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Reportage del Cammino di Santiago

mercoledì 24 agosto 2011

Raccontare un'esperienza come il Cammino di Santiago e' possibile (*), ma trasmettere le emozioni che si possono provare percorrendolo, e' una cosa ardua.

Una delle belle cose che mi e' capitata durante il mio Camino e' stata di imbattermi in una troupe della TV di stato che stava girando un servizio su questo fenomeno di dimensioni mondiali. Attraverso l'email che riporto di seguito integralmente, ci e' stato comunicato della messa in onda del reportage intitolato Il Cammino di Santiago, scritto e diretto da Fabio Tricarico .

Cari pellegrini,

vi informiamo che il reportage sul Camino andra' in onda lunedi' mattina intorno alle 10 su Rai1 all'interno di UnoMattina Estate.

Vi alleghiamo anche il link della diretta Rai in streaming, casomai non poteste guardare la tv.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/diretta.html#cid=PublishingBlock-64203784-70f7-4b53-9d21-b14693850195

Vi ringraziamo per aver condiviso con noi le vostre esperienze, e aver arricchito con le vostre parole il nostro lavoro.

Qualsiasi commento sara' bene accetto.

Un saluto.

Fabio Tricarico
Giada Forte

Da allora, ho caricato il video sul mio canale di YouTube e mi e' capitato di vederlo diverse volte. Ma non ho mai sentito che lo stavo facendo per rivivere le stesse emozioni che ho provato quando ho percorso il Camino. E sono sempre piu' convinto di non averne bisogno, visto che le emozioni che ho provato le porto dentro al cuore come se le avessi vissute un secondo prima. Piuttosto, mi piacerebbe trasmetterle perche' la mia esperienza crei condivisione, dando luce a nuove e altrettanto fantastiche simili esperienze. Ma questo non e' facile, come ho gia' detto.

Nel reportage della RAI invece ho potuto cogliere, in modo del tutto oggettivo, una splendida testimonianza dei molteplici aspetti del Cammino di Santiago. Ed e' per questo che lo ripropongo di seguito.

<<Maria, Madonna della strada, fa ch'io cammini nella speranza, che io salga dalle vette verso di Te con tutta la mia vita, con tutti i miei fratelli. Attirami verso l'alto, strappami all'egoismo e alla comodita'. Fa' di me un pellegrino della montagna.>>.

<<Niente sara' facile, ma niente sara' impossibile. Una freccia gialla, una conchiglia, indicheranno la direzione. Non dimenticate che sarete voi a decidere il vostro cammino!>>.

<<Lasciare una pietra e' come liberarsi di un peso, di un fardello che si porta nella vita. Siamo arrivati alla Croce di Ferro, a duecento chilometri da Santiago. Forse si esprime un desiderio. Forse si chiede aiuto al Signore. Forse si prega e basta. Forse in ogni pietra si nasconde la parte di se' stessi che si vuole lasciare o la parte che si vuole coltivare.>>.

<<Il Cammino - dicono i pellegrini - e' come la vita. Con i suoi pesi, i momenti di riflessione, fede. Qui potrete trovare speranza e pace. Dipende da ognuno di voi!>>.

<<Una volta arrivati qui, capirete che una parte del vostro cammino e' finita. A piedi oltre non si puo' andare. Il vostro spirito, la vostra l'anima, la vostra fede continueranno a camminare dentro di voi.>>.

Da Leon a Santiago (Parte I)

giovedì 07 ottobre 2010

Cosa sia stato a indurmi a intraprendere la via di Santiago non lo so. So che e' affiorato in me qualcosa che subito e' diventato pressante e incessante. E presto mi ha fatto capire che quello che era un pensiero che prima o poi avrei dovuto materializzare nella mia vita, era giunto al punto di avere una connotazione fisica.

