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Impressioni di Parigi

domenica 11 novembre 2012

Ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento di fare un viaggio a Parigi. La pazienza e' stata premiata proprio nel momento in cui attorno a me 'Parigi' tornava ricorrentemente a proporsi nella mia quotidianita'. Dai libri, dalla televisione, dai discorsi con gli amici, da Internet. Tutto mi suggeriva Parigi. E quando mi e' stato proposto di passare un lungo fine settimana in questa splendida realta', non ho avuto esitazioni. E poi tutto mi lasciava presagire che era un momento propizio. Anche la stagione. La primavera ci avrebbe permesso di visitare questa citta' magari baciata dal candido sole di questo periodo dell'anno. E se poi non ci fosse stato, anche il grigio del cielo che tipicamente l'avvolge e la pioggia fine che la bagna, non avrebbe mutato il fascino, ma avrebbe cambiato in noi solo il modo di percepirlo.

L'arrivo all'aeroporto Charles De Gualle di Parigi mi ha fatto avvertire che tanta differenza con l'Italia poi non c'e'. Per prendere un biglietto della RER (Reseau Express Regional, i treni regionali che collegano i sobborghi al centro di Parigi) per arrivare a Gare du Nord, abbiamo fatto in pratica una coda che e' durata piu' del viaggio in aereo. Non solo perche' non c'erano macchinette automatiche per i biglietti della RER, ma anche perche' della decina di sportelli della biglietteria, solo uno era aperto.

Una volta fatto il biglietto, arriviamo facilmente a Gare du Nord e da li' ci incamminiamo verso il vicino albergo nella zona di Montmartre, cosi' chiamata perche' dominata dalla collina (Butte de Montmartre) sulla quale i romani decapitarono Saint-Denis. La zona visse momenti di fervore artistico durante la Belle Epoque, e comunque conserva un fascino immortale. Visto il richiamo turistico del quartiere ci eravamo illusi, quindi, che fosse accogliente e ospitale. Se non che ci accorgiamo presto di essere capitati nel sobborgo 'Maghreb' del quartiere. Un ambiente, all'apparenza, del tutto ostile e sudicio. E alla vista di cio' ho continuato ad elaborare nella mia mente i confronti con l'Italia.

Dopo esserci sistemati velocemente nelle stanze, ci siamo precipitati fuori per mettere qualcosa di pratico e sostanzioso sotto i denti. Per poi catapultarci verso la vicina place Pigalle. E nell'avvicinarci, arrivando dalla stazione metropolitana di Barbes Rochechouart, era un crescendo di luci e movimento. Una progressione di colori e la curiosita' del quartiere a luci rosse pian piano cominciava a materializzarsi. Quasi invitava ad entrare e a sbirciare cosa dentro ci fosse, ma forse erano i PR che stavano davanti al locale - per lo piu' gente dell'Est o Nordafricani - che infondevano in noi diffidenza e ci davano delle buone ragioni per andare dritto. Tuttavia, nessuno e' stato mai invadente e mai e' stato antipatico nel rapportarsi a noi. Ma la loro presenza sposava il preconcetto del malaffare che spesso si associa a queste etnie quando trovi di queste persone in determinati contesti.

La nostra passeggiata prosegue per boulevard de Clichy e ci fermiamo davanti al Moulin Rouge per dei doverosi scatti da portare indietro come ricordo. Sebbene qualcuno di noi ci avesse spudoratamente creduto di riuscire ad entrare vestendosi di un elegantissimo doppio petto, si e' dovuto irrevocabilmente ricredere visto il proibitivo prezzo del biglietto d'ingresso.

Al mattino e' stato pressocche' impossibile trovare nel nostro quartiere un cafe' tipico parigino. Uno di quelli con i tavolini all'aperto dove ti siedi e ti viene servito un cafe' creme e una brioche e ti confondi tra un Parigino e un turista. Abbiamo finito di fare una volta il giro del quartiere e abbiamo iniziato un secondo giro e alla fine abbiamo deciso di fermarci al bar di un simpaticissimo tunisino che faceva degli ottimi caffe' espresso e aveva dei dolci altrettanto buoni oltre ai croissant, tutti rigorosamente ed esageratamente carichi di burro, prodotti nell'annessa rosticceria a conduzione familiare. Di questo posto ne abbiamo fatto un ritrovo obbligatorio giornaliero, se non per il mattino quando partivamo per il nostro tour quotidiano, la sera quando arrivavamo, non solo per i prezzi onesti che aveva, ma soprattutto per la grande umanita' della gente che lo frequentava.

Dopo un appagante cafe' lounge e un enorme croissant con creme, attraversiamo il trafficatissimo hallesdi rue de la Chapelle, che si svolge sotto la soprelevata della linea della metro che in quel punto esce fuori dalle viscere di Parigi. Nella bolgia assistiamo ad un ammanettamento in diretta di un Islamico che aveva appena finito di fare a cazzotti con qualche suo simile. Ma non ci saremmo mai accorti di nulla, tant'e' la concitazione in quell'halles che lo fa per molti aspetti assomigliare al souq all'interno della medina di Marrakech.

A Garde du Nord facciamo il nostro abbonamento di tre giorni che per venti euro e settanta centesimi ci permettera' di muoverci in liberta' nell'intra-muros di Parigi con la metro o con gli autobus (di cui non ci siamo mai serviti). La nostra prima destinazione e' la Tour Eiffel. Alla sua visione ne rimaniamo stupiti dalle dimensioni ma non certo dall'aspetto. Ci rendiamo conto del perche' molti Parigini con spregio la chiamano l''asparago di ferro'. E forse la giornata grigia e dal freddo vento pungente che spira nei grandi spazi aperti che si aprono sotto essa, che ne ha amplificato questo aspetto inquietante. In tanti, tantissimi, comunque erano in fila per prendere gli ascensori che consentono di salire ad uno dei tre ripiani a cui e' permesso accedere. Noi deliberatamente abbiamo proseguito, attraversando il ponte e dirigendoci verso place du Trocadero.

E' impossibile non fermarsi davanti alle fontane e agli artistici giochi d'acqua dei Jardins du Trocadero. E ogni possibile angolatura e' diventata uno sfondo plausibile per le nostre foto. Salendo sulla balconata abbiamo invece potuto ammirare la vista sui sottostanti giardini e, oltre la Senna, la Tour Eiffel, il retrostante Parc du Champ de Mars e un ampio panorama della citta'.

Cartina alla mano, in poche decine di minuti siamo arrivati all'Arc de Triomphe, percorrendo avenue Kleber, un elegante e raffinato boulevard costellato da boutique di lusso frequentate necessariamente da una clientela altolocata, che partono a raggera da place du Trocadero. L'enorme rotonda che l'accerchia e il grande traffico che la stessa rotonda convoglia, rendono praticamente impossibile l'attraversamento pedonale. Tuttavia un lungo sottopasso consente di raggiungere il mausoleo che difatti e' una meta molto popolare tra i visitatori di Parigi. D'altra parte questa enorme struttura posta al centro di place de Charles De Gualle, voluta da Napoleone per celebrare le sue conquiste, corrisponde al nostro Altare della Patria. Ai suoi piedi infatti brucia ininterrottamente una fiamma accesa dal 1919 in memoria di tutti i caduti per la patria.

Ci incamminiamo quindi per avenue des Champes Elysee, immettendoci difatti in quella che viene chiamata Voie Triomphale o Axe Historique ('Asse Storico') che e' la direttrice che attraversa la citta' da sud-est a nord-ovest, fino alla Grande Arche nel quartiere della Defense (*). Percorriamo un bel tratto quando decidiamo di fermarci a pranzo. Poi riprendiamo ma e' difficile riuscire a percorrere tutta la via e per la lunghezza e per l'elevata concentrazione di negozi di griffe che difficilmente si riesce a passare davanti senza fermarsi catturati dalle accattivanti vetrine o solo per il risalto del marchio.

Fino a quando non giungiamo al Rond Point Champ Elysee Marcel Dassault. Da qui il boulevard si immerge nel verde e i tratti pedonali ai suoi lati diventano ciotolosi. Prima di arrivare a place de la Concorde, ci lasciamo alla nostra destra il Grand Palais costruito, con la sua caratteristica copertura in vetro in stile Art Noveau in occasione dell'Esposizione Universale del 1900, e l'antistante statua bronzea di Charles De Gualle a cavallo. Sullo sfondo, invece, proseguendo con lo sguardo verso la Senna, il bellissimo pont Alexandre III, costeggiato da sfarzosissime decorazioni dorate.

Arrivati a place de la Concorde facciamo una leggera digressione verso place de la Madeleine per visitare l'Eglise de la Madeleine, la chiesa neoclassica costruita al centro della piazza che ha l'aria di un tempio dell'antica grecia. La freddezza dell'architettura non ci ispira al punto di entrare al suo interno. Risaliamo comunque l'antistante scalinata che permette di catturare con lo sguardo tutta la prestigiosa rue Royal, place de la Concorde e oltre, fino all'Assemblee Nationale, l'edificio che ospita la camera bassa del parlamento francese.

Lungo rue Royale ci firmiamo per scattare una foto davanti al Maxim's, il locale molto frequentato da artisti nella Parigi della Belle Epoque. Ritorniamo cosi' in place de la Concorde. Da' un brivido pensare il significato di questa grande piazza per Parigi e per i Francesi tutti. Infatti, place de la Concorde, adornata lateralmente da otto statue muliebri che rappresentano le citta' piu' importanti alla fine del XVIII secolo, e al centro dall'obelisco di granito rosa con la punta dorata, donato dall'Egitto alla Francia nel 1831, e' il luogo dove sono state eseguite le decapitazioni di Luigi XVI e, a seguire, della regina Maria Antonietta, di Danton e di Robespierre. Sul lato nordorientale della piazza si affacciano due degli hotel storicamente piu' prestigiosi di Parigi: Hotel de la Marine e Hotel de Crillon.

Attraversiamo gli enormi cancelli che ci permettono di entrare nel Jardin des Tuileries, lasciandoci alla nostra destra l'Orangerie e alla nostra sinistra il Jeu de Paume. Quest'ultimo e' il palazzo cosi' chiamato perche' l'antistante spazio era destinato al gioco della pallacorda e ospitava un tempo una prestigiosa collezione di quadri impressionisti, adesso spostata al Musee d'Orsay. Mentre l'Orangerie ospita una non meno importante collezione impressionista, notevolmente impreziosita dalla presenza delle due camere ovali sulle cui pareti e' apposto Le ninfee di Monet.

L'entrata nei giardini ci restituisce una sensazione di tranquillita' del tutto benefica dopo i diversi chilometri fin la' percorsi. E noi l'assecondiamo totalmente sedendoci sulle pesanti sedie di acciaio dipinte di verde ai lati della enorme vasca circolare che si incontra poco dopo l'ingresso nel giardino. Anche non leggendolo e avendo visto i giardini di Versailles si puo' facilmente percepire che i loro progetti hanno molto in comune, se non altro nello stile adottato. Difatti, a disegnare questo spazio verde nel centro di Parigi e' stato Andre Le Notre, che progetto' anche i giardini di Varsailles.

Alla fine dei giardini, prima di arrivare a place du Carrousel, si erge l'Arc de Triomphe du Carrousel, un arco di dimensioni ridotte rispetto all'Arc de Triomphe di place de Charles De Gualle, ma comunque molto suggestivo. E suggestiona ancora di piu' leggere sulla nostra guida che Napoleone lo volle per celebrare le vittorie delle battaglie del 1805 e che al posto della quadriga che oggi e' posta sopra l'arco, che segna il ritorno dei Borboni sul trono di Francia nel 1828, quando fu costruito, al suo posto un tempo c'erano i Cavalli di San Marco.

Davanti a noi e' gia' perfettamente visibile la Grande Pyramide, la struttura di forma piramidale in vetro alta 21 metri al centro del Cour Carree ('Cortile Quadrato'). Attorno al Cour Carree si sviluppano le tre sezioni del Louvre (Ala Denon, Ala Sully e Ala Richelieu). Sotto questo spiazzo, invece, accessibile dalle scale mobili poste all'interno della Grande Pyramide, si estende la Hall Napoleon, che e' la sezione del Louvre ad accesso libero.

Il fulcro della Hall Napoleon e' il Carrousel du Louvre, il centro commerciale che ospita la controparte antitetica della Grande Pyramide, ovvero la Pyramide Inversee, che e' una piramide di dimensioni piu' ridotte che sviluppa con la punta verso il basso, con il vertice che giunge fino a un metro e mezzo di distanza dal suolo della Hall Napoleon.

Il fascino dato da Dan Brown a questo pezzo di Louvre ne Il Codice Da Vinci e' completamente sminuito da bambini estasiati da questa particolare struttura e dalla curiosita' che suscita. E nulla sono riuscito a pronunciare dopo questa visione relativamente al commento 'Una ferita sulla faccia di Parigi' del commissario Fache nelle prime pagine del romanzo, riferendosi a questo complesso architettonico in stile neomoderno, progettato dall'architetto americano di ori­gine cinese I.M. Pei, voluto dall'allora presidente Mitterand. Realmente, qualunque cosa avrei detto, avrei sbagliato. Proprio come il professor Langdon, protagonista del romanzo.

Giriamo velocemente nel Carrousel du Louvre, soffermandoci negli spazi piu' interessanti aperti a tutti, come la sala che ospita la mostra sulla storia del museo, ma poi andiamo via. La visita delle gallerie del Louvre non era nei miei piani. Era anche tardi ed eravamo stanchi. Prendiamo la metropolitana dalla stazione sotto rue de Rivoli e cosi' si conclude questa giornata, senza nemmeno esser riuscito ad organizzare per nulla la gita fuoriporta a Giverny

Sono riuscito a malapena a capire che sarei dovuto uscire di buon mattino dall'albergo e raggiungere la stazione di Gare de l'Est. Da li' poi prendere un RER che mi avrebbe portato a Vernon e poi, se avessi avuto un po' di fortuna, avrei trovato un autobus turistico che mi avrebbe portato fino a Giverny.

Una follia pensavo tra me e me al mattino seguente uscendo dall'albergo vagando per le strade di Parigi, baciate da uno splendido sole che tuttavia faceva fatica a riscaldare l'aria gelida delle prime ore dell'alba. Ma d'altronde era alta la voglia di non sprecare una giornata di questa breve parentesi parigina nel caos inutile di Disneyland, nonostante l'ottima compagnia.

La mia audacia e' stata presto premiata visto che inaspettatamente al centro informazioni della stazione mi hanno subito dato un depliant con il ricco programma previsto per consentire di visitare il paesino che per tanto tempo ha ospitato e ispirato il grande maestro dell'Impressionismo, Claude Monet. E la cosa mi ha iniettato una fiducia che e' perdurata in me per tutta la giornata, trasformandosi in eccitazione e forse tanto di piu'. Avevo scelto una cosa che mi piaceva, avevo seguito il mio cuore e tutto si e' mosso perche' si verificasse quello che avevo immaginato per quella giornata.

Mi sono accorto presto che a Giverny ci stava per andare un fiume di persone. Mentre realizzo cio', sul comodissimo treno che attraversa silenziosamente e quasi sembra planare sul Lungosenna, fuori da Parigi, in direzione della Bassa Normandia, immerso in un paesaggio da favola, il cielo comincia a velarsi di un sottile strato di nubi alte. Quanto basta per non poter vedere i fiori del Jardin de l'Eau irradiati dai raggi del sole, che sicuramente avrebbero ancora di piu' accentuato la vivacita' dei colori. Ma forse sarebbe stato troppo. Avrei potuto rimanerci imprigionato con il cuore in quel giardino. Una sorta di sensazione di mal d'Africa proiettata nei quadri di Monet, vissuta in un attimo senza tempo.

Alla stazione dei treni di Vernon mi precipito subito alla ricerca della fermata degli autobus per Giverny, ma e' subito fuori. Con prepotenza sono il primo nella fila per salire sull'autobus. Per scongiurare ogni lontana possibilita' di aspettare un altro turno e perdere cosi' del tempo prezioso che avrei potuto dedicare alla mia escursione unica. Dal parcheggio poco fuori dal grazioso borgo di Giverny, raggiungiamo a piedi in pochi minuti la casa-museo di Monet lungo la via principale del paese. Ma la fila per entrare e' gia' lunghissima. E l'unica soluzione e' sorbirsi un'ora e passa di coda. Dopo aver comprato il biglietto per sette euro, si e' proiettati subito nell'anticamera del tour, che e' costituito da uno stanzone luminosissimo dove sono in vendita i souvenir carichi di tutti quei colori che hanno caratterizzato la vita di Monet.

