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Sulla Via degli Dei

venerdì 25 novembre 2011

Non c'e' niente di originale nel decidere di fare un percorso di soft trekking di un centinaio di chilometri. Oggi sembra una scelta del tutto comune fare un po' di giorni fuori, unendosi completamente con la natura e mettendo da parte il tumulto della quotidianita'.

Anche questo percorso quindi potrebbe essere una scelta volta a perseguire obiettivi di tranquillita' e di riscoperta delle radici della vita dell'essere umano. Risulta invece del tutto originale che un tale percorso sia stato scelto per festeggiare l'imminente matrimonio di uno di noi. Ma la bizzarra idea ci e' sembrata a tutti subito una cosa molto piacevole da fare e un'occasione per rafforzare quel gia' forte vincolo di amicizia basata su un rispetto implicito che non fa uso di inutili formalita' che appesantiscono i rapporti che non hanno nulla di spontaneo.

Forse era una voglia di verificare questo rapporto, forse era la nostra inattaccabile convinzione di quello che il nostro rapporto era. Forse era piu' semplicemente la nostra volonta' di salutare con un bel ricordo un felice evento.

Cosi', sei amici legati da un vincolo sincero e profondo, e al contempo di rispetto delle proprie liberta' che non sono mai state causa di limitazione dei rapporti umani, si sono riuniti per passare quattro giorni di cammino comune e festeggiare l'addio al celibato di uno di loro.

Il cammino scelto e' un itinerario classico ma - stando a quanto abbiamo potuto osservare strada facendo - non molto frequentato dagli appassionati di questo tipo di esperienze. Si tratta della Via degli Dei.

La Via degli Dei e' un percorso escursionistico tra Bologna e Firenze che segue grossomodo la strada romana Flaminia Militare, costruita dai Romani nel II secolo a.C. per collegare Rimini e Arezzo e rendere al contempo piu' sicuri quei terrirtori da poco conquistati ai danni dei Celti. Il cammino e' stato cosi' chiamato per via dei nomi delle varie montagne che attraversa, che spesso sono quelli di divinita' o fanno ad esse riferimento (Adone, Venere, Giunone, Lua). Il genere prettamente femminile delle divinita' diventa poi un'esortazione della bellezza dei posti attraversati.

Primo giorno: Sasso Marconi - Madonna dei Fornelli

La partenza del percorso e' il Santuario della Madonna di San Luca in Bologna. Ma partendo da qua bisogna seguire un lungo tratto di strada asfaltata e densamente trafficata. Ecco perche' anche noi abbiamo preferito raggiungere la stazione ferroviaria di Sasso Marconi in treno da Bologna, e da li' iniziare la nostra splendida avventura.

Nella piazzetta retrostante la stazione (a cui si accede dal sottopassaggio), sono subito visibili le indicazioni bianco-rosse del CAI con la dicitura Bo-Fi, che ci accompagneranno per tutti e quattro i giorni fino a Fiesole, la nostra destinazione finale. Anche per l'arrivo, come per la partenza, scegliamo di evitare un inutile e noioso tratto di strada statale che da Fiesole porta a Firenze.

Attraversato il ponte sul fiume Reno, comincia subito una salita abbastanza impegnativa, che gia' ci fa pregustare l'impegno richiesto ma anche la bellezza della natura in questo tratto dell'Appenino. Poco piu' su, un altopiano con una gradevole vista a trecentosessanta gradi e una bellissima giornata di sole, ci bloccano per la prima delle nostre tante soste.

Da li' a poco cominciamo a renderci conto della segnaletica confusa del CAI, unita alla poca chiarezza della guida La Via degli Dei edito da Tamari Montagna Edizioni, che avrebbe dovuto essere il riferimento per ogni nostro spostamento. Il gruppo si spacca in due e noi, quando vediamo l'insegna per il monte Adone, non resistiamo alla tentazione di andarci sopra per trovare quanto di piacevole la guida suggeriva. D'altronde, l'immagine sulla copertina della guida ritrae proprio una bellissima vista dalla cima del monte. Sarebbe stato innaturale fare il cammino senza aver visto quel posto. Anche se ai piedi della salita, la gente del posto ci diceva che potevamo tranquillamente evitare di andarci e proseguire il percorso della tappa odierna.