Mai niente mi era venuto piu' facile da pianificare, e mai tanto entusiasmo mi aveva catturato al pensiero di come sarebbero potuti essere i giorni di una lunga estate che normalmente dedico a rilassarmi, a rincontrare gente e intrecciare appaganti rapporti con nuove conoscenze. E che questa volta avevo, invece, deciso di trascorrere in un modo singolare, solcando la rotta che da secoli i pellegrini seguono per una causa o un obiettivo che mi toccava scoprire giorno dopo giorno sul sentiero tra Leon e Santiago de Compostela ('Santiago di Campostella').

Gia', il mio spirito non mi aveva mai dato spiegazione del perche' andare in pellegrinaggio a Santiago. Forse per seguire una moda o forse affinche' un desiderio che qualcosa che portavo nel cuore si realizzasse. Forse per il gusto di affrontare una sfida. Forse rappresentava la conquista di un trofeo da esporre a braccia levate al cielo, ogni qual volta ci fosse modo di parlarne. O, piu' semplicemente, la voglia di sacrificio e di riflessione che aprissero nuove porte mai oltrepassate nella mia interiorita' e che mi facessero trovare piu' preparato alle digressioni della quotidianita'.

E' questo che io intendo 'essere pellegrino'. E fa parte della natura umana sentire la necessita' di pellegrinare. Assecondare questo desiderio recondito e' poi solo una questione di casualita' di eventi che ci si trova a vivere. La via del pellegrinaggio e' un aspetto secondario, che non riveste importanza in quello che si sente di intraprendere. Santiago e' solo un compromesso. Una via di mezzo che ti permette di faticare e di avere una appagamento garantito.

Il pellegrino errante - che e' l'accezione piu' inerente al termine 'pellegrino' usato correntemente - rimane ancora, quindi, un pensiero segregato dentro me che continuera' ad affascinarmi e regalarmi desiderio di fuga, e che forse mai si realizzera'.

Leon
Siamo arrivati a Leon con un treno proveniente da Valladolid. Un pomeriggio di caldo estenuante. Prima meta il Monastero delle Benedettine per apporre sulla mia Charta Peregrini ('Credenziale del Pellegrino') il timbro della partenza del mio Camino.

La Credenziale del Pellegrino l'ho richiesta prima di partire sul sito della Confraternita di San Jacopo di Campostella, facendo riferimento al priore (nel mio caso si trattava di una dolcissima consorella) piu' vicino al luogo in cui vivo.

Il caldo, il pomeriggio inoltrato e il fascino di Leon ci hanno spinti a rinviare la partenza all'indomani. Intanto, abbiamo dedicato le poche ore del tardo pomeriggio a visitare la citta', ma solo dopo qualche agognata cana.

Il simbolo della citta' e' la Cattedrale di Santa Maria la Regla, l'opera gotica piu' rilevante nella storia della Spagna, che non ci siamo potuti perdere. Il nostro giro per la citta' e' poi continuato fino alla Basilica di San Isidoro, altro monumento religioso di rilievo di Leon.

Data la stanchezza della lunga e calda giornata, e un po' anche per entrare nella dimensione di pellegrini, gia' nel tardo pomeriggio ci siamo appropinquati ad un ristorante per consumare il nostro primo menu del pellegrino. E' frequente trovare locali lungo il Camino che propongono un tale menu. Si tratta di un pasto che consiste di un primo e un secondo piatto, e di un dolce (ciascuno a scelta tra quattro o cinque possibilita'), piu' la bevanda. Il tutto per cifre variabili che si aggirano attorno ai 10 euro.

Erano le venti quando mi sono appena messo dentro il mio sacco-lenzuolo, che sono crollato letteralmente dal sonno, perdendomi cosi' la celebrazione eucaristica vespertina dedicata ai pellegrini che caratterizza questo monastero. I miei compagni di viaggio me l'hanno descritta come un evento pregno di significato in sintonia con quello che si prospettava essere il Camino.

Leon - Hospital de Orbigo (37 chilometri)

Dopo una notte abbastastanza movimentata, tra i rumori piu' variegati che si possono udire in uno stanzone con sessanta persone che dormono tutte insieme, e quelli piu' inaspettati (come la sveglia di un cellulare scattata alle quattro per sbaglio), ci alziamo alle cinque, e c'e' gia' un brusio costante di pellegrini che si mobilita per prepararsi ad una nuova giornata di duro e sacrificante cammino.