L'uscita da' sui giardini antistanti alla famosa casa dai colori pastello rosa e verde. Anche i bagni per i vistatori sono adornati da riproduzioni di quadri di Monet e, dopo aver apprezzato questo particolare e aver respirato profondamente l'aria e i colori del giardino fiorito, mi appropinquo alla visita della casa lungo un percorso guidato che attraversa le camere piu' significative. Una novita' piacevole e' per me il gusto del pittore anche nel creare il suo habitat dentro le quattro mura. Ricca di colori pastello ognuno sapientemente accostato ad ogni ambiente della casa. Senza immaginarmelo prima, e' stato cosi' che un lungo lasso di tempo di questa visita l'ho trascorso a deliziarmi di questo particolare totalmente a me non noto.

Ogni spostamento e' incredibilmente placido e ogni cosa che in me suscita un'emozione e' un'occasione vissuta di contemplazione. Come raramente capita nella vita di tutti i giorni. E' questa la lezione che mi insegna principalmente questa visita. E ne sono quasi commosso dal non avergli dato importanza nei miei giorni passati.

Dal giardino dei rossi tulipani con cui mi sono fatto fotografare da una graziosa turista asiatica, comincio a dirigermi, attraverso lo stonato sottopasso sormontato dalla strada che rappresenta una ferita insabile di un ambiente cosi' magico, nel Jardin de l'Eau. E tutto diventa ancora piu' lento, il sangue lo sento fluire ancora piu' lentamente nel mio corpo. Il resto sembra lontano. E' un'estasi. Nemmeno andandoci mano nella mano con la donna che piu' si possa amare si potrebbero percepire le stesse sensazioni. E adesso che scrivo me ne rendo conto.

E il mio cuore ritorna a palpitare alla vista di uno dei ponticelli giapponesi tanto amati da Monet - come deduco da quanto fin la' visto, che tanto amata da lui e' stata tutta la cultura giapponese.

Contestualmente a Le ninfee, il ponticello mi fa venire alla mente la prima scena di Midnight in Paris. La' tutto era costruito, a partire dalle ninfee tutte ben posizionate sullo specchio d'acqua su cui rifletteva il sole e sicuramente la luce artificiale del set cinematografico. Quel giorno invece la pozza d'acqua era buia e solo guardando attentamente distinguevi qualche ninfea sparpagliata qua e la' sotto il filo d'acqua del laghetto che affiora. E poi il cielo velato rendeva tutto meno lucente e tutto piu' malinconico. Ma piu' vero. Piu' affascinante.

Dopo tanto, e una ulteriore lunga sosta nei giardini della casa, esco e intraprendo il percorso escursionistico che si divide per le vie di Giverny e il territorio circostante. Ma arrivo solo fino alla chiesetta del paese eretta sul cucuzzolo alla cui sommita' si stende il cimitero tra le cui lapidi si puo' facilmente trovare quella di Claude Monet.

Comincia a farsi tardi. Qualche goccia d'acqua cade dal cielo, ma io passeggio incurante verso l'autobus. E non voglio perdermi nemmeno una passeggiata nel pioppeto vicino al parcheggio, che e' stata fonte di ispirazione di alcuni quadri del maestro. E all'interno del quale e' stato collocato un suo busto.

Un ritorno piu' sereno e anche tanto compiaciuto mi ha dato modo di osservare ancora meglio l'armonia dei paesaggi di quella zona della Francia, di riflettere sull'importanza del rispetto dell'uomo per la natura e di come questo rispetto sia ampiamente ricompensato, attraverso il benessere - se non altro interiore - che in quel momento stavo provando.

Tornando a Montmartre, non ho sprecato un attimo del mio tempo e della mia tanta energia accumulata per fare un giro su al Sacre Coeur, salendo per la strade e la scalinata lunghe e ripide, a volte puzzolenti e sempre rumorose, che dal quartiere Maghreb si levano fino alla cima della collina. Un panorama fantastico sulla citta' nonostante il grigio del cielo e le prime ombre della sera. Ma mi siedo tra le panche dell'affollatissima cattedrale e assisto al rito religioso in lingua francese. Ma sto bene. E anche questo acquisisce un senso.

Avrei voluto iniziare a girovagare per questo quartiere, visitare la vicina l'Eglise Saint Pierre de Montmartre e il Dali' Espace Montmartre, arrivare a place du Tetre e passare per tutti quei posti che hanno qualcosa da raccontare. Il Bateau Lavoir, dove vissero Modigliani e Picasso e tanti altri artisti impressionisti nei momenti di estrema poverta', e il famoso cabaret Au Lapin Agile. E poi passeggiare per rue Lepic e scorrere il Moulin de la Galette oggetto del quadro di Renoir intitolato Le Bal du Moulin de La Galette, e il Cafe' des Deux Moulins dove lavorava la protagonista del film Il favoloso mondo di Amelie. Insomma avrei voluto perdermi con la luce del giorno per le viuzze, le piazze e le scalinate di questo incantevole angolo di Parigi.

A molti potrebbe sembrare ostinazione la mia determinazione ad andare senza alcun indugio a visitare il Musee de l'Orangerie. Ma io dentro sentivo qualcosa che mi trasportava, e non mi opponevo e nemmeno volevo sorprendermi di questo stato di completa interdizione. C'era solo una piccola parte consapevole di me stesso che non faceva altro che ripetermi che era tutto normale. E questo bastava a farmelo credere e a godere di questa estasi.

E mi e' sembrato naturale trovarmi in un attimo a fare la fila per entrare nel museo. Non prima di essermi fatto scattare una foto con la facciata dell'Orangerie sullo sfondo, pero', ed essermi fatto immortalare con davanti alla statua bronzea intitolata Le baiser di Rodin che e' collocata insieme ad altre copie di sculture dello stesso artista, nello spazio antistante al museo.

Avrei dovuto incontrarmi a mezzogiorno a place de la Concorde con gli altri. Alla visita, quindi, avrei dovuto dedicare un'ora e non di piu'. Ma non c'e' voluto molto a convincermi che non avrei rispettato l'appuntamento e cosi' ho invitato i miei compagni di viaggio a fare i loro giri. Ci saremmo visti in luogo e orario da destinarsi. Il non avere piu' un orario ha probabilmente influito il modo di vivere questa nuova parentesi impressionista parigina, in maniera ancora piu' sensazionale.

Inizio il mio tour spingendomi verso le sale ovali sulle che ospitano Le ninfee di Monet. E' quasi un sogno. L'accostamento di colori unico e la capacita' di riprodurre cio' che il giorno prima avevo visto con i miei occhi, e' commovente. Realmente, recepisco il rilassamento di nervi che Monet voleva regalare a coloro che, dopo il caos della Grande Guerra, avevano bisogno di ritrovarlo, passando per l'antistante 'camera di decompressione', appositamente voluta dall'artista.

Ciascuna delle due sale presenta quattro affreschi che ritraggono lo stagno della residenza di Monet, al ritmo delle variazioni di luce, dall'alba al tramonto. Le opere della seconda sala sono arricchite dalla presenza dei salici piangenti nel paesaggio dipinto. Gli ambienti ritratti sono comunque privi di orizzonte e di prospettiva e in essi non si distinguono chiaramente gli elementi (aria, acqua, cielo e terra) che vi partecipano, con la chiara allusione all'infinito e allo spazio in cui bisogna essere relegati per ritrovare il rilassamento completo.

Scendendo al piano inferiore, sono piacevolmente sorpreso dall'aver visitato con un crescente interesse, l'esposizione temporanea Debussy, la musica e le arti, un vero gioiello di documenti impressionisti che fotografano nitidamente il fervore artistico della Belle Epoque non solo dal punto di vista della pittura e della scultura, ma anche della musica, della letteratura e delle mondanita' e dei rapporti tra i vari artisti del tempo. Questa mostra e' stata un piacevolissimo 'fuorionda' che mi ha dato modo di deliziarmi alla vista di affreschi come ad esempio Parc de Saint-Cloud di Vassily Kandinsky.

La visita prosegue con la vista della ricca collezione di Paul Guillaume, venditore d'arte - oltre che collezionista - che sostenne artisti come Soutine, Derain, Picasso e Marie Laurencin. Seguendo il percorso indicato dalla utilissima guida che si puo' prendere gratuitamente all'ingresso del museo, ho attraversato il lungo corridoio ai cui lati sono affissi le prime opere impressioniste, per lo piu' di Renoir e Cezanne e nature morte e ritratti, molto suggestivi per la profondita' di colore e per le geometrie. Per poi arrivare nella sala successiva egemonizzata dalla presenza di alcune opere di un immenso Modigliani. La sua unicita' nel ritrarre i visi delle persone si riassume interamente nel Le portrait de Paul Guillaume, Novo Pilota.

La sala successiva mi ha dato modo di conoscere un artista che per molti aspetti mi ha ricordato Modigliani nel suo stile dei visi allungati. L'originalita' di Marie Laurencin l'ho comunque trovata nella tonalita' comune ai suoi quadri esposti che e' sostanzialmente basata su colori pastello, e tra essi sono rimasto colpito da Portrait de Madame Paul Guillaume.

Non meno piacevole e' stato appurare lo stile di Henri Matisse, fatto di giochi di linee orizzontali e verticali unicamente ravvivate da colori la cui intensita' difficilmente ho trovato in altri artisti. In special modo mi sono soffermato davanti a l'Odalisque a la culotte grise. E' stata poi la volta di Picasso e Derain, per finire quindi con il genio di Maurice Utrillo e Chaim Soutine. Dell'artista lituano, di cui l'Orangerie espone la piu' importante collezione d'Europa con i suoi 22 quadri, sono rimasto del tutto esterrefatto della stravaganza dei soggetti ritratti, come carcasse di animali, ma anche volti deformati, che per molti versi richiamano la corrente espessionista in cui ne e' stato poi anche inquadrato come esponente (nonostante - a causa del suo testardo individualismo - non si e' mai in essa apertamente rispecchiato), e per molti altri lasciano trasparire una chiara inquietudine giovanile di cui egli si vuole disfare.

Pienamente soddisfatto della mia lunga visita all'Orangerie, prendo la metro per raggiungere i miei compagni. Metto cosi' piede per la prima volta sull'Ile de la Cite', il nucleo da cui Parigi si e' sviluppata e da cui ad oggi parte il vortice dei venti arrondissement ('distretti') che la costituiscono. Uscendo dalla metro, di fronte a me c'e' la Sainte-Chapelle, sempre caratterizzata da una lunga fila di turisti che si appresta ad entrare per visitarla. Mi e' dispiaciuto non andarci dentro, sapendo che si tratta un magnifico esempio di raffinato stile gotico francese, i cui ambienti interni sono insolitamente luminosi e colorati nei giorni di sole, dalla tanta luce filtrata attraverso ampi e splendidi mosaici.

E' un giorno di vento frizzante e anche qualche goccia d'acqua comincia a scendere dal cielo grigio, ma nonostante tutto la fila davanti alla Cattedrale di Notre-Dame e' lunga. Furbescamente la elido completamente e mi infilo nel luogo sacro dove prima di tutto mi dedico ad ammirarne le bellezze. Poi facciamo un giro all'esterno e tutt'intorno per trovare un posto dove consumare il nostro pranzo a sacco. E' tutto molto bello e in quel contesto di aiuole e alberi fioriti, lo sarebbe stato ancora di piu' in una giornata di sole. Invece piove sempre piu', ma con un intensita' sopportabile. E' quindi una sottile e insistente pioggia a fare da contorno alla nostra passeggiata letteraria nel Quartiere Latino, uno degli itinerari suggeriti dalla mia inseparabile guida Lonely Planet, che non ho perso tempo a catalogare tra le cose che immancabilmente avrei dovuto fare durante questa esperienza parigina.

Giungiamo in metro alla stazione Cardinal Lemoine. Lungo la via omonima ci siamo fermati davanti all'appartamento dove visse James Joyce e poco piu' avanti quello dove vissero Ernest Hemingway e la sua prima moglie, Hadley. Quindi abbiamo attraversato place de la Contrescarpe, e li' per sbaglio ci siamo seduti al Cafe' des Amateurs, che in Festa mobile veniva descritto come un posto malfamato, ma che noi abbiamo dovuto mestamente ed educatamente salutare ancor prima di prendere qualcosa di caldo, dopo aver consultato la carta.

Abbiamo quindi girato l'angolo dietro al locale, per andare a visitare il portone di rue Descartes che era l'ingresso dell'albergo dove Hemingway si rifugiava per scrivere. Nello stesso albergo era morto trent'anni prima Paul Verlaine. Ritornando in piazza, passiamo davanti all'Au negre Joyeux, un altro dei locali citati da Hemingway nei suoi romanzi, per immetterci in rue Mouffetard e da qui seguiamo pari pari il percorso che Hemingway descrive nel primo capitolo di Festa mobile, fino ad arrivare a place Saint-Michel.

E' veramente eccitante ed emozionante per me avere l'opportunita' di seguire questo tragitto e scandire ogni punto in cui qualcosa di normale era successo in passato, ma che oggi e' diventato qualcosa di straordinario. E non riuscivo a spiegarmi se il merito fosse di Parigi, dei personaggi straordinari o se quegli anni fossero realmente l'epoca d'oro.

Imbocchiamo sulla nostra destra, rue du Pot de Fer o 'rue du Coq d'Or', come ad essa si riferisce George Orwell in Senza un soldo a Parigi e Londra, un romanzo autobiografico che descrive i posti dove ha vissuto lavorando come lavapiatti durante una parentesi della sua vita di estrema miseria. Piu' avanti passiamo davanti al Lycee Henry IV intravedendo la Tour Clovis, ampiamente ristrutturata, ma comunque ultimo reperto dell'abbazia di Sainte-Genevieve (Sainte-Genevieve e' la santa patrona di Parigi) fondata da Clodoveo I nel XIII secolo.

Arriviamo nella piazza che ospita il Pantheon, al cui interno sono custodite le spoglie di famosi personaggi francesi. Girando attorno all'edificio ci lasciamo sulla nostra destra l'Eglise Saint-Etienne-du-Mont e, prima di immetterci nel boulevard Saint-Michelle, facciamo una sosta per riscaldarci, asciugarci un po' e rifocillarci, in un caratteristico cafe'.

Lungo boulevard Saint-Michelle, ci lasciamo alla nostra destra la Sorbonne, antichissima universita' parigina e, dopo aver attraversato boulevard Sain-Germain, arriviamo da li' a poco nel pullulare di vita di place Saint-Michelle, sotto una pioggia finissima che rende tutto magico. Andiamo a fare una foto nella vicina 'nuova' libreria Shakespeare & Company. Per intenderci, quella ripresa in una scena di Midnight in Paris, che nulla ha a che spartire con l'originale, gestita da Sylvia Beach che si trovava al numero 12 di rue de l'Odeon, che andremo a visitare piu' avanti nel nostro tragitto. Anche se al suo posto troveremo un grande portone di un condominio con un annesso anonimo negozio di non so che genere di articoli. Una targa affissa al muro, comunque, ricorda che in quel posto Sylvia Beach pubblico' Ulysse di James Joyce.

Mi innamoro delle viuzze intorno a place Saint-Michelle, ma il tour continua, e siamo ancora parecchio indietro rispetto alla tabella di marcia. Proseguiamo lungo quai des Grands Augustins, famoso per la presenza delle caratteristiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano) che costeggiano l'argine della Senna. Passiamo davanti alla casa dove Picasso visse e completo' il suo capolavoro Guernica. Ritornando sul boulevard Saint-Germain, ci troviamo davanti alla statua di Georges Danton.

E' tardi. Qualcuno abbandona la passeggiata perche' siamo ormai zuppi d'acqua fino all'ultimo capello. Ma il resto della compagnia va avanti imperterrita, proseguendo su boulevard Saint-Germain, fino ad arrivare all'Eglise Saint-Germain des Pres. Di fronte si trova Les Deux Magots, che Hemingway cita nel racconto La fame era un'ottima disciplina di Festa mobile, quando lo evita uscendo dal Lipp per andare verso casa. Les Deux Magots, assieme al Cafe' de Flore che si trova tutt'oggi alle sue spalle, erano due locali a quell'epoca molto frequentati dagli intellettuali.

Altri locali nei dintorni che abbiamo avuto piacere di 'scovare' secondo le indicazioni della nostra guida, sono l'Hotel Saint-Germain des Pres (dove ha soggiornato negli anni trenta Henry Miller, che a seguito di questa esperienza scrisse Letters to Emil), Bistrot Le Pre aux Clercs (frequentato da Hemingway), il vecchio Hotel d'Alsace (dove mori' Oscar Wilde e soggiorno' Jorge Luis Borges), l'Hotel d'Angleterre (dove Hemingway passo' la sua prima notte quando arrivo' a Parigi), l'Hotel d'York (dove nel 1783 fu firmato il trattato in cui veniva riconosciuta l'indipendenza americana). La serie di locali lungo le viuzze che si intrecciano intorno all'Eglise Saint-Germain si conclude con l'anonimo cafe' Le Comptoir des Saint-Peres, un tempo meglio noto come Michaud, famoso perche' era frequentato da Joyce, come viene descritto anche da Hemingway in Festa mobile.

