimo Michaud per festeggiare la vincita alle corse dei cavalli, rivela poi una verita' inconscia a cui lo stesso scrittore non da' maggior adito:

Fu una cena fantastica da Michaud una volta entrati; ma quando avemmo finito e la fame non era piu' una possibilita', la sensazione che ci era sembrata fame quando eravamo sul ponte era ancora tutta li' quando prendemmo l'autobus per casa nostra. C'era ancora quando entrammo in camera e dopo essere andati al letto e aver fatto l'amore al buio, era sempre li'. Quando mi svegliai con le finestre aperte e il chiaro di luna sui tetti delle grandi case, era li'. Distolsi la faccia dal chiaro di luna riparandola nell'ombra ma non riuscivo a dormire e rimasi sveglio a pensare a questo. Tutti e due ci eravamo svegliati due volte nella notte e mia moglie ora dormiva dolcemente con il chiaro di luna sul viso. Avrei dovuto cercare di risolvere il problema ma mi sentivo troppo stupido. La vita era sembrata cosi' semplice quella mattina quando mi ero svegliato e avevo trovato la falsa primavera e sentito la zampogna dell'uomo con il suo gregge di capre ed ero uscito per comperare il giornale delle corse.
Ma Parigi era una citta' molto vecchia e noi eravamo giovani e li' non c'era niente di facile, neanche la miseria, ne' i soldi improvvisi, ne' il chiaro di luna, ne' la ragione e il torto ne' il respiro di qualcuno sdraiato al tuo fianco al chiaro di luna.

Mi piace notare che nello stesso racconto, Hemingway descrive la situazione vissuta con Hadley davanti al Michaud che e' gremito, e mentre attendono per entrare osservano attraverso i vetri James Joyce con la sua famiglia, seduti al tavolo. Scena oramai famosa e comunque ripresa nel capitolo Sheakspeare and Company. In tale capitolo, il protagonista parla della sua scoperta della biblioteca e libreria di Sylvia Beach, al numero 12 di rue de l'Odeon. Hemingway descrive il suo primo impatto con la biblioteca soffermandosi sulle foto degli scrittori, sia morti che viventi, appese ai muri. E chiede quindi con quale frequenza Joyce si reca in quel posto e da li' il discorso scivola sulla scena del Michaud. In quegli anni Sylvia Beach scrisse a macchina la copia dell'Ulisse di James Joyce da cui segui' la pubblicazione dell'opera.

Festa mobile e' un libro vero e schietto. E penso che non lo lascero' molto spesso fermo nella libreria da fargli prendere tanta polvere e ingiallire. Di tanto in tanto, ci sara' sempre l'esigenza di riprenderlo in mano per cercare qualche episodio che tratti di un personaggio o di una peculiarita' dello scrittore o semplicemente avro' l'esigenza di rivivere Parigi sotto uno dei suoi aspetti piu' affascinanti che me l'hanno fatta conoscere.

Frasi


  • p. 33: "Oramai sapevo che qualsiasi cosa bella o brutta lasciava un vuoto quando finiva. Ma se era brutta il vuoto si riempiva da solo. Se invece era bella potevi riempirlo solo trovando qualcosa di meglio. (Fine di una passione)"
  • p. 38: "Avevo gia' imparato a non esaurire mai il pozzo della mia scrittura; bensi' a fermarmi sempre quando c'era ancora qualcosa nel profondo del pozzo, e lasciare che tornasse a riempirsi di notte dalle sorgenti che lo nutrivano. ("Una generation Perdue")"
  • p. 62: "Dicono che in tutti noi ci sono semi di quello che faremo, ma a me e' sempre sembrato che in quelli che nella vita scherzano siano coperti da un terreno migliore e da un letame di piu' alta qualita'. (Con Pascin al Dome)"
  • p. 68: "Alla fine tutti, o non proprio tutti, tornavano ad essere amici tanto per non essere testardi o permalosi. Lo feci anch'io. Ma non riuscii ad essere piu' amico davvero, ne' con il cuore ne' con la testa. Quando non riesci ad essere piu' amico con la testa e' la cosa peggiore. (Un finale alquanto strano)"
  • p. 109: "...e gia' mi pesava di non aver lavorato e avvertivo la solitudine mortale che ti coglie ogni giorno che e' sprecato nella tua vita. (Scott Fitzgerald)"
  • p. 180: "Ma vi sono remises o magazzini dove puoi lasciare o immagazzinare cose come un baule con serratura o un borsone contenente effetti personali o poesie inedite di Evan Shipman o carte geografiche segnate o anche armi che non c'e' stato il tempo di consegnare alle autorita' competenti e questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima e' stata manomessa e il secondo non esiste (*). (Nada y pues Nada)"

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