Il cacciatore di aquiloni
martedì 21 settembre 2010
Ho comprato questo libro a distanza di diversi anni dalla sua pubblicazione, quando oramai lo davano in offerta sulle bancarelle di un supermercato. Un ottimo affare e un bello spunto di lettura per la mia sorellina - pensavo, visto che ricordavo il tema molto adatto anche ad un pubblico adolescenziale del film che ne e' stato tratto.
Tuttavia, ricordavo nitide le belle emozioni trasmesse dal film. A parte la storia, di per se molto profonda che va a sviscerare sentimenti come i sensi di colpa giovanili - ma non per questo banali - che spesso pervadono l'essere umano e finiscono per accompagnarlo lungo il suo cammino dell'eta' adulta, sono stato attratto dall'ambiente in cui si sviluppa la prima parte del romanzo.
Gli scenari dell'Afghanistan con le sue distese verdi e le alte montagne innevate che delimitano i lontani orizzonti, suscitano una sensazione di chiusura ma, allo stesso tempo, di protezione dentro spazi inesauribili e di piacere senza fine.
Per questo, e anche a causa di un pomeriggio noioso, ho iniziato a sfogliare le prime pagine di questo romanzo. E ne sono rimasto catturato. Al punto che, mi sono trovato a leggere pagine e pagine, smarrendo momentaneamente la mia percezione spazio-temporale.
L'Afghanistan, presentato dall'autore Khaled Hosseini, americano ma di origini afgane, acquisisce un fascino che tutto cio' che sentiamo ogni giorno attraverso i media, ha seppellito. Un fascino che, sono sicuro, gli e' appartenuto e che, al di la' del terribile susseguirsi di cambi di potere che ne hanno determinato una progressiva capitolazione del paese (che tra l'altro e' descritta in modo molto chiaro nel romanzo), ancora oggi il suo popolo vero - quello che e' rimasto e quello che e' emigrato in giro per il mondo - custodisce gelosamente, in attesa di un riscatto serbato oramai da decenni.
E questo trapela dalla prima parte dell'opera. L'Afghanistan dei primi anni settanta, e' una monarchia. E nonostante questa non sia l'ordinamento politico che garantisca un adeguato livellamento sociale, e' il periodo in cui sembra che si viva meglio in quel paese. Forse e' la veduta da una particolare angolatura. Forse e' la descrizione vista con gli occhi dei ricordi di gioventu' del protagonista del romanzo (Amir). D'altronde la divisione tra Hazara e Pashtun c'e' sempre stata. L'essere sciiti spesso ha voluto dire essere inferiori ai sunniti. Almeno per una ragione numerica, visto che tra i musulmani, la quasi totalita' dei fedeli e' sunnita e solo la rimanente parte e' sciita. Il seguito, poi, lo racconta la storia a noi piu' vicina.
Il colpo di stato del 1973 che estromise il re Zahir Shah (quando costui si trovava in visita in Italia) e segno' la fine della monarchia e l'avvento della repubblica. Poi l'occupazione sovietica degli ultimi anni settanta. Non vista sicuramente di buon occhio dagli Afgani che alludevano ai Sovietici in modo elequentemente dispreggiativo con il termine shorawi ('comunisti'). Piu' di dieci anni di occupazione che si concluse in coincidenza con la caduta del muro di Berlino. Non si concluse invece la guerra intestina tra i mujahidin e il governo di Najibullah, appoggiato da Mosca.
Segui' l'occupazione dell'Alleanza del Nord che ha avuto la reputazione di essere stata addirittura peggiore della dominazione sovietica. Al punto che il popolo afgano saluto' con simpatia i Talebani al momento in cui scacciarono l'Alleanza del Nord e presero la guida del paese.
Del dominio talebano, non c'e' bisogno di dire nulla anche solo dopo aver letto la seconda parte del romanzo, quando un Amir cresciuto, ma non ancora adulto, ritorna in Afghanistan dall'America - dove era fuggito con il padre a seguito dell'occupazione degli shorawi - per liberarsi del fardello che pesava insopportabilmente sulla sua coscienza, sin da quel lontano inverno del 1975. Quando vigliaccamente assisti' alla violenza perpretata sul suo amico Hassan, nell'incapacita' di tentare di difenderlo subito e dopo persino facendo finta di non aver visto nulla di tutto cio' che era successo.
Era il giorno del suo ultimo torneo di aquiloni. Un torneo vinto da Amir e Hassan, sotto gli occhi di Baba. Hassan, impeccabile 'cacciatore di aquiloni', aveva promesso ad Amir di consegnargli l'ultimo aquilone che avevano abbattuto e aveva permesso loro di vincere il torneo. Ma dopo aver recuperato l'aquilone per i vicoli di Kabul, Hassan si trovo' davanti Assef e i suoi amici, con il loro odio verso gli Hazara, nella situazione che cambio' per sempre la sua vita e quella di Amir.
In Afghanistan, Amir viveva con il padre Baba in quella che era considerata la piu' bella villa di Wazir Akbar Khan, un quartiere residenziale di Kabul. Hassan, insieme al padre Ali, erano i servi della famiglia di Amir e dimoravano in una casupola dietro la villa. Tuttavia, Baba aveva un rispetto particolare per Ali e, in modo particolare, per Hassan, che in realta' era suo figlio, nato da una relazione con Sanaubar, bella donna di origine Hazara e moglie di Ali.
Pur rimanendo figlio di un servo, Hassan era il compagno di giochi di Amir. Ma la sincerita' e l'autenticita' di Hassan, oltre che la particolare attenzione che Baba gli dava, mista alle attese disilluse da Amir verso Baba, si rivelarono come un soffocamento per Amir. Una situazione che ostacolo' difatti la relazione di amicizia tra i due e che addirittura sfocio' in una serie di episodi, architettati da Amir, che portarono Hassan e Ali ad allontanarsi dalla villa. Cosi' facendo Amir completo' la sua ingiustizia nei confronti di Hassan.
Ma la seconda parte del romanzo evidenzia come quelle azioni che lasciano presagire l'odio e l'invidia di Amir nei confronti di Hassan, non sono tali. Ma sono solo frutto di un'immaturita' che il tempo fa pesare sulla coscienza di Amir e che l'oblio non riesce a smuovere di un millimetro. Il riscatto di Amir e' un segno forte che c'e' sempre un modo per recuperare, anche nelle situazioni in cui le ferite sono profonde e laceranti. E quindi che c'e' sempre modo per dimostrare la propria umanita' attraverso la propria propensione verso la maturita'.
Tuttavia, il sapore agrodolce che rimane quando il racconto termina, fa pensare che comunque qualcosa sia sfuggito, che qualcosa non sia stato vissuto, nonostante si sia riusciti a rimuovere un fardello dal peso incommensurabile dalla propria coscienza. Come se il dolore e i sacrifici consumati per rimarginare delle spaccature possono rimettere in moto l'oblio, ma non ridare la pienezza che solo sentimenti come la sincerita' e l'autenticita' possono preservare.
Forte e' poi la sensazione che Khaled Hosseini abbia voluto attraverso questa storia, dare un messaggio che l'Afghanistan, nonostante le infamie e le devastazioni subite, possa un giorno ritrovare la riconcilazione e tornare a regalare emozioni alle nuove generazioni, come quelle vissute da Amir e Hassan.
Ecco le frasi per me piu' significative:
Commento del 21 settembre 2010, ore 10:14 da Rocco Scappatura in Libri | Comments[0]