La luce del giorno viene meno. Facciamo in tempo ad arrivare alla Fointaine des Quate Eveques, davanti all'Eglise Saint-Sulpice, resa famosa dal romanzo Il Codice Da Vinci di Dan Brown. Avrei voluto entrare per mettere quanto meno il piede sulla Linea della Rosa, ma era gia' chiuso. Ci sarebbe stato ancora tanto da vedere. E cosi' ci immettiamo, felici ma con un velo di malinconia, sulla metro che ci porta a Montmartre.

Una calda doccia, un po' di relax, una cena calorica in uno dei tipici locali intorno all'albergo, e siamo pronti a deliziarci alla vista della Tour Eiffel in uno sfavillio di luci, da place du Trocadero. Nulla a che vedere con la vista triste dello stesso monumento, con la luce naturale. Un piacevole momento della giornata che colma di soddisfazione e assopisce i nostri ultimi sogni a Parigi.

E' l'alba di un ultimo giorno che trascorriamo in questa splendida citta'. La pioggerellina caratterizza ancora la nostra permanenza. Ma nulla influisce sul nostro programma. Un tranquillo giro per l'Ile de la Cite', o meglio per quella parte dell'isola che ancora non abbiamo visto. Passiamo davanti al palazzo di giustizia, per arrivare all'estremita' occidentale dell'isola, passando per place Dauphine, per scattare qualche foto sotto la statua di Enrico IV a cavallo e sulla attigua cuspide che divide il fiume in due.

Proseguiamo sul quai ('banchina') meridionale, passando sotto pont Neuf che, nonostante l'appellativo, e' il ponte piu' vecchio di Parigi. Bianco per il colore della pietra che lo costituisce, e sontuoso per le curve prorompenti delle sue arcate, scopriamo con immenso piacere l'angolazione della locandina del film Midnight in Paris che ritrae il ponte e ci immedesimiamo in una serie di foto con l'illusione di essere per un attimo i protagonisti dell'opera di Woody Allen.

E' bello anche ricordare il pranzo, in uno di quei locali tipici intorno a place Saint-Michelle, a tavola vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada di mattonelle di porfido costantemente innaffiate dalle gocce di pioggia che cadono placide e incessanti da un cielo grigio e da un'aria gravida di umidita' che inspiegabilmente rende felici alla vista. E in quel momento non vorresti nulla di diverso. Nemmeno da cio' stai per mangiare. Una zuppa francese con pane raffermo e del beuf du Charolais con caratteristica salsa verde. Avrei voluto anche riuscire a sorseggiare un buon vino rosso della Bourgogne. Ma se ne riparlera' in una Parigi di un'altra vita.

Estate in Sicilia

sabato 05 maggio 2012

Non ci avrei scommesso molto su questa vacanza, ma mi sono dovuto ricredere. Un biglietto aereo di andata con destinazione Palermo e uno di ritorno con partenza dall'aeroporto di Trapani era quanto di sicuro c'era ad una settimana dalla partenza. Mentre, per il resto, tanta riluttanza rafforzata anche da un morboso attaccamento ai pensieri che quotidianamente ci assalgono fino quasi ad affossarci.

In questo clima di scoramento, pochi erano stati i punti che mi ero prefissato come mete da visitare negli otto giorni di soggiorno siciliano. La Riserva dello Zingaro, San Vito Lo Capo, Erice e Favignana erano i posti che nelle poche volte che avevo parlato in giro di questa vacanza, erano venuti fuori. E non riuscivo a rendermi conto del valore paesaggistico e culturale che queste poche mete potevano ricoprire. Tant'e' che mi sforzavo di pensare a come impiegare il tempo rimanente della mia vacanza. E mi convincevo che lo avrei riservato a oziare sulla prima spiaggia che mi sarebbe capitata a portata di mano o ovunque chi mi ha dato ospitalita' mi avrebbe permesso di farlo.

Ma la Sicilia e' terra di persone di cuore e di gente verace, con la preuccupazione di farti sentire di casa e con l'orgoglio che prova per la propria terra che la spinge a suggerire sempre nuove mete e nuovi posti incantevoli da far vedere ai propri ospiti. Ma non solo. Nuovi piatti e sapori, usanze e tradizioni. E tanto altro. Insomma, la Sicilia vista in quei giorni mi e' parsa di essere come un nuovo mondo. L'Italia che pensi che sia finita e non ha piu' niente di nuovo da farti vedere dopo anni e anni che ci giri dentro, ti sbalordisce regalandoti ancora altre e piu' grandi bellezze.

Cala Azzurra, Guidaloca e Baglio di Scopello

In quel paradiso di posto dove sono stato ospite per alcuni giorni, bastava attraversare la strada e scendere giu' per qualche centinaio di metri attraverso dei sentieri, per arrivare alla Cala Azzurra. Per giungere sul fazzoletto di spiaggia che riserva la caletta, e' poi necessario attraversare un tratto roccioso e mettere per qualche metro i piedi nell'acqua poco profonda e cristallina di quel mare.

Un paradiso, dunque, sia al di la' della strada che al di qua. Le piante che circondavano la casa in legno con pavimento in pietra grezza e la attigua cucina circondata da muri con decorazioni in pietra di pregevole gusto, con una copertura leggera e senza infissi per lasciar passare la piacevole brezza marina per tutto l'arco della giornata, davano un senso di inconsistenza tra i confini sempre piu' netti che oggi demarcano gli artefatti rifugi dell'uomo, dalla natura.

E tutto si confondeva tra cio' che era dentro e cio' che era fuori. L'amaca, le brecce che tracciavano il vialetto, la palma, i due cani che avresti voluto far scomparire con uno schiocco di dita, e il sontuoso pino illuminato per tutta la notte da un fascio di luce verde bottiglia. Le sdraio in legno venghe', abbinate al tavolino e alle sedie del giardino, avrei voluto che piu' spesso fossero il mezzo per riconsegnarmi un pizzico del tanto agognato relax.

E' tardo pomeriggio e fare quattro passi a piedi piu' in la' fino alla spiaggia di Guidaloca e' un piacere raffinato. Non ha niente di speciale quella spiaggia. Ma ogni posto di mare in una sera di piena estate, quando e' sicuro di non trovarci piu' la calca e un piacevole alito di vento salato puo' accarezare le pelli bruciate dal sole della giornata appena trascorsa, acquisisce un valore che non ha prezzo. E ce lo siamo goduti tutto.

Piu' tardi in macchina ci siamo spinti fin su al centro di Scopello. Sulla collinetta dominata dall'omonimo baglio (Baglio di Scopello), antica residenza di caccia di Ferdinando III di Borbone, a cui da poco e' stato ridato il suo nome originario 'Real Sito di Scopello di SM il Re Ferdinando III Re di Sicilia'. Gia' l'aver ritrovato una simile struttura rievocativa dell'Italia divisa, e ancor di piu' con il salto all'indietro fatto con la rinominazione del sito borbonico, e' stata come una conferma dentro me che i fanatismi separatisti non sono solo localizzati e attivi nel nord della penisola. E l'averlo realizzato mi ha suscitato inquietudine.

Ma a parte questo, dentro al baglio e all'esterno, sulla piazzetta lastricata in pietra e su cui irrompe un antico abbeveratorio, un considerevole numero di gruppi di giovani e turisti in generale, pronti a partire o reduci dalla traversata della vicina Riserva dello Zingaro, rendevano ancora piu' piacevole la gia' gradevole permanenza in questo borgo.

Riserva dello Zingaro, Castellammare del Golfo e 'acqua caura' di Alcamo

La nostra ispezione nella Riserva Naturale Orientata dello Zingaro era partita con ben altri presupposti. I circa sette chilometri del sentiero costiero, non avrebbero dovuto portarci via molto tempo per attraversarlo, considerando anche le piacevoli soste in ciascuna delle quattro calette principali su cui e' possibile soffermarsi e fare un bel bagno ricostituente.

Perche' portarci dell'acqua quindi? 'Piu' leggeri si e' e meno fatica si fa' pensavo io. E poi arrivati all'Ingresso Nord avremmo trovato un modo per arrivare a San Vito Lo Capo per passare il resto della giornata in ozio. La sera si sarebbe potuto ritornare in autobus a Castellammare del Golfo, prendendo una delle due corse giornaliere che collegano i due centri, a seconda di quanto sarebbe stato di nostro gradimento rimanere a San Vito. Ma le cose non sono andate cosi'.

L'ingresso lascia pensare ad una piacevole passeggiata attraverso dei comodi sentieri. Dopo la galleria che e' simbolo della riserva, visto che segna il primo passo della costruzione della litoranea Scopello-San Vito Lo Capo e anche la vittoria della volonta' dei cittadini che hanno desiderato lasciare intatto questo magnifico tratto di costa, il sentiero diventa ben piu' scosceso e faticoso da percorrere. La vegetazione diventa anche molto piu' rada - salvo tratti che attraversano oasi in cui la vegetazione si rinvigorisce e si possono ammirare degli esemplari vegetali tipici e molto rari.

Poco piu' avanti si incontrano le prime discese a mare. La costa della riserva e' frastagliata e accessibile per lunghi tratti solo via mare. Eccezion fatta per le quattro calette (Cala Capreria, Cala della Disa, Cala dell'Uzzo, Cala Tonnarella) per cui esistono delle variazioni del percorso costiero che permettono l'accesso ad esse.

E anche se gli operatori all'ingresso ci hanno detto che tra tutte le calette la piu' degna di un bagno era Cala della Disa, non abbiamo resistito a soffermarci gia' a Cala Capreria. Uno spettacolo, e a giustificarlo era anche la quasi impossibilita' di trovare un ritaglio di spiaggia ghiaiosa dove stendere i nostri teli. In acqua pero' lo spazio c'era. E la piacevolezza di stare ammollo ci ha fatto godere persino della folla che sovrastava quel piccolo paradiso.

Dura la risalita e duro riprendere il cammino, anche perche' il sole si era alzato ancor piu' e picchiava oramai perpendicolarmente su lunghi tratti di selciato. Era scontato quindi che ci saremmo fermati alla prossima occasione propizia. Che ci si e' presentata qualche centinaio di metri piu' avanti, con il Museo della manna. La sosta, oltre ad essere salutare, e' stata anche interessante da un punto di vista culturale. Pino, il custode dei locali che ospitano questa esposizione, ci ha dato delle interesssanti delucidazioni su questa linfa che si estrae in un particolarissimo periodo dell'anno dai frassini presenti in questo tratto di riserva. La sua arte e' quella di praticare l'intaglio nella corteccia dei frassini che permette alla manna di fuoriuscire ed essere cosi' raccolta per essere lavorata.

Eravamo gia' consapevoli che non saremmo andati oltre la prossima caletta. E visto anche che Cala della Disa era veramente magica come ci avevano descritto, ci siamo rimasti a lungo prima di tornare tutto d'un fiato verso l'Ingresso Sud della riserva.

Un pomeriggio d'estate non e' mai stato cosi' corto, passato a non far nulla tra il lettino e l'amaca all'ombra di due piccoli ulivi sotto il pino secolare che impereggiava nell'ampio giardino. E poi, la potatura della palma nana e' un mestiere che ho sentito subito mio. Un giro in centro a Castellammare del Golfo per prenotare una minicrociera per San Vito Lo Capo del giorno dopo. Tanta vita e tanto fascino nei pressi del porto di questa citta', dominato dal Castello Arabo-Normanno collocato sul promontorio che si sporge sul mare, quasi a metter paura a qualunque navigante un tempo osava avvicinarsi.

Con le ultime luci del giorno, ci rechiamo verso la vicina Alcamo per un salutare bagno all''acqua caura' ovvero alle Acque Calde di Alcamo. Si tratta di un rigagnolo di acque termali dove si formano delle pozze in mezzo alla natura, in cui molte persone vanno per immergersi e beneficiare degli effetti terapeutici di tali acque. In realta', Andrea ci ha spiegato che questo corso d'acqua e' famoso in quanto, poco piu' su, diventa un frequentatissimo ritrovo per gay. Cosa che abbiamo appurato dopo la mezzoretta che abbiamo trascorso a bagno, andando via, spingendoci qualche centinaio di metri piu' su lungo la strada che costeggia il ruscello per fare manovra con la macchina e tornare indietro.

E' sera inoltrata quando rientriamo e per cena optiamo per qualcosa di veloce e di tipico. Pane con le panelle, le tipiche frittelle palermitane fatte farina di ceci, stigghiola (spiedino arrostito fatto con budella di agnello aromatizzate con prezzemolo e cipolla) e birra a volonta'.

Minicrociera da Castellammare del Golfo a San Vito Lo Capo

L'indomani la nostra giornata inizia ancora con qualcosa di tipico ovvero una ricca colazione con le Iris, tipici dolci siciliani farciti di una squisita crema alla ricotta, con gocce di cioccolato. Poi direzione porto, dove la Leonardo Da Vinci era oramai al limite della capienza per iniziare la minicrociera fino a San Vito Lo Capo. Mancavamo solo noi e pochi altri, e il simpaticissimo Capitano Sandro aveva gia' la lista degli ospiti in mano pronto per chiamare l'appello.

Lasciando il porto e seguendo la costa verso Ovest, si ha subito la possibilita' di vedere questa bellissima cittadina da un punto di vista spettacolare che il capitano ci ha indicato come porta di Castellammare e la motivazione di cio' e' antica. Infatti, quando gli stranieri arrivavano via mare, l'attraversamento di questa scogliera dava l'accesso alla vista del Castello Arabo-Normanno e del porto, e di tutta la cittadina le cui costruzioni si arrampicavano tutt'intorno fin su le pendici del Monte Inici.

Proseguendo lungo la costa l'imbarcazione si e' fermata in piu' punti caratteristici. Tra gli altri mi e' rimasto impresso la Grotta delle Colombe, non tanto per la bellezza ma per la capacita' umana di ricamarci sopra delle leggende che hanno a dir poco del bizzarro. Si tramanda che le donne che riescono a contare dieci colombe dentro la grotta, entro l'anno troveranno marito. Non c'e' dubbio che il racconto e' simpatico, ma molto piu' divertente e' stato ammirare le persone che cercavano aggrapparsi a questo detto e contare le dieci colombe, anche se visibilmente non ce ne erano piu' di quattro o cinque al massimo.

Il nostro viaggio in barca prosegue costeggiando tutta la costa dello Zingaro. Dal mare e' possibile ammirare il paesaggio unico della riserva e la vegetazione che quasi inspiegabilmente a sprazzi prende vigore nella cornice unica tracciata dal Monte Speziale, desolatamente brullo e arido e spoglio, ma forse proprio per questo ancora piu' carico di fascino e di una bellezza unica di questa terra.

Passata la riserva, dopo la sosta davanti alla Cala Leone e un meritato bagno con relativi tuffi dalla motonave (che mi sono costati consapevolmente la perdita di una lente corneale), il Capitano Sandro ci avvisa che di fronte a noi c'e' la Tonnara del Secco, posto reso famoso anche per essere stata teatro dell'episodio 'Il giro di boa' della serie televisiva 'Il commissario Montalbano'.

Il sole alto, con i raggi che scendevano quasi dritti sulle nostre teste, la giornata particolarmente chiara e il paesaggio spoglio e arso di queste zone, acquisivano un fascino sempre piu' irresistibile man mano che ci avvicinavamo alla nostra destinazione. E la vista della spiaggia di San Vito che si e' aperta alla nostra sinistra dopo aver superato l'enorme montagna i cui costoni rocciosi a strapiombo sul mare assumono la strana forma del profilo della testa di un gigantesco elefante, penso che a pochi non abbia suscitato desiderio. Desiderio di esser la', di sentire la sabbia e i raggi del sole. E di tanto in tanto immergersi in quelle acque chiare che, per opera della sabbia bianchissima dei bassi fondali, riflettevano un celeste incredibilmente intenso che trasmetteva una senzasione di piacevole calore e di candore.

Da li' a poco abbiamo attraccato nel porticciolo turistico. Una visita veloce nella chiesa di San Vito, con tanta fede e un pizzico di superstizione. Poi uno spuntino veloce in un bar che da' sulla piazza e una granita che in quel contesto di caldo secco e senza ombre, di case bianche assimilabili a parallelepipedi senza una piu' specifica connotazione, se non fosse per i colori irrompenti dei loro infissi e per i vasi colmi di fiori colorati che soventemente le ornano, assumeva un fascino che mi sembrava di trovarmi in un film degli anni settanta, del genere di La ragazza con la pistola.