Poco dopo, giusto il tempo di bere un caffe' in fretta, presso il distributore automatico presente nel chiostro del monastero, ci troviamo a seguire gli altri pellegrini in direzione di Santiago, senza peraltro sapere quale era la meta che avremmo dovuto raggiungere in giornata. Abbiamo cosi' iniziato a distinguere le fatidiche frecce gialle che indicano la 'giusta direzione' da seguire.

Non siamo nemmeno usciti da Leon, che siamo passati davanti all'ultimo dei tre posti che meritano veramente di essere visitati in questa bellissima citta', ovvero il Monastero di San Marcos. Si tratta di una posada, ovvero una di quelle costruzioni storiche convertite in lussuosi hostal gestiti da privati. Questa politica e' adottata dagli Spagnoli per consentire di conservare il vasto patrimonio culturale che risulta altrimenti poco gestibile dalle istituzioni.

Era ancora buio, ma il personale dell'hostal mi ha fatto entrare nella hall molto gentilmente. Anzi mi ha pure invitato a visitare il chiostro. Ho potuto notare, nonostante il buio, che questa scelta di amministrare i beni culturali si e' rivelata vincente, visto che i monumenti sono aperti al pubblico e allo stesso tempo, sebbene adibiti ad alloggi, preservano comunque bene i tratti artistici e storici che li contraddistinguono.

Il Monastero di San Marcos e' una delle piu' grandi opere del Rinascimento spagnolo.

Riprendo il cammino solitario, seguendo e precedendo di tanto in tanto una cospicua comunita' di pellegrini. E qui che comincano le prime riflessioni. Inizia ad affiorare l'ansia. Quasi come un senso di colpa, la necessita' di accellerare per finire era diventata qualcosa di soffocante e insopportabile. Forse era solo il malessere della vita di tutti i giorni che ancora naturalmente mi portavo dietro.

A Virgen del Camino mi ricongiungo con i miei due compagni, e questo mi ha aiutato a soffocare la mia ansia. Scambiare due chiacchiere anche con i pellegrini che si affiancano temporaneamente mi ha fatto bene a cominciare a capire la causa delle mie fibrillazioni.

Dopo la ragazza belga, mi capita di stare a fianco all'uomo svizzero. E la conversazione naturale con queste persone mi estranea dai miei pensieri e mi fa prendere coscienza di come siamo vincolati nella nostra quotidianita', e di quanta liberta' ti da' un giusto cammino.

Dopo Virgen del Camino, ci sono due possibilita'. O seguire il percorso che costeggia la strada N120 oppure seguire un sentiero che imbocca un percorso che passa per Villar de Mazarife. Il libro Guida al Cammino di Santiago de Compostela (di Alfonso Curatolo e Miriam Giovanzana, editore Terre di Mezzo) suggerisce di seguire il secondo percorso se si preferisce attraversare un paesaggio piu' autentico quale quello del Paramo leonense.

Noi abbiamo seguito il percorso che costeggia la N120, se non altro perche' siamo stati tratti in inganno dalle scarse indicazioni verso il percorso alternativo. Difatti, lungo questa via non c'e' nulla di piacevole, primo fra tutti il continuo rombo dei motori delle macchine che si spostano lungo la carrettera.

Abbiamo sostato per mangiare un panino e un frutto a Villadangos del Paramo e poi abbiamo continuato attraversando San Martin del Camino, un piccolo paese dove c'era una festa e un gruppo folkloristico del posto si stava esibendo ballando al suono delle nacchere e di musiche tipiche.

L'ultimo tratto del cammino, prima di arrivare a Puente y Hospital de Orbigo lascia la carrettera e si immerge nelle campagne per un breve tratto. Poi si entra nel paese. Attendo i miei amici prima del famoso Puente de Orbigo. Si tratta di un ponte, fatto in pietra, a 19 arcate che attraversa il rio Orbigo e che risale all'epoca romana. Al ponte e' legata una leggenda, per cui gli si attribuisce anche il nome di Paso Honroso ('Passaggio d'Onore').