In cima ci ha sorpreso non poco la vista mozzafiato sulla vallata che si apriva davanti a noi, purtroppo solcata dall'autostrada Bologna-Firenze, con il costante ronzio di motori di veicoli in sottofondo. Ma comunque incantevole per la presenza di fronte allo strapiompo davanti a noi, dei Castelloni ovvero di alti torrioni di arenaria che risale al Pliocene, cosi' modellati da fenomeni erosivi caratteristici della Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico di cui il monte Adone fa parte.

Proseguendo, l'autostrada seguiva il nostro cammino alla nostra sinistra. Tuttavia, siamo rimasti attoniti quando leggendo la guida a voce alta, sentivamo dire che camminando ci lasciavamo l'autostrada sulla nostra destra! Adesso coominciavo a realizzare perche' lungo il cammino il cartellone con il messaggio di benvenuto sul monte Adone lo si leggeva solo da dietro rispetto al senso di marcia che noi stavamo seguendo! Stavamo semplicemente seguendo il percorso al contrario. E continuando a seguire quel senso non avremmo fatto altro che ritornare al punto di partenza.

E' stato veramente frustrante dover tornare indietro risalendo le ripide e scoscese discese al di qua della vetta. Ma mantenere la calma in queste prime battute era doveroso.

Piu' avanti i nostri amici, che avevano saggiamente aggirato il monte piuttosto che scavalcarlo, erano placidamente seduti al bar da un'ora e piu'. Riprendiamo assieme e poco piu' avanti ci fermiamo in un grande prato al centro del quale vi era una roulotte abbandonata che faceva molto pensare al film Into the wild di Sean Penn del 2007. E' forse quest'associazione, ancor piu' del languorino che ognuno di noi cominciava a sentire, che ci ha spinti a fermarci per il ristoro.

Alla ripartenza, nuvole minacciose si addensano davanti a noi. Ma non ci fanno paura. Forse e' la noia di lunghi tratti asfaltati che ci deprime. Tra noi pero' c'e' chi riesce a trovare un modo e poi un altro per non pensarci e riderci su, anche in questi momenti di difficolta'. Un pallone bucato, che abbiamo battezzato 'Wilson' con chiaro riferimento al film Cast Away diretto da Robert Zemeckis, con Tom Hanks, del 2000, ci ha tenuto compagnia per parecchi chilometri fino ad avvicinarci a Monzuno.

Nei sentieri che lambiscono Monzuno, invece, ci siamo imbattuti in una fattoria all'interno del quale vi era un casale con dei cavalli e una radiolina che diffondeva musica, a far loro compagnia. In vano abbiamo bussato nelle porte la' intorno, chiamato affinche' qualcuno ci rispondesse e girato alla ricerca di qualcuno, per avere indicazioni sul nostro percorso o per riempire le nostre bottiglie d'acqua. Abbiamo dovuto desistere e andare via. A noi si e' aggreagato un simpatico cagnolino che ci ha fatto strada fino a Trasasso, lungo i sentieri del CAI resi difficili dalla pioggia, e per la strada asfaltata.

Arrivati a Trasasso, un esperto signore di percorsi del circondario, ci ha illustrato le due possibilita'. Seguire la provinciale fino a Madonna dei Fornelli oppure seguire il sentiero che sale fin su la vetta di monte Venere, da cui e' possibile vedere un bel panorama, e poi scendere fino alla nostra destinazione finale della giornata. Parte di noi l'avrebbe fatto. Ma in effetti rischiavamo di trovarci con il buio in mezzo a sentieri in cui non eravamo sicuri di riuscire a districarci facilmente. La pioggia, poi, aveva probabilmente reso viscido e pesante il fondo. Infine tra noi cominciava ad affiorare un principio di esasperazione che non poteva effettivamente essere placato ancora a lungo, prima di esplodere.

E' risultato saggio seguire la strada piu' facile e sicura. Dopo circa dieci chilometri e un ultimo tratto di salita che sembrava interminabile, quando oramai era quasi sera, raggiungiamo il nostro hotel, che avevamo saggiamente prenotato strada facendo.

