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De Gregori ai Suoni delle Dolomiti

sabato 17 dicembre 2011

Ancora una volta mi trovo a parlare di Francesco De Gregori, sebbene non sia uno di quei cantautori che mi fa impazzire e la sua musica non riesco ad apprezzarla con costanza. Eppure, questo evento speciale e unico e' qualcosa che mi ha toccato nell'animo, suscitandomi emozioni e causandomi motivi di riflessione che spaziano tra gli argomenti piu' disparati. La musica, la natura, l'uomo, la vita e tutto cio' che sembra infinitamente complesso ma che al suo stato puro puo' trasmettere messaggi dentro di noi, se solo ci predisponiamo per accoglierli.

Quale migliore situazione puo' favorire questa ricettivita' se non l'alta montagna. E gia', quell'aspetto della geografia fisica che ho sempre guardato con diffidenza e distacco ma che oggi mi ha fatto vergognare di questo atteggiamento ostile nei suoi confronti. E nella sua immutabilita' e nel suo mutismo mi ha sbeffeggiato, facendomi capire meglio l'inopportunita' del pregiudizio.

E' bastato anche solo osservarne i paesaggi della Val di Fassa per arrossire e capire il rispetto che puo' incutere. Si' perche' non sempre altrove la natura si presenta con la stessa sontuosita'. E rifletterci mi e' servito a capire che in fondo e' l'uomo che preserva la dignita' della natura quando le porta profondo rispetto. E la natura risponde con profondo senso di protezione e altrettanto rispetto e dignita' per l'uomo. Un rapporto simbiotico insomma, in cui pero' l'uomo non deve dimenticare che e' un microrganismo al cospetto della natura.

In tanti sono coscenti di cio'. E' il caso della gente del posto. La gente di Moena, per esempio. E lo percepisci quando attraversi i loro centri abitati. Quando ti fermi e fai quattro passi per le vie del paesino di montagna. Prendi un caffe' e non ti viene nemmeno voglia di fumare una sigaretta, ma di essere come loro. Dediti per una vita a costruire un rapporto con la natura. Tuttavia e' ancora molto piu' numerosa la gente che deve arrivare a comprendere l'importanza di costruire un certo tipo di relazione con la natura ovvero che non capisce che dal rapporto che si instaura con la natura dipendera' la distanza che la specie umana riuscira' a coprire da qua all'eternita'.

Parcheggiamo al passo San Pellegrino. Ci aspettano pochi chilometri a piedi lungo un sentiero agevole che ci portera' nella conca di Fuchiade, un anfiteatro naturale che da li' a breve ospitera' un evento inaspettatamente unico.

L'attesa non e' emozionante. Non e' emozionante quanto la vista della vallata ricoperta da uno strato umano composto e paziente che ha fatto tutto cio' per assistere ad uno spettacolo musicale. Quanto la cornice delle Pale di San Martino in lontananza e la cima Uomo che si innalza imperiosa al nostro fianco. Quanto cio' che ci si presenta di fronte a noi, a fare da sfondo al concerto, ovvero il fondo della vallata verde e curata come un campo da golf, macchiata qua e la' da qualche caratteristica baita interamente costruita in legno, e solcata dalla mulattiera che circumnaviga tutta la conca formando un semicerchio la cui vista, da un estremo, si perde nella discesa verso il fondovalle, e dall'altro, si cela tra le oltre diecimila anime intorno a noi che non hanno voluto perdersi niente di tutto cio'.

Quando pero' arriva Francesco De Gregori, portato su in macchina fino ai margini del palcoscenico al centro del quale c'e' un gazebo che ripara un pianoforte a coda nero dai forti raggi del sole, l'emozione comincia a crescere fino ad esplodere quando arrivano le prime note di Finestre rotte. Accompagnato da due giovani e quantomai bravi musicisti, Alessandro Arianti al pianoforte e fisarmonica, e Elena Cirillo al violino e seconda voce, De Gregori, con la sua chitarra acustica e l'armonica che porta al collo e che alterna alla propria voce, continua con La casa di Hilde, un vecchio pezzo che infonde tutto il mistero e il fascino della sua prosa e delle sue melodie.