L'amore non corrisposto di una bella dama, spinse un tale cavaliere Don Suero de Quinones - al fine di mostrare alla sua amata quanto egli fosse forte e coraggioso - a lanciare una sfida in cui si proponeva di impedire per un mese intero a chiunque di attraversare il ponte sull'Orbigo. Nessuno riusci' ad attraversare il ponte. Il cavaliere si reco' a Santiago in segno di gratitudine e fece dono di un collare d'oro che ancora oggi adorna il busto della statua di San Giacomo.

Ci dirigiamo cosi' verso l'albergue parrocchiale gestito da una confraternita tedesca, dove non ci sono problemi di posti e veniamo accettati. L'albergue presenta una corticella per accogliere i pellegrini. Ci viene servita subito dell'acqua per ristorarci. Un gesto che ci ha rincuorato tanto. Poi passiamo alla corte attigua. Piu' grande, su cui si affacciano le stanze dove pernottano i pellegrini.

Prima di tutto, una lunga e salutare doccia. Poi il bucato. Quindi un po' di riposo, una sigaretta nel soleggiato cortile su cui si affacciano i dormitori oppure un po' di public relation attorno al tavolo della hall. O magari qualche minuto dedicato alle letture delle guide per contemplare sui posti che sono stati attraversati durante la tappa appena portata a termine, o sui posti e sulla meta della tappa che aspetta all'indomani.

E' pomeriggio inoltrato. Veniamo invitati a seguire la Santa Messa in italiano in una chiesetta la' vicino. L'emozione forte della mia 'impresa' appena compiuta, mi ha guidato nel luogo religioso quasi come un esigenza inconscia di attribuire un senso a quello che stavo attraversando. E realmente qui ho cominciato a capire che la mia scelta - di percorrere il Cammino - non era stata banale, perche' era dettata dalla voglia di seguire una direzione precisa nella mia vita. E allo stesso tempo di lasciare una traccia che le persone a me vicine, potessero seguire.

Giunge cosi' il momento piu' rilassante della giornata. L'ora della cena del pellegrino, un momento che e', oltre che piacere per lo stomaco, anche di gran relax e socializzazione con gli altri pellegrini. Si ha tempo per raccontarsi le proprie esperienze e le proprie sensazioni. Ma anche semplicemente di conoscersi.

Hospital de Orbigo - Rabanal del Camino (38 chilometri)

Nemmeno una macchinetta del caffe' nell'albergue. Ne' tantomeno avevo comprato un po' di colazione in qualche bodega il giorno prima. Allora solo tanta acqua fresca e sono partito per una nuova tappa. Anche questa senza una meta precisa. Un po' perche' ancora non avevamo calibrato bene le nostre capacita'. Ma anche, per quello che riguardava me, per via dei dolori sotto la pianta del piede sinistro che cominciavano ad acutizzarsi.

I tanti chilometri del giorno prima, peraltro ad un passo relativamente sostenuto e usando i sandali che dovevano essere usati per i tragitti agevoli, stavano per dare i loro segni di vendetta. Ma anche questo fa parte dell'esperienza che si deve fare lungo il Camino. Come nella vita. Trovare il giusto passo e imparare a dosare le energie per i momenti che servono.

Era ancora buio e dopo poche centinaia di metri ci troviamo davanti ad un bivio dove sostava un gruppo di pellegrini spagnoli in attesa di qualcuno che decidesse anche per loro. Il percorso a sinistra seguiva la carrettera, quello di destra si buttava su un sentiero buio di campagna.

Memori dell'esperienza del giorno prima, abbiamo scelto quest'ultimo, incuranti di cosa ci poteva attendere. Nessun segnale per centinaia di metri. Nessuna abitazione. Nessuna persona. Solo campi a destra e a sinistra. E anche la minaccia della pioggia.

Arriviamo, dopo un'oretta di cammino, a Villares de Orbigo. Ricominciamo a vedere le frecce gialle e ci sentiamo piu' tranquilli.