Difatti non e' che c'erano grandi folle di escursionisti o turisti in genere. E al risorante dirimpetto piu' tardi ci siamo trovati con un gruzzolo di persone del posto o lavoratori dei vicini cantieri della variante del valico. Ma la magia del clima della prima sera insieme e di questo primo momento di tranquillita' dove ci mettevamo alle spalle le fatiche di un intero lungo giorno, non l'avremmo in quel momento scambiata con nient'altro.

Secondo giorno: Madonna dei Fornelli - Monte di Fo'

Una notte si sereno riposo in un confortevole hotel di un grazioso paese misconosciuto dell'Appennino Tosco-Emiliano, e la giornata di sole e di un azzurro limpido, hanno stravolto quella che a tratti il giorno prima si preannunciava come una disfatta generale. Un'allegria e una voglia di iniziare a camminare, ma allo stesso tempo di non bruciare nemmeno un solo secondo dei preparativi per la partenza che erano senz'altro un piacevole momento, su cui nessuno di noi ci avrebbe mai scommesso una lira fino a quel momento.

E cosi' abbiamo cominciato ad incamminarci lungo il sentiero che dolcemente porta sulla vetta del monte dei Cucchi. Uno di noi si e' perso alla ricerca di posti e punti da cui scattare le foto piu' belle. Quelle che renderanno ancora piu' piacevole il ricordo di questo viaggio. Non ce ne curiamo, ma solo fino a quando non giungiamo a un bivio dove non e' cosi' chiaro il tragitto da seguire. E ancora una volta non ci e' molto d'aiuto, esattamente come i segnali bianco-rossi del CAI, la nostra guida. La fortuna pero' ci ha fatto incrociare due signori del posto usciti per un'escursione in Jeep sul monte, che ci hanno dato preziose indicazioni sulla strada da seguire. Nel frattempo, le urla e i forti richiami non sono serviti a molto ma, dopo un po', il disperso e' riuscito a ricongiungersi al gruppo.

Una breve discesa ci ha portati a Pian di Balestra, dove troviamo degli interessanti siti archeologici tra cui ampi tratti di lastricato riportati alla luce negli ultimi decenni e magnificamente conservati, della cosidetta Strada romana Flaminia Militare, e le cave da dove veniva estratta la pietra per pavimentare la strada in costruzione. Studi hanno evidenziato che il tracciato originale di tale via di comunicazione e' stato segnato da Annibale. Annibale si servi' di tale tracciato per andare a combattere la battaglia del Trasimeno, che vide soccombere i Romani e perire il Console Flaminio. Il figlio, Caio Flaminio, fece costruire sul tracciato individuato da Annibale la strada a cui i due ricercatori, Cesare Agostini e Franco Santi, che l'hanno portata alla luce, hanno dato il nome che oggi porta.

Un po' complice la bella giornata luminosa e limpida, ma anche grazie all'assenza totale di centri abitati lungo questa tappa, i posti che abbiamo attraversato quest'oggi li ricorderemo come quelli piu' belli della Via degli Dei. A meta' tappa in particolare ci troviamo prima ad attraversare la Faggeta, uno stupendo bosco di faggi il cui sottobosco e' magicamente ricoperto, nonostante la fitta vegetazione che ne impedisce l'attraversamento dei raggi del sole, di un manto di felci che gli danno uno spettacolare quanto incredibile tocco di colore.

Poi camminiamo su sentieri lungo la Piana degli ossi, un tratto pianeggiante su un crinale, solcato da una mulattiera medievale, che e' una delle piu' antiche vie di comunicazione che permettono l'accesso dalla Pianura Padana alla Toscana. I viandanti che l'attraversavano nell'antichita', scambiavano in buona parte il materiale bianco che soventemente trovavano per terra, con ossa, e diedero per questo il nome di 'Piana degli ossi' a questo piccolo spazio pianeggiante. Il materiale spesso trovato dai viandanti in realta' invece altro non era che calce prodotta nei forni etruschi che sono affiorati da scavi archeologici del secolo scorso e ancora oggi conservati in buono stato. Un esemplare e' visibile in questo posto ed e' facilmente individuabile lungo il sentiero in quanto ricoperto da una tettoia posta a protezione dell'antico reperto.