Le rimanenti ore trascorse in questo incantevole borgo di Sicilia le abbiamo passate in spiaggia. Facendo difficolta' a scegliere se stare in acqua o sulla sabbia, tanto che era invitante starci dall'una o dall'altra parte.

Il rientro me lo sarei immaginato monotono. Alla fine dovevamo ripercorrere la via dell'andata, al contrario. Ma il diverso orientamento del sole ce l'ha fatta sembrare come un tragitto nuovo, o forse semplicemente ce l'ha resa piacevole da vedersi come se fosse la priva volta che l'attraversavamo.

Questa volta ci siamo fermati di fronte alla Tonnara di Scopello e ai Faraglioni che quasi la ingabbiano. Il borgo e' incantevole. Ed e' incredibile il solo pensiero che sia proprieta' privata e che l'accesso al mare di un pezzo di costa della nostra Italia che avrebbe dovuto essere pubblico demanio, debba essere regolamentato dallo scambio di denaro.

Comunque, il Capitano Sandro ci informava dalla voce d'altri tempi che si diffondeva dal megafono che aveva in mano, un po' a mo' di indovinello e un po' a mo' di insegnante delle scuole elementari che porta in gita la sua scolaresca, che la vista che avevamo di fronte a noi era stato teatro di alcune scene di Ocean Twelve che hanno visto impegnate star del calibro di Brad Pitt e Catherine Zeta-Jones. Non vi descrivo la fierezza del capitano nel raccontarci questi gossip. Nemmeno minimamente intaccata dall'ironia a volte imbarazzante di alcuni turisti dall'aria particolarmente leggiadra.

L'arrivo in porto non ha affatto cancellato la magia delle piacevoli sensazioni provate in questa giornata, perche' Castellammare, in un tipico tardo pomeriggio d'estate, quando la gente comincia a girare per le vie adiacenti al porto e i tavoli dei locali tutt'intorno cominciano a riempirsi, ha un'aria davvero speciale che ti viene voglia di contiunuare a viver quei posti senza un attimo di pausa. Senza fermarti per una doccia che ti porta via il sale. Senza ritornare a casa e cenare. Senza farti mettere un abito che ti conforma agli altri e avere cosi' il lasciapassare per tornare in centro e sentirti solo uno dei tanti. Ma poi cedi.

San Vito Lo Capo

La notte fonda per le vie di Castellammare mi ha regalato, contro tutti i pronostici, un risveglio dolce e desideroso di continuare, mantenendo quei ritmi frenetici, a vedere e vivere i momenti di questa vacanza istante per istante. E cosi' sono tornato ancora a San Vito Lo Capo con amici. Ma c'e' ancora qualcosa di nuovo. Dopo la riserva e dopo la crociera, la novita' e' l'aver raggiunto San Vito attraverso la strada asfaltata. Se si pensa ai soli setti chilometri di costa che dividono Scopello da San Vito, che possono diventare venti, ma non piu', quelli che separano i centri di Castellammare e di San Vito, diventano quaranta e rotti se percorsi lungo l'unica striscia d'asfalto che collega i due comuni.

Ancora una giornata chiara, soleggiata e un'aria salina che non vorresti mai smettere di inalare. Sdraiarsi sulla distesa bianca e morbida, scottarsi al sole e poi andare ad idratarsi nel vicino specchio d'acqua, e' un piacere che il ripetersi sistematico a cicli regolari, non sminuisce. E prosegue fino a sera tarda. Quando l'imbrunire accende i contorni che demarcano i confini che separano la volta celeste dalla terra e dal mare, di un rosso fuoco che si sfuma e si perde nell'azzurro carico del cielo che si appresta ad assumere i colori della notte.

E' l'ora giusta, per una partita a pallavolo o a calcio sulla sabbia. E poi un bagno e una doccia fresca. Un trancio di pizza e una coca diventano la pietanza piu' gradita per cena, in tali contesti. Come piacevole e' sedersi in cerchio e cominciare a parlare di argomenti disparati, che mettono a confronto persone con diverse origini e diverse tradizioni. Diversi stili di vita e punti di vista. A volte anche che si trovano di fronte per la prima volta.

Poi si fece tardi. In macchina avevamo tutti il ricambio per la sera. In programma c'era il Summer Music Festival, un appuntamento con una partecipazione di nomi discretamente importanti sullo scenario musicale nazionale e internazionale. Lo spettacolo si svolgeva sull'ampia spiaggia, ed e' stata questa la cosa che per me rendeva un tantino eccitante parteciparvici. L'eccitazione si impenno' invece quando, finito il festival, ebbe inizio l'evento per me piu' atteso del programma previsto per la Notte Bianca che quella sera si stava tenendo. E come lo era per me, lo era per pochi altri. E in un battibaleno ci siamo trovati sotto il palco.

Poco male, se si pensa che da li' a poco ci saremmo trovati di fronte ai Jarabe de Palo, trainati dal mitico Pau Dones. E non lo dico perche' adesso l'ho visto. Ma perche' al di la' dell'artista, e' stata sempre una persona che a mio parere suscita trasparenza, spontaneita' e originalita' che nel mondo della musica, a certi livelli, non si trova. Che si tratta di personaggi particolari e' chiaro, basti ricordare che dal 2008 hanno divorziato dalla propria casa discografica per forndarne una propria.

Il concerto e' andato avanti fino a notte fonda, ma sempre piacevole per l'ottima musica e i piacevoli intramezzi in un italiano piuttosto stentato - ma non per questo meno apprezzato - di Pau Dones. Veramente memorabile la conclusione del concerto con La flaca, il pezzo che li ha lanciati.

La Notte Bianca e' proseguita con la discoteca in spiaggia. Fatto che potrebbe essere non meritevole di segnalazione, se non perche' e' stato un importante segnale di apertura, di creare un elemento di socializzazione, di prestare attenzione verso le giovani generazioni. E questo mi ha fatto ammirare chi si e' impegnato a organizzare in tal modo l'evento. Perche' ha dimostrato di saper cogliere e di saper dare il giusto focus a chi si appresta ad affacciarsi sul mondo, quando la maggior parte dei 'meno giovani' tralascia irresponsabilmente aspetti come questo. E a conferma dell'attenzione per i giovani da parte di chi ha permesso quest'evento, c'era una distesa di tende da campeggio che ricoprivano le spiagge su cui si affaccia il lungomare. In quel momento un forte desiderio di trovarmi tra loro con vent'anni in meno, si e' trasformato in una sottile e malinconica stretta al cuore.

Palermo e Erice

Per andare a Palermo abbiamo bisogno di essere accompagnati da una persona che ci si sa muovere dentro. Nulla di meglio della compagnia di Ninuccio. Un uomo speciale nella sua semplicita'. Un anticonformista dalla nascita, mi sembra di capire. Suona in un gruppo e costruisce delle bellissime collane con dei belissimi minerali sapientemente accostati. Segno della vena artististica che risiede in lui. E veste con delle lunghe camicie che ricordano un abbigliamento nordafricano. E' un cittadino mediterraneo. E' un individuo aperto, che favorisce l'integrazione dei popoli ed e' per lo scambio delle culture.

Seduti ad un bar, un pomeriggio torrido di una domenica, nei pressi della stazione dei treni, Ninuccio parla, e questi aspetti vengono fuori e mi affascinano, come mi affascinano i discorsi dell'essere umano che ha affrontato situazioni difficili e ha coltivato sogni. Tra tutti, Lotta Continua. Oggi non si batte. Ma racconta serenamente e con una dignita' ben al di sopra della media, a chi vuol ascoltare. A chi non ha pregiudizi e chi vuol farsi un'opinione di come siamo il risultato del nostro passato prossimo. E un'opinione per partecipare alla costruzione del nostro futuro.

Sulla via del rientro i discorsi si fanno piu' leggeri ma, anche dopo essermi fatto sfuggire tutto di Palermo, non passo indifferente davanti agli obelischi ai margini dell'Autostrada Palermo-Mazara del Vallo, nei pressi di Capaci, che segnano il punto dove il giudice Giovanni Falcone venne fatto saltare in aria insieme alla moglie e a due guardie del corpo. Nell'indifferenza di migliaia di macchine che in un senso e nell'altro sfrecciano ogni giorno, io ho provato un brivido al pensiero della trappola diabolica che e' stata tesa per far tacere per sempre quell'uomo che ad alta voce coltivava un sogno condiviso da gran parte degli uomini e che il piu' delle volte codardamente segregano nella loro mente.

E' pomeriggio tardo, e come spesso e' accaduto in questi giorni, abbiamo lasciato spazio alla nostra schiettezza davanti ad un boccale appannato di freschissima birra bionda, prima di andare a visitare Erice. Ci siamo quindi inerpicati sul monte omonimo che sovrasta Valderice a Est e Trapani ad Ovest, e sulla cui sommita' si trova il borgo antico del paese. La prima vista davanti a noi ci ha presentato le Torri del Balio, le imponenti torri edificate dai Normanni e ricostruite dal conte Pepoli alla fine del 1800. Tale conte fece costruire anche la torretta che da lui prende il nome (Torretta Pepoli) che si erge su una piattaforma rocciosa sul costone ai piedi delle Torri del Balio. Aggirando le Torri del Balio, si percorre il Giardino del Balio, anche questo voluto dal conte Pepoli.

Era gia' l'imbrunire quando abbiamo finito di attraversare il Giardino del Balio per trovarci sulla balconata antistante. Poco male visto il bellissimo tramonto che da lassu' si ammira su Trapani e sul mare di fronte a essa, con le sagome di Favignana, Marettimo e Levanzo che si delineano sullo sfondo.

Allontanandosi dalla vista panoramica sulle Egadi che volge a Ovest, e percorrendo la balconata che rende l'idea del perche' nei secoli in molti furono a volersi insediare ad Erice, si arriva alla scalinata che porta al Castrum Montis Sanctis Juliani (Castello di San Giuliano), nel cortile del quale all'inizio del secolo scorso e' stato rinvenuto il Tempio della Venere Ericina. Il castello risale ai tempi dei Normanni e occupa la sommita' del paese. I Normanni battezzarono l'attuale Erice con il nome 'Monte San Giuliano' (e tale rimase fino all'inizio del secolo scorso), in onore del santo che la leggenda narra averli aiutati a vincere la battaglia che sanci' l'estromissione dei Saraceni. Il castello prende il nome quindi dall'antico nome della citta', anche se ci riferisce normalmente ad esso come al Castello di Venere.

Vista l'ora, non e' stato possibile accedere ai resti del tempio, ma le poche notizie che ho potuto raccogliere tanto mi hanno fatto immaginare sul fascino storico di Erice.

Prima dei Normanni e dei Saraceni infatti, la citta' era stata occupata dai Bizantini e prima ancora dai Romani. E proprio i Romani erano gli adoratori della Venere Eracina e fecero del Tempio di Venere il loro luogo di culto. Secondo la mitologia, il tempio era stato eretto da Eryx, figlio di Afrodite e dell'argonauta Bute nonche' fondatore della citta', in onore della madre. Tra l'altro Enea scelse i pressi del tempio per seppellire il padre Anchise prima di dirigersi verso le coste laziali dove fondo' Roma. Tornando ancora piu' indietro nel tempo, da alcuni studi e' venuto fuori che il tempio era stato costruito dai Fenici in onore di Astarte. Quello che si pensa e' che tutte queste divinita' coincidono con la Dea dell'Amore e della Fertilita' e che il culto della Dea sia la religione che accomuna tutti questi popoli che si susseguirono ad Erice.

Dopo del castello, Erice ci parla ancora della Dea dell'Amore e della Fertilita' nella piazza che ospita la Fontana di Venere. E' affascinante l'evocazione di un culto intenso forse ancor piu' delle religioni che oggi si praticano sempre con minor fede. Ed e' affascinante l'ambiente intorno alla piazza, ricco di mura antiche fenicie e di piante che armonizzano il tutto.

La nostra camminata prosegue per le vie dell'accogliente centro storico, passando davanti al Centro Ettore Majorana, istituto post-universitario voluto da Antonino Zichichi. Quindi ci soffermiamo davanti alla chiesa matrice che risale a XV secolo, il cui portale e' caratterizzato da un annesso piccolo portico, detto 'gibbena', e dall'arco sovrastante in un particolare stile gotico caratteristico del posto ('gotico chiaramontano').

Per chiudere l''esperienza ericina', ci fermiamo in una tipica forneria dove posso avere il gran piacere di assaggiare il tipico dolce di Erice, la Genovese. Si tratta di un medaglione di pastafrolla, ripeno di crema pasticcera e ricoperto di zucchero a velo, che, servito caldo, e' un piacere del palato che e' un peccato perdersi. La domanda che mi sono posto, trascorsa l'estasi della degustazione, e' perche' si chiama 'Genovese'. Penso che rimarra' un segreto nel cuore di quella donna che trascorse in convento la giovane eta' e la' apprese la ricetta che oggi rende piu' dolce la vacanza di molti turisti che scelgono di visitare questo angolo di Sicilia.

Segesta, Calatafimi e Custonaci

A dire il vero Segesta non era uno dei posti che mi ero prefissato di vedere. Qualcuno me lo aveva suggerito e, tutto sommato, il tempo c'era per cui mi sono convinto che andarci non portava via del tempo che avrei dovuto dedicare a qualcosa che era nei piani di queste vacanze. La mattinata limpida e calda, e con essa il girovagare in macchina per le strade di provincia che si districano tra i colli e i monti aspri, tipici della natura siciliana, risultavano in una leggerezza che predisponeva a tutto. Giunti sul luogo archeologico, la prima cosa che non passa certo inosservata e' il maestoso tempio dorico (Tempio di Segesta) che sovrasta uno dei colli della zona e resiste intatto a secoli di storia.

Si sospetta che il Tempio di Segesta non sia pero' mai stato ultimato per la mancanza del tetto e della realizzazione della cella, apparentemente appena iniziata. Ma anche per la presenza delle imbragature che ancora oggi avvolgono le architravi. La motivazione dell'incompletezza e' da ricercarsi in leggende e testimonianze tramandate dall'anichita', che risultano del tutto verosimili.

Segesta e' stata fondata dagli Elimi, il popolo costituito in parte da profughi di Troia e in parte da Liguri. L'origine 'non greca' e' stata il motivo per cui Segesta e' stata sempre in contrasto con Selinunte (citta' greca della Sicilia sud-occidentale anch'essa all'epoca molto fiorente). E da una di queste diatribe ne e' derivata l'invocazione dei Greci da parte degli Elimi in loro difesa. Per onorare tale presenza fu stabilita l'edificazione di questo tempio greco. Tuttavia, l'auspicato aiuto greco non arrivo' nei tempi sperati. Fu cosi' che gli Elimi si rivolsero ai Cartaginesi, altro popolo con cui mantenevano fervidi contatti commerciali. A seguito di questo aiuto, pero', ci fu la dominazione cartaginese e conseguentemente la sospensione dei lavori di edificazione del tempio, che non furono mai piu' ripresi.

Dopo aver ammirato il Tempio di Segesta in lungo (60 metri) e in largo (circa 20) girandoci tutt'intorno, prendiamo il biglietto per andare a visitare l'area archeologica principale che si trova pochi chilometri piu' su, sulla cima del Monte Barbaro, che sovrasta tutta la zona. Per salire su ci serviamo della navetta che fa da spola tra la biglietteria e il centro 'abitato' dell'antica Segesta. Ogni cosa mi ha destato stupore e incredulita'.

E l'incredibile sta sostanzialmente nell'immaginare come le antiche civilta' siano state capaci di costruire una citta' lassu', viste le innegabili difficolta' legate alla natura del territorio e la mancanza di tecnologie per affrontarle adeguatamente. A parte il castello, che comunque e' stato costruito in tempi 'recenti', tutto il resto risale ai secoli prima dell'avvento di Cristo, e l'anfiteatro ottimamente conservato, che puo' ospitare diverse centinaia di spettatori (e che tuttora li ospita, durante le varie rappresentazioni che ancor'oggi si organizzano di tanto in tanto) dimostra il fervore condiviso nell'antichita' da un'ampia e folta comunita'. Ma e' incredibile anche l'impreparazione generale per ospitare simili chicche di storia. E' stato raccapricciante, per citarne una, osservare la scena in cui un turista con i suoi due figli, costretto a chiedere per avere una guida turistica (effettivamente piu' che necessaria per districarsi tra i resti di Segesta) e avere come unica risposta un'alzata di spalle che dice tutto sul funzionamento del turismo da queste parti.