Al prossimo villaggio ci fermiamo per la colazione, in un baretto d'altri tempi, con un barista d'altri tempi. Forse perdiamo troppo tempo, o meglio, perdiamo il ritmo. Quello che serve per non perdere di vista l'obiettivo.

Riprendiamo il nostro cammino. Scaliamo la collina, mentre l'alba prende piede. Lungo la via, ci soffermiamo ad osservare le stalle e i recinti con animali. A coccolare splendidi cani di ragguardevoli dimensioni che girano per la campagna e che chiedono l'attenzione dei passanti. Poi i paesaggi stupendi, resi tali ancor di piu' dai colori rosei di un nuovo giorno che stava per nascere.

Ad attendere i pellegrini, lungo la via, anche un curioso oriundo che poltriva su un vecchio divano dentro una stalla diroccata. Fuori dalla stalla, un carretto con delle bevande e della frutta raccolta la' intorno. Una cassetta per le offerte, un diario dove lasciare un pensiero e un simpatico timbro a forma di cuore rosso con una curiosa scritta 'La Casa de los Dioses', che non abbiamo potuto fare a meno di apporre sulla nostra Credenziale.

Arriviamo cosi' sulla cima della collina, il Crucerio de Santo Toribio, luogo in cui il vescovo Toribio si inginocchio' per un ultimo saluto ad Astorga. Ci fermiamo ancora per fare pipi' dietro un cespuglio e cambiare calzini e scarpe. Ritorno cosi' ai miei sandali. Ma penso di aver fatto uno sbaglio clamoroso.

Attraversato San Justo de la Vega, arriviamo dopo qualche chilometro ad Astorga. Entriamo nella cittadina e notiamo subito i segni dell'importanza che ricopri' questo centro nei tempi passati. Dopo aver attraversato la piazza dove si trova l'ayuntamiento ('municipio'), arriviamo in Plaza de Eduardo de Castro, famosa perche' su di essa si affaccia il Palacio Episcopal, che ospita il Museo de los caminos ('Museo dei Cammini') ma ancor di piu' per essere un'opera di Antoni Gaudi'.

Sulla piazza attigua, invece, si affaccia un altro monumento importante per Astorga ovvero la Cattedrale di Santa Maria, bellissimo esempio di architettura gotica e barocca, che purtroppo non abbiamo potuto visitare, perche' chiusa al pubblico all'ora in cui ci siamo trovati a passarvi davanti.

Ci fermiamo cosi' ancora qualche piazza piu' in la'. Per consumare il nostro solito pranzo e riprenderci un po' dalla stanchezza e dal gran caldo. Rimetto le scarpe da escursione, con la suola piu' grossa. E questo e' un segno della sofferenza che cresce. Un bel po' di pellegrini ci passano davanti. Anche le conoscenze coreane del giorno prima. E sembrano pure abbastanza fresche di forze.

Sotto i raggi del sole perpendicolari al suolo, ci incamminiamo lungo la carrettera, ancora senza sapere la nostra destinazione precisa. Mi fermo al prossimo paese, Murias de Rechivaldo. Cerco un posto dove bere qualcosa di dolce, che mi dia energia. Mi cambio ancora una volta i calzini, per paura delle ampollas ('vesciche').

Proseguo per il prossimo paese, Santa Catalina de Somoza. Attendo gli altri. C'e' da prendere una decisione importante. Fermarsi o proseguire fino a Rabanal del Camino. In mezzo ci sono solo centri semiabbandonati e senza alcuna possibilita' di trovare un posto per dormire. Ma a me il posto dove ci troviamo non piace proprio. Eppure non ho tanta forza per andare avanti. Quindi insisto per proseguire.

Mi fermo ancora a El Ganso per l'ennesimo cambio di calzini. Dopo ci sarebbe solo da tirar dritti fino alla meta. Senza piu' fermarsi, ed evitare cosi' il rischio di non ripartire. La tensione e l'ansia riaffiorano. E' pomeriggio inoltrato e noi ancora abbiamo della strada da fare.