Proseguendo arriviamo nei pressi dell'incrocio del Passeggere, che e' un punto dove la mulattiera si incrocia con la Strada romana Flaminia Militare. Nei pressi dell'incrocio del Passeggere ci fermiamo entusiasti (e vi saliamo sopra per ammirare lo stupendo paesaggio) nei pressi di un punto di avvistamento del CAI. E' anche l'ora propizia per la pausa pranzo e per questo decidiamo di fermarci nei prati poco piu' a valle, circondati da un verde e da armoniose forme ondeggianti dei colli tutt'intorno a noi, che hanno avuto l'effetto psicologico di contenere le fatiche di questa giornata.

La ripresa ci pone davanti ad una salita, dapprima lieve. Proseguiamo e ci addentriamo nel bosco aggirando il recinto che ci teniamo sulla nostra destra, al cui interno c'e' un laghetto artificiale. Da li' l'ascesa diventa molto piu ripida e il percorso piu' scosceso. Il sentiero ci porta fino alle Banditacce (nei pressi dei quali avremmo dovuto trovare una sorgente) oltrepassando cosi' i 1200 metri di altitudine.

Nei boschi seguiamo per lunghi tratti ancora la Strada romana Flaminia Militare, in parte ancora ottimamente conservata. E alla fine del sentiero che attraversa il bosco ci troviamo di fronte al maestoso Cimitero Militare Germanico della Futa. Si tratta del piu' grande sacrario tedesco in Italia e al suo interno riposano oltre trentamila vittime della seconda guerra mondiale. C'e' un insolito affollamento tutto intorno al cimitero. E un forsennato rombo di motori. Sono le macchine d'epoca della Mille Miglia che sfrecciano qualche centinaio di metri piu' giu', sulla strada maestra. Tanti appassionati ai bordi delle strade, molti anche con le auto piu' incredibili, e molti tra essi stranieri e in special modo Tedeschi, che hanno unito la passione per i motori con l'amor di patria che li ha voluti a rendere omaggio ai connazionali caduti in guerra.

Scegliamo il sentiero del CAI a discapito dell'asfalto, nonostante la maggiore distanza da coprire e il percorso piu' difficile da compiere. Sono gli ultimi chilometri di cammino di oggi. Quelli che ci portano al camping dove abbiamo deciso che passeremo la notte. Io ero un po' contrariato, a dire il vero. Ma alla vista del comfort dei due bungalow dove avremmo pernottato, sono riuscito a placare la mia contrarieta'. E forse non e' stato solo un caso questo malumore, forse era anche una premonizione che qualcosa non sarebbe andata nel verso giusto.

Dopo la cena, complice la stanchezza (ma, a mio dire, anche degli spazi stretti in cui ci siamo andati a rinchiudere), sono bastate un po' di avversita' a scatenare una lite tra noi a seguito della quale tutti ci avremmo messo un firma sul fatto che il nostro cammino sarebbe finito li'. La baraonda che si era generata non ha potuto non richiamare l'attenzione del guardiano, che non ha potuto fare a meno di mandarci via quando abbiamo rotto alcuni vetri della portafinestra di un dei due bungalow che avevamo preso in affitto. Solo una sapiente mediazione e una rassicurazione del fatto che avremmo pagato tutti i danni, ha convinto il guardiano a darci l'ultima chanche.

Terzo giorno: Monte di Fo' - San Piero a Sieve

Al bar, la mattina, durante la colazione, ancora perduravano strascichi della sera precedente. Anche il cielo grigio e l'aria umida, non facevano ben sperare per un lieto prosieguo. Tuttavia, presto lasciamo il camping Il Sergente e intraprendiamo il sentiero che ci porta sulla cima del monte Gazzaro. Il percorso diventa sempre piu' sconnesso. La salita piu' ripida. La nebbia piu' fitta. Avvolti da un alone di incredulita' per la mutazione completa delle condizioni metereologiche da un giorno all'altro, andiamo avanti, portando in qualche modo sulle nostre coscienze il peso della notte brava. Siamo stati abili a reprimere il malumore a seguito degli screzi, e anche se c'era la speranza che questo sorvolare potesse essere il giusto lubrificatante per far ruotare di nuovo fluidamente i meccanismi dell'amicizia, qualche stridio si e' protratto fino alla fine.