Usciti da Segesta, lungo la strada, Calatafimi e' la', su un colle che ti trovi davanti. L'idea che la' si e' svolta la prima battaglia dei Mille e che proprio questo e' l'anno del 150° anniversario dell'unita' d'Italia, mi fa pensare che sarebbe vile passare nella piu' completa indifferenza da questo posto. Chiedo ad Antonio di fare una piccola digressione verso il Sacrario di Pianto Romano - l'ossario dentro cui sono custodite le reliquie dei valorosi combattenti che hanno dato la propria vita per vedere l'Italia unita - le cui indicazioni le abbiamo incrociate piu' volte lungo la strada. Arriviamo quindi alla sommita' di questo colle fuori da Calatafimi dove si erge questo mausoleo imponente, circondato da catene e miseramente vuoto.

Pensiamo che oltre a girarci intorno qualche minuto e scrutare tra i vetri della porta d'accesso, null'altro possiamo fare. E quando oramai eravamo pressocche' convinti di cio', sentiamo le voci di un anziano signore. Si tratta del custode dell'ossario che evidentemente si era allontanato per dedicarsi ai terreni vicini. Ci dice se siamo interessati ad entrare nell'ossario. Non ho dubbi e non posso placare la crescente curiosita'. Dentro troviamo dei reperti di quella che e' stata la prima battaglia dopo lo sbarco in Sicilia dei Garibaldini. E' evidente l'eccitazione del custode un po' causata dal poco afflusso di gente al sito storico, e un po' da un fervore patriottico. E' lui stesso ad affermare di essere un Garibaldino, se non altro per aver partecipato al film TV Garibaldi - Il generale del 1987 di Luigi Magni e con Franco Nero. Non esitiamo a fare una foto assieme a questa simpaticissima persona, in un atteggiamento degno del posto di memoria, davanti alle reliquie dentro l'ossario.

Poi ci spostiamo in la', attraversando il viale lungo il quale giacciono i cippi che riportano i nomi dei caduti di quella cruenta battaglia, fino ad arrivare allo spiazzo dove la battaglia conobbe i momenti piu' concitati. A ricordare quei momenti, la presenza di tre achi sovrastati dalla celebberrima frase di Nino Bixio: <<Qui si fa l'Italia o si muore>>. E sul fianco anche l'asta con all'estremita' un misero tricolore malconcio e con un evidente sguarcio. Proprio nell'anno del 150° anniversario dell'unita' d'Italia. Uno sguarcio al cuore anche a quella indecorosa visione.

E con questo termina la nostra escursione d'arte, almeno per oggi. Il sole a picco che batte forte sulle nostre teste e la vista del mare sullo sfondo sono richiami irresistibili. Ci dirigiamo cosi' verso Custonaci, e un po' piu' in la' sulla strada che porta a San Vito lo Capo, sempre lasciando davanti a noi la favolosa Baia di Cornino, proprio sotto la vetta irrompente del Monte Cofano. Una cosa molto particolare. La costa e' rocciosa, ma bassa. E la roccia e' acuminosa ma di media durezza, a tratti spugnosa. E cio' e' evidente anche dalla caratteristica corrosione che presenta incisioni anche profonde. Calcarea e apparentemente simile al tufo. E il colore scuro lascia presagire un'origine vulcanica.

Per rendere piu' agevole la balneazione, sono presenti delle piattaforme in legno su cui e' possibile stendere i teli e sdraiarsi su essi per prendere il sole. Poi quando il caldo si fa insopportabile allora ci si puo' calare, non senza qualche difficolta', nelle antistanti acque trasparenti nonostante la presenza delle rocce di colori scuri che si affondano sotto l'acqua del mare e percorrono i fondali fino a lasciare spazio alle folti alghe e alla sabbia.

La sera regala una piacevole occasione per vivere ancora dal di dentro questo pezzo di Sicilia. Siamo invitati ad un falo' sulla spiaggia di Custonaci. Un grande falo' alimentato da tanta sterpaglia e con fiamme altiissime. Tanta birra fresca, carne di maiale e salsicce con i semi di finocchio arrostite a imbottire il tipico pane con il sesamo che e' molto comune da queste parti. E poi ancora saporitissimi meloni e gustosissimi cocomeri. Anche la musica e i bagni di mezzanotte danno un'ulteriore spinta a socializzare con gli altri ragazzi del posto e questo e' sicuramente l'aspetto piu' interessante della serata. Quello che ti fa vivere una vacanza nell'essenza del suo significato.

Favignana

E' faticoso la mattina dopo alzarsi. Ma l'idea che mi sarebbe toccato mettere piede sulle Egadi e su Favignana in particolare, mi fa dimenticare ogni strascico di stanchezza e di sonno che vista la notte appena trascorsa, sarebbero giustificatissimi. La giornata pero' non e' delle piu' chiare. Qualche nuvoletta portata a zonzo da un po' di vento, mi fa presagire che non riusciro' a vedere Favignana cosi' come l'ho vista in televisione, grondante di tanta naturale bellezza che affiora da un mare fermo, azzurro e trasparente.

Dopo la colazione al bar, servita sempre con la stessa soprendente attenzione verso il cliente, ci dirigiamo verso Trapani per prendere l'aliscafo che ci portera' a Favignana. Prima pero' passiamo da un chiosco a prendere un po' di 'pani cunzatu' come nostro pranzo a sacco per questa nuova e ricca giornata in liberta'.

Dopo il traversamento di questo splendido braccio di mare, giungiamo nel porto di Favignana. Qualche foto si', ma ci proiettiamo subito a trovare il miglior offerente per uno scooter da noleggiare per girare l'isola dandoci la possibilita' in un solo giorno di poter toccare molti dei suoi punti suggestivi. Ci e' bastato poco per trovare un mezzo idoneo alle nostre aspirazioni e subito ci catapultiamo a girare l'isola con la tipica forma di farfalla. Ci dirigiamo verso Est, decidendo cosi' di percorrere le coste dell'isola in senso orario.

La prima meta dove ci soffermiamo per goderci il panorama e scattare qualche foto e' Scalo Cavallo. Dalla terrazza con spendida vista sulla costa di tufo intagliato per le estrazioni nei tempi passati, a cui si giunge senza difficolta' lasciando la Litoranea, si puo' accedere ad un arco, anch'esso scavato nella roccia, che permette di immettersi dentro dei cunicoli da cui si possono ammirare incantevoli panorami marittimi.

Riprendiamo il nostro cammino. Lungo le stradine sterrate, al di la' dei muretti a secco che segnano il confine con gli appezzamenti di terra incolti, scorriamo degli asini in liberta'. Placidi che sembrava quasi chiedessero l'attenzione di qualche turista. Noi ci fermiamo per avvicinarci a loro e carezzarli. Come per avere da questo contatto un pizzico della loro serenita' e portarcela con noi nella nostra quotidianita'.

Giungiamo quindi alla prima delle famose calette di Favignana, Cala Rossa, il cui nome e' da attribuire al colore delle sue acque per il sangue in esse riversato dopo la prima guerra punica. Ineccepibile il fondo chiaro e il colore cristallino delle sue acque al riflesso dell'azzurro del cielo, a testimonianza dei fondali chiari. Sarebbe stato uno scenario davvero mozzafiato se qualche nuvola e il Maestrale non avessero accompagnato questa giornata.

Decidiamo quindi di andare alla successiva cala, Cala Azzurra che, trovandosi dalla parte opposta dell'isola, e' protetta dai venti e quel giorno e' un posto buono per fare un bel bagno. Una marea umana pero' occupa ogni angolo delle spiaggette e ogni centimetro quadro di posto utile anche solo per stare all'impiedi. Ma noi non demordiamo e riusciamo a ricavare il nostro mezzo metro quadro di scoglio su ci stendere a meta' uno dei nostri teli e a deporre i nostri zaini. Dopo un bel bagno nell'antistante piscina cristallina, azzanniamo il nostro pani cunzato e beviamo e ci rituffiamo nelle basse e calde acque che ci attirano come una polarita' irrefrenabile e opposta alla nostra.

E' solo il pensiero del poco tempo a disposizione che ci distoglie da quel posto incantevole. Ma fa caldo. Tanto caldo. E ci infiliamo nel bar attiguo per farci un birra ghiacciata che aggiunge un gusto ancora piu' giusto al momento che stiamo vivendo. Un ultimo tenue segno di resistenza dall'andar via da Cala Azzurra e' l'esserci spinti piu' in la', verso una delle estremita' della cala che e' probabilmente anche l'estremo sud di Favignana. Si tratta di Punta Marsala, il promontorio caratterizzato dalla presenza di un faro e da cui si puo' ammirare Cala Azzurra in tutta la espansione.

Poi di nuovo in moto a violentare l'isola, con un fondo di mia consapevolezza. Come consapevole ero che l'alternativa era abbandonare l'idea preconcetta che avrei dovuto compiere il giro dell'isola. Seguiamo la strada costiera in direzione dell'ala ovest della 'farfalla'. Questo lato dell'isola presenta un costa generalmente bassa, per lunghi tratti rocciosa ma anche con ampie spiagge sabbiose, come quelle del Lido Burrone e quelle della Plaia. Facciamo anche una leggera digressione per spingerci su Punta Longa, la tipica lingua di terra che si addentra per decine di metri dentro il mare, rappresentando cosi' di fatto le antenne di questa ideale farfalla di cui l'isola ha forma.

Proseguiamo sapendo che l'ala ovest dell'isola e brulla e intatta e la' troveremo solo degli splendidi paesaggi e niente piu'. Neanche alla fine della strada asfaltata ci fermiamo. Ci spingiamo piu' in la' verso Punta Faraglione e oltre, fino alla vista della Cala Faraglione. Una caratteristica cala semicircolare all'interno del quale l'acqua e' praticamente ferma, ma anche fresca e pulita. E ci invita a fare questo nuovo bagno nonostante i fondali non siano molto agevoli. Poi ci sdraiamo al sole ormai calante per asciugarci. E poi ripartiamo e lasciamo lo sterrato in scooter e corriamo lungo la strada asfaltata e attraversata da folate di vento. Sulla mia destra alti cavalloni si abbattono sulle spiagge selvagge di questa parte di Favignana e cupe nubi rade che infrangono l'azzurro intenso del cielo vicino all'orizzonte, rendono un po' aspro il retrogusto che questa giornata si appresta a lasciarmi. Ma non mi dispiace e in questo velo di asprezza colgo un sottile piacere.

Prima di tagliare in due l'isola passando da una costa all'altra nel punto che divide le due ali della farfalla, ci fermiamo in un localino a ridosso della spiaggia. Seduti al tavolo sul terrazzo in legno, mentre beviamo un altro drink, il sole oramai ci guarda in faccia e fa risplendere le nostre facce salate e le lenti dei nostri occhiali da sole. A noi non dispiace e ci godiamo fino in fondo questo momento che ci assopisce.

Il ritorno in traghetto, trascorso sui sedili del ponte ed esposti ai raggi di un oramai fievole sole, il cui calore e' pressocche' del tutto smorzato da una fresca brezza marina, e' stato inconsapevolmente la giusta sigla di chiusura di questa gita che nella mia quasi incredulita' mi ha regalato quello che solo dopo ho realizzato di aver desiderato.

A coronamento di questa giornata che non ha mai finito di stupirmi, una splendida cena dove ho potuto ancora assaporare nuove prelibatezze culinarie siciliane. La Busiata e' una pasta all'uovo fatta in casa, intagliata allo stesso modo delle pappardelle, ma piu' corta e attorcigliata per assumere la forma di un ricciolo. Condita di un semplice sughetto al pomodoro, ma arricchito da 'mentuzza' e semi di finocchio, mi ha fatto veramente ancora un po' piu' felice di aver vissuto quest'esperienza.

Ho chiesto troppo quando pensavo di avere un filo di energia per andare anche alla Sagra della Busiata e della Spincia a Custonaci. Arrivati sul posto dove avrei potuto anche degustare anche questo dolce siciliano tipico della zona - la Spincia, appunto - ci vediamo costretti ad alzare bandiera bianca e a battere ritirata, stremati dalle forze, oramai al minimo.

Trapani e le Saline

Forse ho snobbato questa ulteriore tappa, nonostante ad un certo punto mi era stata ripetutamente suggerita. Fino al punto di portarmi quasi per forza, prima di prendere il volo di ritorno, a visitare le Saline di Trapani. Si tratta di grandi distese di acqua salata che ricoprono un ampio territorio del comune trapanese, dove a tutt'oggi si produce il sale. E' stato alquanto interessante e senz'altro una visita avrebbe meritato anche il Museo del Sale al suo interno, dove sono conservati parecchie testimonianze sulle tecniche usate presso questa struttura per estrarre il sale dalle acque che attraverso complicati meccanismi di instradamento vengono fatte convogliare sulla terra ferma.

Non c'e' piu' tempo. L'aereo non attende. Oramai penso di averlo imparato bene. Ma quel <<non c'e' piu' tempo>> suona quasi come un libro lasciato aperto con questa terra, e tante pagine ancora che bisognera' continuare a leggere.

Sulla Via degli Dei

venerdì 25 novembre 2011

Non c'e' niente di originale nel decidere di fare un percorso di soft trekking di un centinaio di chilometri. Oggi sembra una scelta del tutto comune fare un po' di giorni fuori, unendosi completamente con la natura e mettendo da parte il tumulto della quotidianita'.

Anche questo percorso quindi potrebbe essere una scelta volta a perseguire obiettivi di tranquillita' e di riscoperta delle radici della vita dell'essere umano. Risulta invece del tutto originale che un tale percorso sia stato scelto per festeggiare l'imminente matrimonio di uno di noi. Ma la bizzarra idea ci e' sembrata a tutti subito una cosa molto piacevole da fare e un'occasione per rafforzare quel gia' forte vincolo di amicizia basata su un rispetto implicito che non fa uso di inutili formalita' che appesantiscono i rapporti che non hanno nulla di spontaneo.

Forse era una voglia di verificare questo rapporto, forse era la nostra inattaccabile convinzione di quello che il nostro rapporto era. Forse era piu' semplicemente la nostra volonta' di salutare con un bel ricordo un felice evento.

Cosi', sei amici legati da un vincolo sincero e profondo, e al contempo di rispetto delle proprie liberta' che non sono mai state causa di limitazione dei rapporti umani, si sono riuniti per passare quattro giorni di cammino comune e festeggiare l'addio al celibato di uno di loro.

Il cammino scelto e' un itinerario classico ma - stando a quanto abbiamo potuto osservare strada facendo - non molto frequentato dagli appassionati di questo tipo di esperienze. Si tratta della Via degli Dei.

La Via degli Dei e' un percorso escursionistico tra Bologna e Firenze che segue grossomodo la strada romana Flaminia Militare, costruita dai Romani nel II secolo a.C. per collegare Rimini e Arezzo e rendere al contempo piu' sicuri quei terrirtori da poco conquistati ai danni dei Celti. Il cammino e' stato cosi' chiamato per via dei nomi delle varie montagne che attraversa, che spesso sono quelli di divinita' o fanno ad esse riferimento (Adone, Venere, Giunone, Lua). Il genere prettamente femminile delle divinita' diventa poi un'esortazione della bellezza dei posti attraversati.

Primo giorno: Sasso Marconi - Madonna dei Fornelli

La partenza del percorso e' il Santuario della Madonna di San Luca in Bologna. Ma partendo da qua bisogna seguire un lungo tratto di strada asfaltata e densamente trafficata. Ecco perche' anche noi abbiamo preferito raggiungere la stazione ferroviaria di Sasso Marconi in treno da Bologna, e da li' iniziare la nostra splendida avventura.

Nella piazzetta retrostante la stazione (a cui si accede dal sottopassaggio), sono subito visibili le indicazioni bianco-rosse del CAI con la dicitura Bo-Fi, che ci accompagneranno per tutti e quattro i giorni fino a Fiesole, la nostra destinazione finale. Anche per l'arrivo, come per la partenza, scegliamo di evitare un inutile e noioso tratto di strada statale che da Fiesole porta a Firenze.

Attraversato il ponte sul fiume Reno, comincia subito una salita abbastanza impegnativa, che gia' ci fa pregustare l'impegno richiesto ma anche la bellezza della natura in questo tratto dell'Appenino. Poco piu' su, un altopiano con una gradevole vista a trecentosessanta gradi e una bellissima giornata di sole, ci bloccano per la prima delle nostre tante soste.

Da li' a poco cominciamo a renderci conto della segnaletica confusa del CAI, unita alla poca chiarezza della guida La Via degli Dei edito da Tamari Montagna Edizioni, che avrebbe dovuto essere il riferimento per ogni nostro spostamento. Il gruppo si spacca in due e noi, quando vediamo l'insegna per il monte Adone, non resistiamo alla tentazione di andarci sopra per trovare quanto di piacevole la guida suggeriva. D'altronde, l'immagine sulla copertina della guida ritrae proprio una bellissima vista dalla cima del monte. Sarebbe stato innaturale fare il cammino senza aver visto quel posto. Anche se ai piedi della salita, la gente del posto ci diceva che potevamo tranquillamente evitare di andarci e proseguire il percorso della tappa odierna.