Impeccabile ed eclettico anche per via dell'abbigliamento tutto pressocche' nero, in particolare per la giacca in pelle, gli occhiali da vista oscurati con stanghette spesse e il classico cappello che De Gregori soventemente porta in testa. Forse anche tutto questo nero non lascia presagire nulla di buono per la speranza di chi avrebbe voluto vedere un De Gregori sorprendentemente loquace con il suo pubblico. E invece da questo punto di vista ne ha sorpreso di gente e non poca, me compreso.

Infatti, nonostante i fazzoletti, i cappelli e gli ombrelli che coprivano le teste degli spettatori, qualcuno la' davanti ha sofferto troppo il caldo ed e' stato necessario l'intervento dell'assistenza medica. Il concerto e' stato quindi interrotto per permettere i soccorsi e il cantautore alla ripresa ha incitato un applauso per coloro che erano stati male, dando origine ad un gesto solidale che ci ha fatto sentire ad un tratto tutti piu' vicini al palcoscenico.

E dopo canzoni come Niente da capire e Bellamore, di seguito a questo fuori onda, De Gregori si e' esibito in altri grandissimi pezzi. E' la volta di storiche composizioni come Generale, Rimmel e Alice, che oggi diventano memorabili esecuzioni, nonostante l'essenzialita' della band e gli spazi musicali. Forse sono proprio l'aria aperta e i pochi strumenti scelti, che consentono al violino e al pianoforte di disporre larghi spazi per trasmettere emozioni in altre situazioni non percettibili.

Dopo una pausa per riparare la chitarra acustica dai raggi del sole che picchiano duro (sebbene la temperatura e' del tutto piacevole) rischiando di deformare la cassa armonica dello strumento, e per accordare lo strumento che magari intanto una leggera deformazione - e la conseguente perdita d'intonazione - l'ha gia' subita, c'e' spazio per qualche pezzo tra quelli piu' recenti della discografia di De Gregori. E' la volta di Sempre e per sempre, che forse e' la canzone piu' bella dell'album Amore nel Pomeriggio - insieme a Il cuoco di Salo' - perche' e' un'incitazione alla coerenza, un valore sempre piu' difficile da perseguire e che forse e' in De Gregori una di quelle qualita' che risaltano.

Sempre in tema di pezzi della produzione di De Gregori piu' recente, Vai in Africa, Celestino, invece, e' stata la canzone che mi ha coinvolto di meno. Il testo, piu' che mai attuale, riassume - e in qualche modo lo incita - il sentimento sempre piu' comune e pressante, che spinge a mandare tutto in malora davanti alle cose del presente - risultato del destino di cui l'essere umano e' artefice - che non si accettano. Insomma, un invito ad essere tutti 'Celestino', con l'allusione chiara a Celestino V, l'umile eremita che rinuncio' al soglio pontificato perchè disgustato dalla corruzione e dagli intrighi che toccavano la Chiesa del suo tempo. Tuttavia, forse il ritmo che non si addice per essere riprodotto da un simile terzetto, forse anche il lungo ripetersi di ritornelli a un ritmo necessariamente blando a dispetto dell'originaria natura rock del pezzo, hanno dato vita a un'esecuzione da me non propriamente apprezzata.

Quindi si passa a canzoni collocate nel filone politico del repertorio di De Gregori, come La storia siamo noi e Viva l'Italia, che danno sempre uno spunto per tenere alto lo sguardo su valori lontani che a tratti sembra che si perdono e solo la magia di queste note riportano in mente, e che comunque non sminuiscono l'emozioni fin qui trasmesse dalle precedenti canzoni.