Sul finire della salita, dalla foschia fitta cominciava a delinearsi la grande croce conficcata nel punto piu' alto del monte. La pioggia, ancora leggera, non ci ha impedito di fare una breve sosta e lasciare la testimonianza del nostro passaggio in quel posto, con una dedica immortalata nel libro degli ospiti che giaceva sullo scrittoio allestito ai piedi della croce.

Poi la discesa. E piu' si andava avanti e piu' la pioggia aumentava. E' una fortuna aver avuto in prestito un bellissimo k-way rosso, che nella nebbia risaltava con l'intensita' di una deflagrazione visiva grazie al quale sarebbe stato pressocche' impossibile sfuggire alla vista dei miei compagni. Forse anche forte di cio', ho assunto un passo deciso e mi sono avvalso di una solitudine voluta che mi ha permesso delle riflessioni di cui prima o poi, durante un'esperienza di questo tipo, si desidera di poter fare.

Tutti avevamo pensato di arrivare da qualche parte al chiuso e magari con un ambiente riscaldato, dove poter consumare qualcosa di caldo. Tutti avevamo pensato di sostare all'Osteria Bruciata che avrebbe dovuto trovarsi nei pressi dell'omonimo passo di cui avevamo visto le indicazioni e si trovava a qualche chilometro di distanza dalla croce sul monte Gazzaro, scendendo di qualche centinaio di metri di altitudine. Ad un certo punto, ci siamo trovati in un posto dove si incrociavano diversi sentieri. E su un lato si trovava una sorta di cippo dove, prestando un tantino di attenzione, si leggeva l'indicazione che quello era il passo dell'Osteria Bruciata. Puo' essere considerata una nuova sorpresa di questo viaggio il momento in cui, girandoci tutt'intorno, abbiamo realizzato che un'osteria nei pressi di quel posto non poteva esserci.

Solo dopo, documentandomi, ho scoperto che riguardo quel luogo si tramanda una macabra leggenda. Nei dintorni, in realta', esisteva un locanda che era un punto tanto sospirato - e non faccio difficolta' a crederlo, visto con quanta ansia noi stessi aspettavamo di raggiungerlo - dai viandanti che attraversavano il valico per spostarsi tra la valle del Santerno e la valle del Sieve. Spesso capitava che oltre al ricercato ristoro e al letto caldo per riposare, nella notte gli ospiti venivano trucidati e le loro carni venivano usate per preparare le pietanze per gli ospiti del giorno dopo. Il locale a seguito di queste dicerie sarebbe stato preso di mira e dato alle fiamme. Il passo nei pressi del quale si trovava la locanda assunse il nome che oggi porta ovvero passo dell'Osteria Bruciata.

Riprendiamo sotto la pioggia lungo sentieri gia' difficili di per se', ma resi assolutamente pericolosi dal fondo ricoperto da un sottile strato di argilla che, unito all'acqua, ha preso la sembianza funzionale di una pista da hockey. Diversi scivoloni quindi, alcuni dei quali ci hanno fatto prendere anche dei bei spaventi, ma fortunatamente nulla di grave da complicare ulteriormente la nostra giornata.

Proseguendo ancora verso valle, il fondo del terreno e' cominciato a cambiare, diventando ghiaioso. Tuttavia, le abbondanti precipitazioni stavano per alimentare sempre piu' i ruscelli d'acqua che si costituivano dentro il sentiero che stavamo percorrendo. Al punto che il nostro cammino e' diventato sempre piu' problematico, e soventemente ci siamo trovati ad affondare i nostri piedi nell'acqua che scendeva con noi giu' dal monte. Ma oramai forse non sentivamo nemmeno questo. Era piu' forte il desiderio di arrivare e dare una fine a quella giornata che nessuno si era mai augurato. O forse era piu' forte il timore di chi mai ci avrebbe potuti accogliere, malconci com'eravamo.