In cima ci ha sorpreso non poco la vista mozzafiato sulla vallata che si apriva davanti a noi, purtroppo solcata dall'autostrada Bologna-Firenze, con il costante ronzio di motori di veicoli in sottofondo. Ma comunque incantevole per la presenza di fronte allo strapiompo davanti a noi, dei Castelloni ovvero di alti torrioni di arenaria che risale al Pliocene, cosi' modellati da fenomeni erosivi caratteristici della Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico di cui il monte Adone fa parte.

Proseguendo, l'autostrada seguiva il nostro cammino alla nostra sinistra. Tuttavia, siamo rimasti attoniti quando leggendo la guida a voce alta, sentivamo dire che camminando ci lasciavamo l'autostrada sulla nostra destra! Adesso coominciavo a realizzare perche' lungo il cammino il cartellone con il messaggio di benvenuto sul monte Adone lo si leggeva solo da dietro rispetto al senso di marcia che noi stavamo seguendo! Stavamo semplicemente seguendo il percorso al contrario. E continuando a seguire quel senso non avremmo fatto altro che ritornare al punto di partenza.

E' stato veramente frustrante dover tornare indietro risalendo le ripide e scoscese discese al di qua della vetta. Ma mantenere la calma in queste prime battute era doveroso.

Piu' avanti i nostri amici, che avevano saggiamente aggirato il monte piuttosto che scavalcarlo, erano placidamente seduti al bar da un'ora e piu'. Riprendiamo assieme e poco piu' avanti ci fermiamo in un grande prato al centro del quale vi era una roulotte abbandonata che faceva molto pensare al film Into the wild di Sean Penn del 2007. E' forse quest'associazione, ancor piu' del languorino che ognuno di noi cominciava a sentire, che ci ha spinti a fermarci per il ristoro.

Alla ripartenza, nuvole minacciose si addensano davanti a noi. Ma non ci fanno paura. Forse e' la noia di lunghi tratti asfaltati che ci deprime. Tra noi pero' c'e' chi riesce a trovare un modo e poi un altro per non pensarci e riderci su, anche in questi momenti di difficolta'. Un pallone bucato, che abbiamo battezzato 'Wilson' con chiaro riferimento al film Cast Away diretto da Robert Zemeckis, con Tom Hanks, del 2000, ci ha tenuto compagnia per parecchi chilometri fino ad avvicinarci a Monzuno.

Nei sentieri che lambiscono Monzuno, invece, ci siamo imbattuti in una fattoria all'interno del quale vi era un casale con dei cavalli e una radiolina che diffondeva musica, a far loro compagnia. In vano abbiamo bussato nelle porte la' intorno, chiamato affinche' qualcuno ci rispondesse e girato alla ricerca di qualcuno, per avere indicazioni sul nostro percorso o per riempire le nostre bottiglie d'acqua. Abbiamo dovuto desistere e andare via. A noi si e' aggreagato un simpatico cagnolino che ci ha fatto strada fino a Trasasso, lungo i sentieri del CAI resi difficili dalla pioggia, e per la strada asfaltata.

Arrivati a Trasasso, un esperto signore di percorsi del circondario, ci ha illustrato le due possibilita'. Seguire la provinciale fino a Madonna dei Fornelli oppure seguire il sentiero che sale fin su la vetta di monte Venere, da cui e' possibile vedere un bel panorama, e poi scendere fino alla nostra destinazione finale della giornata. Parte di noi l'avrebbe fatto. Ma in effetti rischiavamo di trovarci con il buio in mezzo a sentieri in cui non eravamo sicuri di riuscire a districarci facilmente. La pioggia, poi, aveva probabilmente reso viscido e pesante il fondo. Infine tra noi cominciava ad affiorare un principio di esasperazione che non poteva effettivamente essere placato ancora a lungo, prima di esplodere.

E' risultato saggio seguire la strada piu' facile e sicura. Dopo circa dieci chilometri e un ultimo tratto di salita che sembrava interminabile, quando oramai era quasi sera, raggiungiamo il nostro hotel, che avevamo saggiamente prenotato strada facendo.

Difatti non e' che c'erano grandi folle di escursionisti o turisti in genere. E al risorante dirimpetto piu' tardi ci siamo trovati con un gruzzolo di persone del posto o lavoratori dei vicini cantieri della variante del valico. Ma la magia del clima della prima sera insieme e di questo primo momento di tranquillita' dove ci mettevamo alle spalle le fatiche di un intero lungo giorno, non l'avremmo in quel momento scambiata con nient'altro.

Secondo giorno: Madonna dei Fornelli - Monte di Fo'

Una notte si sereno riposo in un confortevole hotel di un grazioso paese misconosciuto dell'Appennino Tosco-Emiliano, e la giornata di sole e di un azzurro limpido, hanno stravolto quella che a tratti il giorno prima si preannunciava come una disfatta generale. Un'allegria e una voglia di iniziare a camminare, ma allo stesso tempo di non bruciare nemmeno un solo secondo dei preparativi per la partenza che erano senz'altro un piacevole momento, su cui nessuno di noi ci avrebbe mai scommesso una lira fino a quel momento.

E cosi' abbiamo cominciato ad incamminarci lungo il sentiero che dolcemente porta sulla vetta del monte dei Cucchi. Uno di noi si e' perso alla ricerca di posti e punti da cui scattare le foto piu' belle. Quelle che renderanno ancora piu' piacevole il ricordo di questo viaggio. Non ce ne curiamo, ma solo fino a quando non giungiamo a un bivio dove non e' cosi' chiaro il tragitto da seguire. E ancora una volta non ci e' molto d'aiuto, esattamente come i segnali bianco-rossi del CAI, la nostra guida. La fortuna pero' ci ha fatto incrociare due signori del posto usciti per un'escursione in Jeep sul monte, che ci hanno dato preziose indicazioni sulla strada da seguire. Nel frattempo, le urla e i forti richiami non sono serviti a molto ma, dopo un po', il disperso e' riuscito a ricongiungersi al gruppo.

Una breve discesa ci ha portati a Pian di Balestra, dove troviamo degli interessanti siti archeologici tra cui ampi tratti di lastricato riportati alla luce negli ultimi decenni e magnificamente conservati, della cosidetta Strada romana Flaminia Militare, e le cave da dove veniva estratta la pietra per pavimentare la strada in costruzione. Studi hanno evidenziato che il tracciato originale di tale via di comunicazione e' stato segnato da Annibale. Annibale si servi' di tale tracciato per andare a combattere la battaglia del Trasimeno, che vide soccombere i Romani e perire il Console Flaminio. Il figlio, Caio Flaminio, fece costruire sul tracciato individuato da Annibale la strada a cui i due ricercatori, Cesare Agostini e Franco Santi, che l'hanno portata alla luce, hanno dato il nome che oggi porta.

Un po' complice la bella giornata luminosa e limpida, ma anche grazie all'assenza totale di centri abitati lungo questa tappa, i posti che abbiamo attraversato quest'oggi li ricorderemo come quelli piu' belli della Via degli Dei. A meta' tappa in particolare ci troviamo prima ad attraversare la Faggeta, uno stupendo bosco di faggi il cui sottobosco e' magicamente ricoperto, nonostante la fitta vegetazione che ne impedisce l'attraversamento dei raggi del sole, di un manto di felci che gli danno uno spettacolare quanto incredibile tocco di colore.

Poi camminiamo su sentieri lungo la Piana degli ossi, un tratto pianeggiante su un crinale, solcato da una mulattiera medievale, che e' una delle piu' antiche vie di comunicazione che permettono l'accesso dalla Pianura Padana alla Toscana. I viandanti che l'attraversavano nell'antichita', scambiavano in buona parte il materiale bianco che soventemente trovavano per terra, con ossa, e diedero per questo il nome di 'Piana degli ossi' a questo piccolo spazio pianeggiante. Il materiale spesso trovato dai viandanti in realta' invece altro non era che calce prodotta nei forni etruschi che sono affiorati da scavi archeologici del secolo scorso e ancora oggi conservati in buono stato. Un esemplare e' visibile in questo posto ed e' facilmente individuabile lungo il sentiero in quanto ricoperto da una tettoia posta a protezione dell'antico reperto.

Proseguendo arriviamo nei pressi dell'incrocio del Passeggere, che e' un punto dove la mulattiera si incrocia con la Strada romana Flaminia Militare. Nei pressi dell'incrocio del Passeggere ci fermiamo entusiasti (e vi saliamo sopra per ammirare lo stupendo paesaggio) nei pressi di un punto di avvistamento del CAI. E' anche l'ora propizia per la pausa pranzo e per questo decidiamo di fermarci nei prati poco piu' a valle, circondati da un verde e da armoniose forme ondeggianti dei colli tutt'intorno a noi, che hanno avuto l'effetto psicologico di contenere le fatiche di questa giornata.

La ripresa ci pone davanti ad una salita, dapprima lieve. Proseguiamo e ci addentriamo nel bosco aggirando il recinto che ci teniamo sulla nostra destra, al cui interno c'e' un laghetto artificiale. Da li' l'ascesa diventa molto piu ripida e il percorso piu' scosceso. Il sentiero ci porta fino alle Banditacce (nei pressi dei quali avremmo dovuto trovare una sorgente) oltrepassando cosi' i 1200 metri di altitudine.

Nei boschi seguiamo per lunghi tratti ancora la Strada romana Flaminia Militare, in parte ancora ottimamente conservata. E alla fine del sentiero che attraversa il bosco ci troviamo di fronte al maestoso Cimitero Militare Germanico della Futa. Si tratta del piu' grande sacrario tedesco in Italia e al suo interno riposano oltre trentamila vittime della seconda guerra mondiale. C'e' un insolito affollamento tutto intorno al cimitero. E un forsennato rombo di motori. Sono le macchine d'epoca della Mille Miglia che sfrecciano qualche centinaio di metri piu' giu', sulla strada maestra. Tanti appassionati ai bordi delle strade, molti anche con le auto piu' incredibili, e molti tra essi stranieri e in special modo Tedeschi, che hanno unito la passione per i motori con l'amor di patria che li ha voluti a rendere omaggio ai connazionali caduti in guerra.

Scegliamo il sentiero del CAI a discapito dell'asfalto, nonostante la maggiore distanza da coprire e il percorso piu' difficile da compiere. Sono gli ultimi chilometri di cammino di oggi. Quelli che ci portano al camping dove abbiamo deciso che passeremo la notte. Io ero un po' contrariato, a dire il vero. Ma alla vista del comfort dei due bungalow dove avremmo pernottato, sono riuscito a placare la mia contrarieta'. E forse non e' stato solo un caso questo malumore, forse era anche una premonizione che qualcosa non sarebbe andata nel verso giusto.

Dopo la cena, complice la stanchezza (ma, a mio dire, anche degli spazi stretti in cui ci siamo andati a rinchiudere), sono bastate un po' di avversita' a scatenare una lite tra noi a seguito della quale tutti ci avremmo messo un firma sul fatto che il nostro cammino sarebbe finito li'. La baraonda che si era generata non ha potuto non richiamare l'attenzione del guardiano, che non ha potuto fare a meno di mandarci via quando abbiamo rotto alcuni vetri della portafinestra di un dei due bungalow che avevamo preso in affitto. Solo una sapiente mediazione e una rassicurazione del fatto che avremmo pagato tutti i danni, ha convinto il guardiano a darci l'ultima chanche.

Terzo giorno: Monte di Fo' - San Piero a Sieve

Al bar, la mattina, durante la colazione, ancora perduravano strascichi della sera precedente. Anche il cielo grigio e l'aria umida, non facevano ben sperare per un lieto prosieguo. Tuttavia, presto lasciamo il camping Il Sergente e intraprendiamo il sentiero che ci porta sulla cima del monte Gazzaro. Il percorso diventa sempre piu' sconnesso. La salita piu' ripida. La nebbia piu' fitta. Avvolti da un alone di incredulita' per la mutazione completa delle condizioni metereologiche da un giorno all'altro, andiamo avanti, portando in qualche modo sulle nostre coscienze il peso della notte brava. Siamo stati abili a reprimere il malumore a seguito degli screzi, e anche se c'era la speranza che questo sorvolare potesse essere il giusto lubrificatante per far ruotare di nuovo fluidamente i meccanismi dell'amicizia, qualche stridio si e' protratto fino alla fine.

Sul finire della salita, dalla foschia fitta cominciava a delinearsi la grande croce conficcata nel punto piu' alto del monte. La pioggia, ancora leggera, non ci ha impedito di fare una breve sosta e lasciare la testimonianza del nostro passaggio in quel posto, con una dedica immortalata nel libro degli ospiti che giaceva sullo scrittoio allestito ai piedi della croce.

Poi la discesa. E piu' si andava avanti e piu' la pioggia aumentava. E' una fortuna aver avuto in prestito un bellissimo k-way rosso, che nella nebbia risaltava con l'intensita' di una deflagrazione visiva grazie al quale sarebbe stato pressocche' impossibile sfuggire alla vista dei miei compagni. Forse anche forte di cio', ho assunto un passo deciso e mi sono avvalso di una solitudine voluta che mi ha permesso delle riflessioni di cui prima o poi, durante un'esperienza di questo tipo, si desidera di poter fare.

Tutti avevamo pensato di arrivare da qualche parte al chiuso e magari con un ambiente riscaldato, dove poter consumare qualcosa di caldo. Tutti avevamo pensato di sostare all'Osteria Bruciata che avrebbe dovuto trovarsi nei pressi dell'omonimo passo di cui avevamo visto le indicazioni e si trovava a qualche chilometro di distanza dalla croce sul monte Gazzaro, scendendo di qualche centinaio di metri di altitudine. Ad un certo punto, ci siamo trovati in un posto dove si incrociavano diversi sentieri. E su un lato si trovava una sorta di cippo dove, prestando un tantino di attenzione, si leggeva l'indicazione che quello era il passo dell'Osteria Bruciata. Puo' essere considerata una nuova sorpresa di questo viaggio il momento in cui, girandoci tutt'intorno, abbiamo realizzato che un'osteria nei pressi di quel posto non poteva esserci.

Solo dopo, documentandomi, ho scoperto che riguardo quel luogo si tramanda una macabra leggenda. Nei dintorni, in realta', esisteva un locanda che era un punto tanto sospirato - e non faccio difficolta' a crederlo, visto con quanta ansia noi stessi aspettavamo di raggiungerlo - dai viandanti che attraversavano il valico per spostarsi tra la valle del Santerno e la valle del Sieve. Spesso capitava che oltre al ricercato ristoro e al letto caldo per riposare, nella notte gli ospiti venivano trucidati e le loro carni venivano usate per preparare le pietanze per gli ospiti del giorno dopo. Il locale a seguito di queste dicerie sarebbe stato preso di mira e dato alle fiamme. Il passo nei pressi del quale si trovava la locanda assunse il nome che oggi porta ovvero passo dell'Osteria Bruciata.

Riprendiamo sotto la pioggia lungo sentieri gia' difficili di per se', ma resi assolutamente pericolosi dal fondo ricoperto da un sottile strato di argilla che, unito all'acqua, ha preso la sembianza funzionale di una pista da hockey. Diversi scivoloni quindi, alcuni dei quali ci hanno fatto prendere anche dei bei spaventi, ma fortunatamente nulla di grave da complicare ulteriormente la nostra giornata.

Proseguendo ancora verso valle, il fondo del terreno e' cominciato a cambiare, diventando ghiaioso. Tuttavia, le abbondanti precipitazioni stavano per alimentare sempre piu' i ruscelli d'acqua che si costituivano dentro il sentiero che stavamo percorrendo. Al punto che il nostro cammino e' diventato sempre piu' problematico, e soventemente ci siamo trovati ad affondare i nostri piedi nell'acqua che scendeva con noi giu' dal monte. Ma oramai forse non sentivamo nemmeno questo. Era piu' forte il desiderio di arrivare e dare una fine a quella giornata che nessuno si era mai augurato. O forse era piu' forte il timore di chi mai ci avrebbe potuti accogliere, malconci com'eravamo.

Ancora piu' giu' e il cielo comincia a schiarirsi dal grigio intenso dei nuvoloni che fino ad allora ci avevano fatto compagnia. E si intravede la vallata dipinta di una varieta' di tonalita' di verde che non era lo stesso di quello del versante emiliano. Un verde intenso, accesso anche nelle tonalita' piu' scure, in contrasto con il grigio perla dei nuvoloni bassi che oramai avevano smesso di generare precipitazioni. E davanti ai nostri piedi il percorso scosceso si era trasformato in una stradina di campagna ricoperta di ghiaia e pietrisco che ben aveva drenato l'acqua delle forti piogge cadute e quella venuta giu' dal monte.