Lungo il sentiero in lieve salita, si comincia a notare il cambio di vegetazione che, sebbene non molto rigoglioso, tende a diventare una radura tipica di montagna. Boschi di abeti e felci. E poi un vento costante, forte e contrario. Che solleva la polvere argillosa seccata dai raggi del sole, e ce la sbatte in faccia.

Giungiamo all'ultimo tratto. Un percorso molto aspro e in pendenza nel sottobosco. Quindi arriviamo a Rabanal del Camino, quando sono quasi le sei del pomeriggio. Ma c'e' ancora da fare la lunga e ripida salita sulla strada in pietra che attraversa il paese e ci porta al Refugio Gaucelmo, gestito da una confraternita britannica (The Confraternity of Saint James).

Sono sfinito. Perdo di vista i miei due compagni e rimango a recuperare fiato davanti alla chiesetta. Poi qualcuno esce sulla strada e mi fa segno di entrare. Nonostante siano le sei circa, troviamo posto nell'albergue. In realta', un posto ce lo recuperano le simpaticissime consorelle, facendomi dormire su un materasso a terra, in una stanza che normalmente e' adibita a biblioteca.

Ma io sono contento. La mia stanza e' singola (per l'unica volta in tutto il Camino) ed e' inoltre un passaggio obbligato per la consorella della stanza a fianco.. E poi, c'e' lo stereo con dell'ottima musica. Da Morrissey a Simon & Garfunkel. Riesco cosi' a pensare meno ai dolori di chilometri e chilometri che abbiamo macinato e che sono stati resi molto pesanti dalle numerose soste e dal gran caldo.

In serata, i nostri amici italiani (con cui abbiamo socializzato e proseguito insieme fino alla fine) hanno preparato un pentolone di pasta per una ventina di persone. Abbiamo cenato nel gazebo nel giardino dell'albergue. In un clima di spensieratezza ed autenticita' che d'ora in poi avrebbe caratterizzato le nostre serate fino a Santiago.

A lavare la montagna di piatti mi sono offerto io, come gesto di solidarieta' verso il sesso femminile. Io ho insaponato e la simpaticissima suora bresciana, che faceva capo ad un gruppo di ragazzi italiani, ha sciacquato le stoviglie. Le battute e il buonumore ci hanno sopraffatti. E questa si e' rivelata una buona medicina contro tutti i malesseri fin la' accumulati.

Rabanal del Camino - Molinaseca (26 chilometri)

Un risveglio meno frenetico del solito. Finalmente ho potuto accendere la luce e prepararmi con relativa serenita' ad un nuovo giorno di sacrificio. Una buona e abbondante colazione (caffe' americano e due 'tostadas' con 'mantequilla' e marmellata) consumata attorno al tavolo della cucina dell'albergue, in compagnia degli altri pellegrini, sono una buona carica per ripartire.

In realta' mi ero illuso che, arrivato ai 1150 metri di altitudine, di piu' non si sarebbe potuto salire. E invece mi sbagliavo. Ci toccava durante quella tappa raggiungere il punto piu' alto del Camino. Avremmo superato Foncebadon e raggiunto la Cruz de Hierro ('Croce di Ferro'). Fino superare i 1500 metri. Mai pensando che il peggio sarebbe stato scendere giu' fino a soli 600 metri, in pochi chilometri in linea d'aria.

I primi chilometri - quelli che ci hanno portati alla Cruz de Hierro - sono stati abbastanza tranquilli. Forse sono riuscito a cogliere anche la bellezza di quei posti. Il fascino della desolazione e dell'abbandono di Foncebadon. La vista molto profonda che da lassu' ho potuto ammirare. La mancanza di orizzonti nella perdizione dello sguardo dei miei occhi. Illuminati tra l'altro dai riflessi di un'alba di colori e di freschezza che pian piano si consumava.

E poi l'emozione dell'arrivo alla Cruz de Hierro. La montagnola di sassi che sorreggono un palo di legno alla cui sommita' prevale una croce di ferro, trasmette tanto. Forse non ci si sa spiegare perche', e pochi se lo chiedono. Ma la sua vista suscita molte emozioni. Gli uomini che hanno lasciato un sasso hanno una storia personale, una speranza, un motivo o, semplicemente, si conformano ad un'usanza. Magari vogliono dare solo un segno di liberarsi di un peso che grava sulla propria vita o affidare un ricordo alla montagna e alla sua capacita' di renderlo eterno.