Ancora piu' giu' e il cielo comincia a schiarirsi dal grigio intenso dei nuvoloni che fino ad allora ci avevano fatto compagnia. E si intravede la vallata dipinta di una varieta' di tonalita' di verde che non era lo stesso di quello del versante emiliano. Un verde intenso, accesso anche nelle tonalita' piu' scure, in contrasto con il grigio perla dei nuvoloni bassi che oramai avevano smesso di generare precipitazioni. E davanti ai nostri piedi il percorso scosceso si era trasformato in una stradina di campagna ricoperta di ghiaia e pietrisco che ben aveva drenato l'acqua delle forti piogge cadute e quella venuta giu' dal monte.

Per noi e' stato un sospiro la fine della pioggia. Lo spiraglio in mezzo alla foschia e la conseguente magnifica vista della vallata e' stata poi un'infusione di una buona dose di serenita' che ci ha permesso di concludere il nostro cammino nel migliore dei modi. Intanto, pero', la strada pianeggiante da fare per arrivare a San Piero a Sieve non era poca. Un po' di malinconia causata dall'ora e dal giorno in cui attraversavamo quei posti, costeggiati da sporadici casali caldi e accoglienti all'interno dei quali, pensavamo noi, le belle famiglie di quei luoghi erano riunite per il pranzo domenicale. Magari succulenti primi conditi con sughi della pregiata carne di manzo che sta alla base della cucina della valle del Sieve, magari gustose bistecche alla fiorentina che sono anche tipiche di questa zona.

Dopo aver attraversato una strada lunga, asfaltata e avvinghiata da alti ippocastani, ci addentriamo a San Piero a Sieve, attravesando prima un ponte pedonale e ciclabile futuristico (in legno e metallo) che ci permette di attraversare il fiume Sieve e di entrare di fatto nel centro abitato. Arrivati in centro, ci accorgiamo della estrema disponibilita' dei cittadini. Ci indicano alcuni posti dove risistemarci e trascorrere la notte, al riparo del freddo che stranamente (nonostante eravamo passati al versante sud dell'Appennino Tosco-Emiliano) si era fatto molto piu' pungente, alimentato da un vento che ce lo faceva avvertire molto piu' intensamente.

Il primo posto che ci soffermiamo a vedere e' stato quello che abbiamo scelto senza indugio. Non tanto per la fretta di ripararci e ritrovarci dopo la lunga e difficile giornata di cammino, quanto per il calore umano che abbiamo trovato in questo posto. Si tratta dell'albergo La Felicina. Un antico albergo che prende il nome dalla donna che all'inizio del secolo scorso aveva istituito questa pensione. Oggi e' gestito dai nipoti, che hanno richiamato con molto gusto la memoria degli anni di attivita' di questo esercizio, lasciandone essenzialmente intatto lo stile. L'arredamento e' sorprendentemente antico e ben tenuto, come anche la struttura. E tutte le pareti sono costellate di quadri e di foto antiche che ritraggono tempi passati e persone che non ci sono piu' come, appunto la signora Felicina e lo zio degli attuali conduttori dell'albergo, prestigioso ciclista di decenni fa.

Con molta umanita', che non aveva nulla di compassionevole, ci e' stato subito dato il lasciapassare per andare a levarci di dosso gli indumenti intrisi di fango e acqua, per farci una lunga doccia calda e per vestirci di qualcosa di asciutto e pulito. Incuranti di quanto sporco avremmo potuto portargli dentro le stanze. Ci e' stato messo a disposizione, poi, il locale che ospita il bruciatore dell'impianto di riscaldamento dell'albergo, per mettere i nostri panni dopo che li avremmo lavati, in modo da essere pronti, asciutti e puliti, il giorno dopo.

Adesso la giornata aveva preso un'altra piega. Eravamo tutti rinfrancati e lo saremo stati ancor di piu' se avessimo avuto qualcosa di piu' appropriato da mettere addosso quando siamo usciti per un giro di ricognizione per il paese. E se avessimo scelto un locale piu' appropriato per cenare. Era il caso di puntare su un tipico locale del luogo, se non altro sarebbe stato qualcosa di piu' attinente al tema di questi quattro giorni insieme.