Per noi e' stato un sospiro la fine della pioggia. Lo spiraglio in mezzo alla foschia e la conseguente magnifica vista della vallata e' stata poi un'infusione di una buona dose di serenita' che ci ha permesso di concludere il nostro cammino nel migliore dei modi. Intanto, pero', la strada pianeggiante da fare per arrivare a San Piero a Sieve non era poca. Un po' di malinconia causata dall'ora e dal giorno in cui attraversavamo quei posti, costeggiati da sporadici casali caldi e accoglienti all'interno dei quali, pensavamo noi, le belle famiglie di quei luoghi erano riunite per il pranzo domenicale. Magari succulenti primi conditi con sughi della pregiata carne di manzo che sta alla base della cucina della valle del Sieve, magari gustose bistecche alla fiorentina che sono anche tipiche di questa zona.

Dopo aver attraversato una strada lunga, asfaltata e avvinghiata da alti ippocastani, ci addentriamo a San Piero a Sieve, attravesando prima un ponte pedonale e ciclabile futuristico (in legno e metallo) che ci permette di attraversare il fiume Sieve e di entrare di fatto nel centro abitato. Arrivati in centro, ci accorgiamo della estrema disponibilita' dei cittadini. Ci indicano alcuni posti dove risistemarci e trascorrere la notte, al riparo del freddo che stranamente (nonostante eravamo passati al versante sud dell'Appennino Tosco-Emiliano) si era fatto molto piu' pungente, alimentato da un vento che ce lo faceva avvertire molto piu' intensamente.

Il primo posto che ci soffermiamo a vedere e' stato quello che abbiamo scelto senza indugio. Non tanto per la fretta di ripararci e ritrovarci dopo la lunga e difficile giornata di cammino, quanto per il calore umano che abbiamo trovato in questo posto. Si tratta dell'albergo La Felicina. Un antico albergo che prende il nome dalla donna che all'inizio del secolo scorso aveva istituito questa pensione. Oggi e' gestito dai nipoti, che hanno richiamato con molto gusto la memoria degli anni di attivita' di questo esercizio, lasciandone essenzialmente intatto lo stile. L'arredamento e' sorprendentemente antico e ben tenuto, come anche la struttura. E tutte le pareti sono costellate di quadri e di foto antiche che ritraggono tempi passati e persone che non ci sono piu' come, appunto la signora Felicina e lo zio degli attuali conduttori dell'albergo, prestigioso ciclista di decenni fa.

Con molta umanita', che non aveva nulla di compassionevole, ci e' stato subito dato il lasciapassare per andare a levarci di dosso gli indumenti intrisi di fango e acqua, per farci una lunga doccia calda e per vestirci di qualcosa di asciutto e pulito. Incuranti di quanto sporco avremmo potuto portargli dentro le stanze. Ci e' stato messo a disposizione, poi, il locale che ospita il bruciatore dell'impianto di riscaldamento dell'albergo, per mettere i nostri panni dopo che li avremmo lavati, in modo da essere pronti, asciutti e puliti, il giorno dopo.

Adesso la giornata aveva preso un'altra piega. Eravamo tutti rinfrancati e lo saremo stati ancor di piu' se avessimo avuto qualcosa di piu' appropriato da mettere addosso quando siamo usciti per un giro di ricognizione per il paese. E se avessimo scelto un locale piu' appropriato per cenare. Era il caso di puntare su un tipico locale del luogo, se non altro sarebbe stato qualcosa di piu' attinente al tema di questi quattro giorni insieme.

La sera nella hall dell'albergo, comodamente seduti su delle antiche e comode poltrone, rilassati della luci soffuse delle lampade e allietati dalla musica del pianoforte, cancelliamo anche questi due nei che potevano intaccare una giornata che alla fine porteremo nel cuore perche' ci ha ha fatto assaporare il gusto forte dello stare insieme.

Quarto giorno: San Piero a Sieve - Fiesole

E' incredibile come il nuovo giorno si presenti completamente diverso da quello appena trascorso. Una luce raggiante entra attraverso le fessure delle ante delle antiche finestre in legno della nostra camera d'albergo. Ci mettiamo poco a farci trovare pronti per incamminarci verso la meta finale di questo viaggio. Prima pero' ci facciamo preparare il nostro pranzo a sacco nella bottega sotto l'albergo. Approfittiamo di questo momento di relax per osservare meglio il paesaggio tutto intorno a noi. Poi partiamo alla ricerca di un bar dove fare una ricca colazione che ci permetta di affrontare al meglio questa ultima tappa.

Usciamo dal paese attraversando il ponte sul torrente Carza. Poi lasciamo la strada principale per intraprenderne una secondaria che sale su per il colle. Alla nostra destra ci lasciamo la Fortezza di San Martino, in lontananza sulla collina. Mentre alle nostre spalle si delinea sempre meglio la bellissima vista sulla valle del Sieve. In realta', il percorso prevedeva il passaggio per la Fortezza di San Martino. Noi tuttavia abbiamo deciso deliberatamente di evitare un tratto seppure piu' affascinante, ma troppo rischioso da affrontare e per le forti piogge del giorno precedente e per il poco tempo ancora a nostra disposizione.

Presto ci troviamo disorientati a causa della 'scorciatoia' che abbiamo scelto di prendere. Non essendoci i segnali bianco-rossi ad indicarci la direzione da seguire, ogni bivio era una roulette la cui scelta era quasi completamente arbitraria. Il piu' 'arguto' di noi, frettolosamente ribattezzato come l''oracolo', era interpellato per darci un suo parere sulla strada da seguire. La sua scelta determinava la strada che effettivamente seguivamo, ovvero quella che non era stata scelta come strada da seguire dal nostro oracolo.

I sentieri attraversano fitte boscaglie ma non sono molto difficili tranne qualche tratto dove ci sono delle salite ripide, prima di arrivare su un altopiano con davanti a noi una fantastica distesa verde. Come fantastica e' la vista che si perde sulla valle del Sieve. Ci illudiamo di essere arrivati sul monte Senario e che la costruzione di fronte a noi e' il convento. E ci fermiamo per una sosta meritata dopo l'ascesa non semplice che abbiamo affrontato. Tuttavia, la nostra guida ci illumina e realizziamo che siamo nella localita' Tassaia del comune di Borgo San Lorenzo e la costruzione di fronte a noi e' il Monastero di San Bartolomeo, meglio noto come Badia del Buonsollazzo, un complesso religioso abbandonato dai camaldolesi nel 1990, ma che ha una storia millenaria alle spalle. Infatti, l'abbazia venne edificata attorno al XI secolo per volere del marchese Ugo di Toscana. La leggenda narra che in quei posti il marchese si era perduto e aveva fatto il voto di erigere il monastero qualora si fosse salvato. A seguito del buon fine della vicenda, ci fu anche la sua conversione al cattolicesimo.

Proseguiamo su via Tassaia per qualche centinaio di metri prima di immetterci nel sentiero che attraversa il bosco che ci conduce alla Croce di Melago. Giusto il tempo di una foto di gruppo, quindi attraversiamo la barra che apre la strada sulla lunga e dritta salita asfaltata che porta all'Abbazia dei Servi di Maria, in cima al monte Senario.

Tutt'intorno al convento si ergono dei parapetti che delineano il confine della tonda vetta del monte Senario. E da ogni punto si puo' ammirare una pregevole vista di tutto il circondario. Ma ancora piu' interesse suscita l'antico sito religioso in se'. Risale al 1200 e prende il nome dall'ordine dei frati che lo conducono. Difatti, il convento fu costruito da un gruppo di laici che come spesso avveniva nel medioevo si riunirono e fecero la scelta di vivere in penitenza e lontano dalla civilta'. Da tale gruppo di laici ebbe origine l'Ordine dei Servi di Maria, la cui presenza oggi ha toccato tutti e cinque i continenti del globo.

Purtroppo non mi sono prodigato ad entrare dentro il convento, ma quelli del gruppo che sono stati sufficientemente curiosi, hanno visitato l'interno del convento, salendo su per la lunga scalinata che conduce al porticato di ingresso sotto la torre dell'orologio, e l'hanno trovato davvero interessante. Io ho preferito godermi il panorama e gironzolare sulle ampie balconate, scattando foto qua e la'. Finquando non abbiamo deciso che il prato antistante al plesso poteva essere un posto che ben si prestava a ospitare la nostra pausa di meta' tappa. Abbiamo consumato il nostro pranzo a sacco e, soprattutto, ci siamo rilassati al sole piacevole di quella giornata.

Intraprendiamo la discesa dal monte che dapprima risulta abbastanza agevole. Passiamo davanti anche all'ingresso delle tre grotte (la Grotta di San Filippo Benizi, la Grotta di Sant'Alessio Falconieri e la Grotta di San Manetto) per merito di cui questo posto e' anche riconosciuto. Poi la discesa si fa piu' ripida e i sentieri meno curati. Tra le erbacce che li invadono, il fondo sconnesso e i vari bivi privi di segnaletica, corriamo piu' volte il rischio di sbagliare. Ma alla fine sentiamo il rumore delle macchine che transitano sulla Strada Regionale Faentina. Siamo a Vetta le Croci. Ci fermiamo in un bar per un caffe' e casualmente assistiamo al lancio dello Shuttle in diretta TV. Poi riprendiamo.

L'asfalto e' noioso. E in prossimita' della localita' Olmo decidiamo di intraprendere il sentiero del CAI che passa per la cima del monte Pratone piuttosto che continuare sulla Strada Regionale Faentina. Attraversiamo ampi sentieri prima di immetterci in un percorso avvolto dalla verde, fitta e rigogliosa radura che ci porta - non senza uno sforzo considerevole - sull'ampio spiazzo in cima al monte Pratone. Il panorama che si puo' godere qua sopra merita tanto. Davanti a noi, guardando verso Sud-Ovest c'e' Fiesole, e Firenze subito dietro. In mezzo al prato sulla vetta del monte Pratone (forse proprio da questa particolare conformazione della vetta che gli e' stato attribuito il nome) c'e' un cippo in pietra in memoria dello scrittore Bruno Cicognani che riporta la seguente frase tratta da una delle sue principali opere (Il figurinaio):

..e in questa cerchia che e' proprio il tuo cuore, o Toscana, le cose piu' care e piu' belle del mondo, del mio mondo; i luoghi ch'io conosco ad uno ad uno, la mia fanciullezza, la mia giovinezza, i miei sogni, i miei canti, l'amor disperato di liberta' randagia che voi soltanto siete riusciti, incantando, a quietare.
O come chiaro e' a voi questo fanciullo antico, non stanco; o come e' chiara ogni vostra voce: la stessa della prima volta e che si rinnova ad ogni primavera!..

Non siamo sicuri di aver imboccato il sentiero giusto per la discesa. La nostra impressione e' che siamo scesi sulla strada asfaltata che abbiamo lasciato per salire sul poggio qualche ora prima, ma giusto qualche chilometro piu' avanti, a dispetto di tutti i chilometri e gli sforzi che abbiamo fatto per andar su e e poi venir giu'. Rabbia, poi, per gli otto chilometri di asfalto cha ancor abbiamo dovuto percorrere prima di arrivare a Fiesole. Forse pero' non abbiamo sbagliato. Chi lo sa? Un senso di frustrazione latente che c'e' rimasto a lungo fin quando l'autobus arancione dell'ATAF non ci ha portati fino a Firenze, per un fugace saluto al duomo prima congedarci definitivamente dalla Via degli Dei.

Reportage del Cammino di Santiago

mercoledì 24 agosto 2011

Raccontare un'esperienza come il Cammino di Santiago e' possibile (*), ma trasmettere le emozioni che si possono provare percorrendolo, e' una cosa ardua.

Una delle belle cose che mi e' capitata durante il mio Camino e' stata di imbattermi in una troupe della TV di stato che stava girando un servizio su questo fenomeno di dimensioni mondiali. Attraverso l'email che riporto di seguito integralmente, ci e' stato comunicato della messa in onda del reportage intitolato Il Cammino di Santiago, scritto e diretto da Fabio Tricarico .

Cari pellegrini,

vi informiamo che il reportage sul Camino andra' in onda lunedi' mattina intorno alle 10 su Rai1 all'interno di UnoMattina Estate.

Vi alleghiamo anche il link della diretta Rai in streaming, casomai non poteste guardare la tv.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/diretta.html#cid=PublishingBlock-64203784-70f7-4b53-9d21-b14693850195

Vi ringraziamo per aver condiviso con noi le vostre esperienze, e aver arricchito con le vostre parole il nostro lavoro.

Qualsiasi commento sara' bene accetto.

Un saluto.

Fabio Tricarico
Giada Forte

Da allora, ho caricato il video sul mio canale di YouTube e mi e' capitato di vederlo diverse volte. Ma non ho mai sentito che lo stavo facendo per rivivere le stesse emozioni che ho provato quando ho percorso il Camino. E sono sempre piu' convinto di non averne bisogno, visto che le emozioni che ho provato le porto dentro al cuore come se le avessi vissute un secondo prima. Piuttosto, mi piacerebbe trasmetterle perche' la mia esperienza crei condivisione, dando luce a nuove e altrettanto fantastiche simili esperienze. Ma questo non e' facile, come ho gia' detto.

Nel reportage della RAI invece ho potuto cogliere, in modo del tutto oggettivo, una splendida testimonianza dei molteplici aspetti del Cammino di Santiago. Ed e' per questo che lo ripropongo di seguito.

<<Maria, Madonna della strada, fa ch'io cammini nella speranza, che io salga dalle vette verso di Te con tutta la mia vita, con tutti i miei fratelli. Attirami verso l'alto, strappami all'egoismo e alla comodita'. Fa' di me un pellegrino della montagna.>>.

<<Niente sara' facile, ma niente sara' impossibile. Una freccia gialla, una conchiglia, indicheranno la direzione. Non dimenticate che sarete voi a decidere il vostro cammino!>>.

<<Lasciare una pietra e' come liberarsi di un peso, di un fardello che si porta nella vita. Siamo arrivati alla Croce di Ferro, a duecento chilometri da Santiago. Forse si esprime un desiderio. Forse si chiede aiuto al Signore. Forse si prega e basta. Forse in ogni pietra si nasconde la parte di se' stessi che si vuole lasciare o la parte che si vuole coltivare.>>.

<<Il Cammino - dicono i pellegrini - e' come la vita. Con i suoi pesi, i momenti di riflessione, fede. Qui potrete trovare speranza e pace. Dipende da ognuno di voi!>>.

<<Una volta arrivati qui, capirete che una parte del vostro cammino e' finita. A piedi oltre non si puo' andare. Il vostro spirito, la vostra l'anima, la vostra fede continueranno a camminare dentro di voi.>>.

Ritorno a Barcellona

sabato 30 luglio 2011

A distanza di parecchi anni dalla mia prima visita a Barcellona sono riuscito a convincermi che non sarebbe stata una brutta cosa ritornarci. La gita delle superiori, che ricordo in ogni momento come una di quelle esperienze di spensieratezza e allegria che meglio non si possono associare alla mia adolescenza, infatti, non aveva potuto regalarmi il tipo di emozioni che in un'eta' piu' matura si ricercano. E questo e' stato sufficiente a superare il pregiudizio che se dei giorni devono essere dedicati ad un viaggio, questo deve essere necessariamente una novita' in tutto e per tutto.

D'altronde, di Barcellona ben poco avevo visto. Placa de Catalunya, la Rambla, il Monument a Colom (Statua di Colombo) e il Camp Nou non sono che una parte infinitesima di quanto la citta' offre ad un visitatore. In gita, d'altronde, tutto era nei nostri pensieri tranne che assaporare una citta' nei suoi particolari e nelle sue sfaccettature che ti accrescono dentro e ti fanno estrapolare le differenze sostanziali con il posto dove in quel momento vivi. Ma non rimpiango nulla di quello che in quel momento non ho sentito di fare.

A Barcellona ci sono arrivato nel giorno di Sant Jordi (San Giorgio), santo patrono della Catalunya. E me ne sono accorto perche' ho chiesto al nostro tassista del perche' un numero sconsiderato di persone avevano un libro in mano, una rosa rossa o una spiga di grano. Mi e' stato quindi spiegato che quel giorno ricorre il Dia del Llibre ('Giornata del Libro'). Gli uomini regalano una rossa alle donne e, viceversa, le donne regalano un libro agli uomini. Inoltre, ci si scambia una spiga di grano, che e' simbolo di fertilita'.

Il Dia del Llibre lo si e' fatto cadere nel giorno di Sant Jordi. Il giorno in cui ci siamo trovati la' per di piu' coincideva con il sabato santo ed ecco che Barcellona era un'inimmaginabile pullare di vita e di colori (Sabato santo ma anche… Sant Jordi!).