Tra i brani a me non noti, ce ne sono stati due che hanno catturato oltremodo la mia attenzione. Il primo, Atlantide, mi ha attratto principalmente per la melodia del violino in sottofondo ed e' un pezzo che solo dopo ho scoperto essere il 'lato B' del 45 giri Bufalo Bill, del 1976. Bufalo Bill che forse e' stato il solo vero grande rimpianto di questa performance, che ho sperato fino alla fine di poter ascoltare ma che poi non ho potuto far altro che constatare non essere parte della scaletta.

L'altra esecuzione che mi ha colpito parecchio e che per questo mi ha fatto riporre maggiore attenzione al testo fino ad incuriosirmi e ad andarlo ad ascoltare piu' attentamente in seguito, e' senz'altro L'uccisione di Babbo Natale. Anche se sono persuaso che per provare una curiosita' tale da andare a scutare tra le righe del testo di questa canzone sarebbe stato sufficiente aver udito semplicemente il titolo.

Il titolo lascia presagire ad un inno alla fine dell'eta' in cui si crede a Babbo Natale. Una canzone che parla dell'amore tra due giovani di estrazione sociale diversa. Proletaria lei ("Dolly del mare profondo, figlia di minatori...") e borghese lui ("...insieme al figlio del figlio dei fiori."). Sono tentato di fare qualche pensiero sull'omicidio, da parte del ragazzo, di Babbo Natale come all'uccisione del simbolo della borghesia, alla stregua di un gesto d'amore che rompe anche le barriere sociali (altrimenti - mi chiedo io - che senso avrebbe avuto parlare di una coppia di ragazzi appartenenti a due ceti sociali diversi?). Ma mi basta poco a placare l'ansia di dare una spiegazione a tutto, convinto come sono che certe sensazioni che affiorano appena, quando sono provocate dalla poesia, e' meglio se le si lasciano la' a trastullarti l'anima. E cosi' mi limito ad una spiegazione piu' tangibile del testo.

L'infanzia legata a Babbo Natale - in cui i due credono - e all'inganno del tempo che non dovranno ingannare a lungo ("...ingannano il tempo ma non dovranno ingannarlo a lungo.") - in quanto sta per finire l'eta' infantile. E a segnare questa fine e' l'assassinio di Babbo Natale. Dolly che gli pulisce le mani con il pane ("E Dolly gli pulisce le mani con una fetta di pane,...), il cane che abbaia ("...e da lontano sta abbaiando un cane.") e le nuvole che passano dietro la luna ("...le nuvole passano dietro la luna..."), mi fanno pensare qualcosa di piacevole nella dimensione della nuova eta'. E penso che possa tranquillamente trattarsi della scoperta del sesso di coppia che al contempo rivela il piacere ("...i due si dividono il fungo e intanto mangiando...") e nasconde un certo senso di colpa. La neve che comincia a cadere ("E la neve comincia a cadere,...") e i due che per la mano ritornano dai genitori ("Cosi' Dolly del mare profondo e il figlio del figlio dei fiori si danno la mano e ritornano a casa, tornano a casa dai genitori.") sono un modo per indicare la coscienza che si purifica dal senso di colpa, come a voler rimarcare un salto nel cammino dell'eta' dei due giovani.

E' passata poco piu' di un'ora dalle 14, quando il concerto e' iniziato. Non si puo' chiedere molto di piu' in queste condizioni a Francesco De Gregori che saluta tutti. Ma i diecimila lo vogliono ancora ascoltare. E lui, che poco prima aveva anche detto <<Questo e' davvero un bel posto dove cantare>>, e' tornato al centro del prato e ci ha fatto ascoltare dapprima un classico che ben si lega al posto che ha ospitato questo concerto speciale, ovvero Stelutis Alpinis. Per poi chiudere con La donna cannone, come degno coronamento di un concerto che in molti hanno visto, ma in tanti - me compreso - sono convinti di aver solo sognato.

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