La sera nella hall dell'albergo, comodamente seduti su delle antiche e comode poltrone, rilassati della luci soffuse delle lampade e allietati dalla musica del pianoforte, cancelliamo anche questi due nei che potevano intaccare una giornata che alla fine porteremo nel cuore perche' ci ha ha fatto assaporare il gusto forte dello stare insieme.

Quarto giorno: San Piero a Sieve - Fiesole

E' incredibile come il nuovo giorno si presenti completamente diverso da quello appena trascorso. Una luce raggiante entra attraverso le fessure delle ante delle antiche finestre in legno della nostra camera d'albergo. Ci mettiamo poco a farci trovare pronti per incamminarci verso la meta finale di questo viaggio. Prima pero' ci facciamo preparare il nostro pranzo a sacco nella bottega sotto l'albergo. Approfittiamo di questo momento di relax per osservare meglio il paesaggio tutto intorno a noi. Poi partiamo alla ricerca di un bar dove fare una ricca colazione che ci permetta di affrontare al meglio questa ultima tappa.

Usciamo dal paese attraversando il ponte sul torrente Carza. Poi lasciamo la strada principale per intraprenderne una secondaria che sale su per il colle. Alla nostra destra ci lasciamo la Fortezza di San Martino, in lontananza sulla collina. Mentre alle nostre spalle si delinea sempre meglio la bellissima vista sulla valle del Sieve. In realta', il percorso prevedeva il passaggio per la Fortezza di San Martino. Noi tuttavia abbiamo deciso deliberatamente di evitare un tratto seppure piu' affascinante, ma troppo rischioso da affrontare e per le forti piogge del giorno precedente e per il poco tempo ancora a nostra disposizione.

Presto ci troviamo disorientati a causa della 'scorciatoia' che abbiamo scelto di prendere. Non essendoci i segnali bianco-rossi ad indicarci la direzione da seguire, ogni bivio era una roulette la cui scelta era quasi completamente arbitraria. Il piu' 'arguto' di noi, frettolosamente ribattezzato come l''oracolo', era interpellato per darci un suo parere sulla strada da seguire. La sua scelta determinava la strada che effettivamente seguivamo, ovvero quella che non era stata scelta come strada da seguire dal nostro oracolo.

I sentieri attraversano fitte boscaglie ma non sono molto difficili tranne qualche tratto dove ci sono delle salite ripide, prima di arrivare su un altopiano con davanti a noi una fantastica distesa verde. Come fantastica e' la vista che si perde sulla valle del Sieve. Ci illudiamo di essere arrivati sul monte Senario e che la costruzione di fronte a noi e' il convento. E ci fermiamo per una sosta meritata dopo l'ascesa non semplice che abbiamo affrontato. Tuttavia, la nostra guida ci illumina e realizziamo che siamo nella localita' Tassaia del comune di Borgo San Lorenzo e la costruzione di fronte a noi e' il Monastero di San Bartolomeo, meglio noto come Badia del Buonsollazzo, un complesso religioso abbandonato dai camaldolesi nel 1990, ma che ha una storia millenaria alle spalle. Infatti, l'abbazia venne edificata attorno al XI secolo per volere del marchese Ugo di Toscana. La leggenda narra che in quei posti il marchese si era perduto e aveva fatto il voto di erigere il monastero qualora si fosse salvato. A seguito del buon fine della vicenda, ci fu anche la sua conversione al cattolicesimo.

Proseguiamo su via Tassaia per qualche centinaio di metri prima di immetterci nel sentiero che attraversa il bosco che ci conduce alla Croce di Melago. Giusto il tempo di una foto di gruppo, quindi attraversiamo la barra che apre la strada sulla lunga e dritta salita asfaltata che porta all'Abbazia dei Servi di Maria, in cima al monte Senario.