Arriviamo al nostro albergo a ridosso della Sagrada Familia. Giusto il tempo di sistemarci in breve nella nostra stanza che, dotati di cartine e guide, ci catapultiamo in un battibaleno per le strade della citta'.

Davanti a noi si ergevano le guglie della Sagrada Familia. E' il primo dei segni lasciati da Antoni Gaudi' in questa citta'. Ma e' riduttivo parlare di segni perche' a lui oggi si deve gran parte del fascino di Barcellona. Partire dal Temple Expiatori de la Sagrada Familia (Tempio d'Espiazione della Sacra Famiglia) - questo e' il nome completo di questa cattedrale - equivale ad una partenza a ritroso nella degustazione della vita di questo genio dell'architettura. Quest'opera di colossali dimensioni, iniziata da piu' di cento anni, quando era ancora in vita, e tuttora in costruzione, e' infatti il modo in cui Gaudi' ha voluto coronare la sua esistenza concepita come una missione sacra.

Delle due facciate attualmente completate, la facciata della Nativita' e' sicuramente quella che lascia incantato chiunque si trovi di fronte. E suscita una curiosita' che spinge ad addentrarsi e capire il senso di ciascuna delle rappresentazioni riportate. Noi ci siamo semplificati la vita facendo lavorare un po' meno i nostri sensi e leggendo la nostra Lonely Planet che mai come in questi casi permette di riporre l'attenzione su dettagli che difficilmente possono altrimenti essere colti.

Girando attorno al santuario in senso antiorario scorriamo l'abside e arriviamo alla facciata della Passione. La suggestione si trasforma in qualcosa di molto piu' leggero. L'armonia delle curve tanto care a Gaudi' e che in parte da lui stesso presero forma, lasciano spazio alle forme piu' spigolose delle opere disegnate dallo scultore Josep Subirachs.

Continuando il nostro giro attorno al monumento scorgiamo le impalcature che celano quella che sara' la facciata principale della Sagrada Familia ovvero la facciata della Gloria. Le quattro guglie di questa facciata si aggiungeranno alle otto delle altre due facciate per rappresentare i dodici apostoli. La meticolosita' e il completo cimentarsi di Gaudi' in questa opera ha voluto la massima cura anche sull'estremita' delle guglie dove e' stata riposta la dicitura: 'Sanctus, Sanctus, Sanctus, Hosanna in Excelsis, Amen, Alleluia' con la giusticazione che sebbene nessun essere umano sarebbe riuscito a scorgere questi dettagli, gli angeli li avrebbero visti.

Altre quattro guglie si ergeranno sopra il transetto, ciascuna rappresentante i quattro evangelisti, attorno alla torre centrale che sara' altra una volta e mezza le guglie che ornano le facciate, e rappresentera' la Vergine Maria.

Secondo la nostra errata comprensione, alle 22 e 30 sarebbe iniziato uno spettacolo molto suggestivo con coreografie d'acqua, luci e musica, alla Font Magica, ai piedi della collina del Montjuic.

E' stata una gran delusione quando, arrivati in Placa d'Espanya, ci siamo resi conto che tutto era invece gia' finito. In effetti, l'orario letto sulla nostra guida a cui abbiamo fatto riferimento era l'orario estivo. E in un attimo di particolare eccitazione ci siamo quasi convinti che fosse estate. Ci siamo comunque incamminati fino in fondo all'Avinguda de la Reina Maria Cristina, dove si trova la Font Magica, ed e' stato emozionante solo pensare che qui l'8 ottobre del 1997 c'e' stata l'ultima e memorabile esibizione pubblica di Freddie Mercury in coppia con il soprano barcellonese Monserrat Caballe' (La magia e' nell'aria). Non ci siamo quindi tirati indietro dallo scalare la collina che sovrasta la zona e lascia cadere lo sguardo su un magnifico panorama notturno della citta'.

In tarda serata rientriamo nella nostra zona. Per festeggiare il primo giorno di questa gita spagnola, non potevamo che ricorrere su una ricca paella di pesce.

Il nostro primo mattino a Barcellona inizia con una ricca colazione in un locale vicino all'albergo. E' un momento bellissimo di una vacanza e ce lo godiamo tutto. Anche se quello che ci aspetta e' molto eccitante. Con calma ci incamminiamo verso il barri ('quartiere') dell'Eixample. Lungo Passeig de Gracia si incontrano le massime espressioni dell'architettura modernista.

La prima opera architettonica che scorriamo e che ci fermiamo ad ammirare e' Casa Mila', meglio nota come La Pedrera. E' un capolavoro di Gaudi' commissionato da Pere Mila'. L'inequivocabile stile di Gaudi' si coglie a primo acchito dalle sinuose curve avvolte da un fine rivestimento in pietra. Quel che piu' sorprende oggi e' sapere che un tempo in molti non concordavano con i contorni ondulati che dal genio di Gaudi' presero forma, sia all'esterno dell'abitazione che al suo interno. Un aneddoto che la dice tutta su queste avversita', vede protagonista un'inquilina che lamentava che a causa delle curve trovava difficolta' a posizionare il suo pianoforte. Si narra che a tale provocazione il maestro rispose invitando la signora a imparare a suonare il flauto.

Continuando su Passeig de Gracia, sull'altro lato della strada, costeggiamo Casa Batllo', altra celeberrima abitazione generata dall'inventiva di Gaudi'. Anche qui davanti una fila impressionante di persone in attesa di entrare dentro questo monumento all'architettura modernista. Il tocco di colore dato dai frammenti di ceramica variopinti e' sicuramente uno dei fattori che a molti la fa preferire rispetto a La Pedrera.

Prima di giungere in Placa de Catalunya, gironzoliamo ancora nei paraggi per ammirare un'altra opera di Gaudi'. Si tratta di Casa Calvet. Un po' abbandonata a se' stessa, senza le grandi folle delle opere prominenti dell''Architetto di Dio' (cosi' ha fatto riferimento il rettore della Sagrada Familia, Lluis Bonet Armengol, a Gaudi' nella campagna per la sua beatificazione), ma comunque un altro notevole esempio di raffinato stile architettonico.

Placa de Catalunya per noi rappresenta una piacevole pausa. Qui ammiriamo gli immancabili artisti di strada, che animano ogni angolo di questa piazza come tanti altri punti della citta', e sono realmente in gamba e capaci di trascinare folle considerevoli.

Dopo un pranzo veloce, che comunque ha inciso sul tempo di risposta dei nostri riflessi al punto da costringerci a ripiegare su un prato giusto per il tempo di ricaricarsi, ci addentriamo nel Barri Gotic. Visto che la cattedrale era chiusa, attraversiamo rapidamente Avinguda de la Catedral dopo averne ammirato velocemente la facciata (che tra l'altro era in ristrutturazione), per spingerci verso il Museu d'Historia de la Ciutat.

Le origini di Barcellona risalgono all'epoca dell'impero romano. Non vi e' modo piu' suggestivo per convincersi delle origini romane, che non visitando questo museo sotterraneo dove e' mantenuta intatta una parte di Barcino (il nome di 'Barcellona romana') nella sua struttura urbanistica, e in un ragguardevole numero di dettagli che danno molte opportunita' di farsi un'idea sull'organizzazione delle attivita' commerciali e della vita sociale agli arbori di Barcellona.

Uscendo dal percorso sotterraneo, sempre da dentro il museo prima di affacciarsi su Placa de Rei, sulla sinistra, si accede alla Capella Reial de Santa Agata, un bellissimo esempio di stile gotico. La chiesa e' la cappella del Palau Reial Major che e' parte del Museu d'Historia de la Ciutat. L'ho trovata molto sensazionale per l'interno completamente spoglio e perfettamente tenuto, per l'incantevole techumbre, per i magnifici mosaici in vetro colorato e, non ultimo, per l'altare in legno realizzato da Jaume Huguet, intatto a centinaia di anni di distanza dalla sua realizzazione.

All'uscita, scendendo dalla scala a ventaglio che da' sulla piazza, c'erano ad aspettarmi i miei amici che quasi avevano perso la speranza di ritrovarmi. Proseguiamo un po' alla cieca per le vie di Barcellona vecchia fino a quando arriviamo sulla Via Laietana. Qui vediamo i cartelli che indicano la direzione per il Museu Picasso. Un'occasione unica che nessuno si vuole perdere.

Attraversiamo il viale e entriamo cosi' ufficialmente nel barri La Ribera. Ci districhiamo per ii vicoletti seguendo le molte persone che presumibilmente sono dirette al Museu Picasso fino a quando scorgiamo una fila immane di gente che avanza lentamente per entrare nella pinacoteca. Un po' contrariati si', ma nessuno ha messo in dubbio la visita interna del museo. E nessuno se ne e' pentito di quello che ha visto. Io per primo.

Le esposizioni permanenti mostrano per la quasi totalita' dipinti della sua gioventu'. Ritratto di zia Pepa e Scienza e carita' sono sicuramente tra quelli che rimangono piu' impressi. La piena maturita' cubista di Picasso e' invece ammirabile attraverso l'interpretazione di dipinti dei pittori a cui e' dovuto il suo amore per l'arte, primo fra tutti Velasquez. A lungo mi sono fermato nelle stanze 13 e 14 ad ammirare gli schizzi, le bozze e le varie versioni de Las Meninas.

Siamo stati tutti rinfrancati da questa visita. E in un certo, senso piu' sereni. Visto che il Museu Picasso e' uno dei posti di Barcellona piu' gettonati dai turisti, e che, a causa della giornata particolare, abbiamo sicuramente rischiato di non poterlo visitare. Ma con un po' di audacia e un po' di fortuna siamo riusciti a centrare un bel colpo!

Prosegue il nostro giro per La Ribera. Sbuchiamo quasi inconsapevolmente su Passeig del Born su cui si affaccia l'abside della Esglesia de Santa Maria del Mar. Non so perche', ma qualcosa mi ha trascinato fin qua. Sentivo ripetersi di continuo dentro di me il nome di questa chiesa. E l'averla trovata mi ha dato un'ulteriore serenita'. E con quella serenita' sono entrato dentro ed ho potuto ammirare lo splendore di questo gioiello dagli archi gotici piu' schiacciati rispetto al tradizionale slancio che hanno gli archi che si rifanno a questo stile.

Facilmente ci immettiamo su Passaig de Colom, la strada che costeggia il mare fino ad arrivare al Monument a Colom. La vista del mare e la dolce brezza marina del tardo pomeriggio non ci aiutano a trattenerci dallo spingerci piu' in la' e fare quattro passi sul molo. E poi a sederci su una panchina a cercar di fermare una giornata che fluisce via, destinata ai nostri bei ricordi.

Risaliamo la Rambla in un pullulare di vita che dice tanto su quanto sia mentalmente aperta questa citta'. Passando davanti a Casa Cuadros dai Barcellonesi anche chiamata Casa dels Paraigues (Casa degli ombrelli), fino a giungere alla Font de Canaletes per un lungo sorso di acqua che ci dovrebbe garantire un sicuro ritorno a Barcellona.

Per la cena preferiamo ancora una volta avvicinarci nella zona dell'hotel, nel barri Gracia. Non sappiamo che piega prendera' la serata, ma non vogliamo avere vincoli per tornare nella nostra dimora e un localino su Avinguda Gaudi' ci sembra un posto appropriato per trascorre la nostra serata con questi presupposti.

In vacanza la colazione merita ampio spazio. Si parla di ore per la colazione di questa nuova giornata. Ma tutti d'accordo anche su questo rituale. Poi si parte, a piedi, risalendo la collina fino ad arrivare al Parc Guell. E' inutile dire che lo zampino di Gaudi' lo noterebbe anche un cieco, ma come tutto cio' che dal genio di quest'uomo abbiamo visto finora, anche il Parc Guell e' avvolto in un'armonia di curve e di mosaici di mattonelle colorate accostate tra loro con un gusto che in tal senso non ha paragoni.

Ci affacciamo alla balconata del lastrico contorniata di sedili rivestiti di frammenti di laterizio per ammirare le sottostanti costruzioni che hanno l'aria delle case delle favole che ci raccontavano da bambini. Poi proseguiamo per passare sotto i portici della discesa che ci porta all'ingresso dalla parte della zona popolata della collina. Le foto si sprecano e nessuno si vuole perdere un ricordo abbracciati ai lucertoloni che ornano le scale che portano sotto il selciato da dove poco prima ammiravamo la vista del parco.

La sosta nei pressi della casa-museo e la crescente voglia di sapere un po' di storia di questa struttura, materializzata dalla mia lettura dei contenuti estrapolati della sempre preziosa Lonely Planet, viene funestamente interrotta da un'improvvisa pioggia di sterco di volatile. Ma siamo predisposti ad accettare con superiorita', e tutto si risolve in un nuovo pretesto per ridere di noi e al pensiero che anche per questo la nostra gita sara' indimenticabile.

La discesa dalla collina ai cui fianchi e' incastonato il Parc Guell, ci vede cedere allo stomaco che reclama per la vuotezza. Un anonimo baretto del barri ci ha fatto rinascere a suon di bocadillos e di cerveza. Alla fine della lunga sosta, a dire il vero, eravamo pure un po' brilli e i canti a squarciagola 'intonati' per le vie pressocche' vuote di questa zona della citta', non sono passati inosservati tra la poca gente intorno a noi. Ma non siamo stati molesti e qualcuno ha condiviso la nostra allegria.

Dopo la delusione del Camp Nou, inaccessibile al pubblico (sebbene ci sia capitato di vedere sfilare davanti a noi i due nazionali campioni del mondo Villa e Puyol), ci ributtiamo per le vie della Ciutat Vella (Citta' Vecchia) ovvero la parte antica di Barcellona, che include i barri di Raval, Barri Gotic, Ribera e Barceloneta.

Come suggerito dalla guida, sulla Rambla, provenendo da Placa de Catalunya, a un certo punto ci buttiamo su Carrer de Ferran. Attraversiamo Placa de Sant Jaume, dove si affacciano l'Ajuntament (Municipio) e il Palau de la Generalitat. Non ci soffermiamo piu' di tanto in questa piazza e, non appagati dalla vista esterna del giorno precedente, proseguiamo invece verso la cattedrale, che desideriamo ammirare al suo interno.

Anche questo e' un bell'esempio di stile gotico catalano con notevoli tracce di stile romanico. Lungo le pareti esterne delle navate laterali e' possibile ammirare un certo numero di cappelle, tutte decorate con affreschi e sculture originali. Nella navata centrale invece mi sono soffermato sul coro in legno di quercia minuziosamente scolpito, e decorato con pregevoli finiture in oro. In fondo alla navata centrale c'e' la scalinata che porta sotto l'altare centrale dove c'e' la tomba in alabastro di Santa Eulalia che, insieme a Santa Maria de la Merced, e' il santo patrono di Barcellona.

Dopo la lunga visita nella cattedrale, ci sediamo ai bordi della piazza antistante dove assistiamo ad un affollatissimo spettacolo acrobatico di busker brasiliani, prima di spostarci - come da mio forte desiderio - verso il quartiere del Raval, dal lato opposto della Rambla.

L'intento era quello di prendere qualcosa da bere al Bar Marsella, l'antico locale dove Hemingway usava andare a bere l'assenzio durante la sua permanenza spagnola. La cosa mi eccitava tantissimo. E la mia eccitazione ha perfino contaminato il resto del gruppo. E piu' mi addentravo nello squallore del Raval, piu' diventavo irrequieto dentro. Fino al punto in cui siamo arrivati all'angolo del numero 65 di Carrer de Sant Pau, dove la via si incrocia con Carrer di Sant Ramon, e sono rimasto deluso dalle saracinesche abbassate del locale.

Ancora euforico, non ho rinunciato a scattare qualche foto, sebbene attorno a me una varieta' di gente losca e inaffidabile mi fissava in modo strano, al limite dello sconcerto. Addirittura vengo avvicinato da una giovane puttana di colore che mi domanda - dopo avermi chiesto la fotocamera in regalo, perche' mai stavo scattando delle foto a quel posto sudicio. Rapidamente la lascio con un'espressione che mi e' sembrata la piu' opportuna ad accendere un barlume di curiosita' in essa, nella speranza che un giorno possa crescere fino a trovare una risposta.

Ancora una visita a qualche negozio sulla Rambla, ma e' piu' per ripararsi da una sporadica pioggia che non ci infastidisce ma semmai ci consola facendoci immaginare che non siamo i soli a rimpiangere queste giornate volate vie troppo in fretta.

La cena e' stata una degna conclusione della nostra vacanza. Nel locale turco, dopo una piacevole degustazione di pietanze etniche, siamo riusciti a coinvolgere il giovane proprietario e la mamma in uno scambio culturale italo-turco di danza e di musica. La baldoria si e' protratta anche fuori, quasi come inconscia opposizione a qualunque cosa da li' a breve ci avrebbe divisi.

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