Tutt'intorno al convento si ergono dei parapetti che delineano il confine della tonda vetta del monte Senario. E da ogni punto si puo' ammirare una pregevole vista di tutto il circondario. Ma ancora piu' interesse suscita l'antico sito religioso in se'. Risale al 1200 e prende il nome dall'ordine dei frati che lo conducono. Difatti, il convento fu costruito da un gruppo di laici che come spesso avveniva nel medioevo si riunirono e fecero la scelta di vivere in penitenza e lontano dalla civilta'. Da tale gruppo di laici ebbe origine l'Ordine dei Servi di Maria, la cui presenza oggi ha toccato tutti e cinque i continenti del globo.

Purtroppo non mi sono prodigato ad entrare dentro il convento, ma quelli del gruppo che sono stati sufficientemente curiosi, hanno visitato l'interno del convento, salendo su per la lunga scalinata che conduce al porticato di ingresso sotto la torre dell'orologio, e l'hanno trovato davvero interessante. Io ho preferito godermi il panorama e gironzolare sulle ampie balconate, scattando foto qua e la'. Finquando non abbiamo deciso che il prato antistante al plesso poteva essere un posto che ben si prestava a ospitare la nostra pausa di meta' tappa. Abbiamo consumato il nostro pranzo a sacco e, soprattutto, ci siamo rilassati al sole piacevole di quella giornata.

Intraprendiamo la discesa dal monte che dapprima risulta abbastanza agevole. Passiamo davanti anche all'ingresso delle tre grotte (la Grotta di San Filippo Benizi, la Grotta di Sant'Alessio Falconieri e la Grotta di San Manetto) per merito di cui questo posto e' anche riconosciuto. Poi la discesa si fa piu' ripida e i sentieri meno curati. Tra le erbacce che li invadono, il fondo sconnesso e i vari bivi privi di segnaletica, corriamo piu' volte il rischio di sbagliare. Ma alla fine sentiamo il rumore delle macchine che transitano sulla Strada Regionale Faentina. Siamo a Vetta le Croci. Ci fermiamo in un bar per un caffe' e casualmente assistiamo al lancio dello Shuttle in diretta TV. Poi riprendiamo.

L'asfalto e' noioso. E in prossimita' della localita' Olmo decidiamo di intraprendere il sentiero del CAI che passa per la cima del monte Pratone piuttosto che continuare sulla Strada Regionale Faentina. Attraversiamo ampi sentieri prima di immetterci in un percorso avvolto dalla verde, fitta e rigogliosa radura che ci porta - non senza uno sforzo considerevole - sull'ampio spiazzo in cima al monte Pratone. Il panorama che si puo' godere qua sopra merita tanto. Davanti a noi, guardando verso Sud-Ovest c'e' Fiesole, e Firenze subito dietro. In mezzo al prato sulla vetta del monte Pratone (forse proprio da questa particolare conformazione della vetta che gli e' stato attribuito il nome) c'e' un cippo in pietra in memoria dello scrittore Bruno Cicognani che riporta la seguente frase tratta da una delle sue principali opere (Il figurinaio):

..e in questa cerchia che e' proprio il tuo cuore, o Toscana, le cose piu' care e piu' belle del mondo, del mio mondo; i luoghi ch'io conosco ad uno ad uno, la mia fanciullezza, la mia giovinezza, i miei sogni, i miei canti, l'amor disperato di liberta' randagia che voi soltanto siete riusciti, incantando, a quietare.
O come chiaro e' a voi questo fanciullo antico, non stanco; o come e' chiara ogni vostra voce: la stessa della prima volta e che si rinnova ad ogni primavera!..

Non siamo sicuri di aver imboccato il sentiero giusto per la discesa. La nostra impressione e' che siamo scesi sulla strada asfaltata che abbiamo lasciato per salire sul poggio qualche ora prima, ma giusto qualche chilometro piu' avanti, a dispetto di tutti i chilometri e gli sforzi che abbiamo fatto per andar su e e poi venir giu'. Rabbia, poi, per gli otto chilometri di asfalto cha ancor abbiamo dovuto percorrere prima di arrivare a Fiesole. Forse pero' non abbiamo sbagliato. Chi lo sa? Un senso di frustrazione latente che c'e' rimasto a lungo fin quando l'autobus arancione dell'ATAF non ci ha portati fino a Firenze, per un fugace saluto al duomo prima congedarci definitivamente dalla Via degli Dei.

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