Io avevo una missione. Trovare le scarpine del nipotino di un mio amico che l'anno prima le aveva legate alla croce. Anche non sapendo nulla sul significato di quel gesto, ero contento di averne trovato un paio. Le ho fotografate. Gli ho mandato un sms. Pensavo che ritrovarle la' e dare questa notizia avrebbe dato un forte messaggio di speranza e di fede, e allora mi sono sentito bene pure io. E il messaggio e' giunto anche a me.

Dopo una lunga sosta, ripartire non e' stato semplice. Un po' di saliscendi e mi sono ritrovato in sentieri duri e scoscesi. E anche ripidi. Non sapere come affrontare la discesa rendeva tutto piu' complicato. Lasciarsi andare alla velocita' portava via tanto fiato, faceva sudare tanto e il pericolo vesciche era dietro l'angolo. Frenare il proprio moto significava sollecitare molto gli arti inferiori e anche questo era un pericolo grosso per il prosieguo del viaggio.

Forse e' stata la frenesia di finire prima possibile quel percorso in discesa che mi ha giocato un brutto scherzo. Spingendomi ad abbandonare il mio corpo alla pendenza del terreno. Saltellando da un sasso all'altro e selezionando meticolosamente, seguendo una logica convulsiva, i punti meno scomodi dove poggiare i piedi.

Ma i saltelli, appesantiti dai piu' di dieci chili di zaino che portavo sulle spalle, erano pesanti e talvolta le caviglie sbattevano cosi' violentemente sul piano duro, da causare un riverbero che si propagava in alto verso tutto il resto del corpo e raggiungeva le sommita' celebrali, turbando la quiete e la serenita' che sono invece necessarie in quei momenti.

Mi sono fermato a cambarmi i calzini. Seduto ad un sasso, terrorizzato per le vesciche al punto che sul mio viso in parecchi hanno letto la sofferenza. In molti, anche, mi hanno chiesto come stavo. Ma sono ripartito. E quel 'come stai' mi rimbombava nella mente quasi a dirmi 'stai male' e a signicare di fermarmi e non proseguire piu'. Mugugnavo e chiedevo al cielo il perche' di ogni dolore acuto che mi consumava lentamente tutte le poche energie che oramai avevo.

Pensavo anche, tra me e me, che forse era il mio fisico che non era adatto al Camino. E cedevo sempre piu'. Ad El Acebo mi fermo di nuovo sul bordo di una fontana. Bevo e mi rimetto le scarpe. Do' un occhio alla guida. Perdo tempo per non ripartire. Ma poi parto controvoglia. Ancora concentrandomi sul dolore, quasi a volermi giustificare se casomai mi fossi fermato.

Con questa testa non sarei potuto andare tanto piu' lontano. Arrivo al prossimo paese, Riego de Ambros, molto sofferente. Vedo una chiesetta (Ermita de San Sebastian) e istintivamente mi trovo in ginocchio con la testa fra le mani a pregare la Vergine affinche' mi dia la serenita' per compiere questo viaggio. Non ho altre parole per descrivere questo momento.

Ma uscendo dall'eremo percepivo che avevo riacquisito un po' di convinzione. Per ripartire o fermarmi del tutto, o forse per una decisione intermedia. Chi lo sa.

Subito mi trovo di fronte una ragazza con cui ho iniziato a parlare dicendo egoisticamente che non ce la facevo piu' e che il dolore fisico era troppo forte, mostrando le mie caviglie che sembravano due cotechini pronti per essere lessati. Probabilmente - e serenamente, a quel punto - mi sarei fermato.

Ma lei si alza il pantalone e mi mostra le sue fasciature. E poi, in una lingua che non era la mia, mi dice che ogni pellegrino che incrocio, porta dentro una sofferenza fisica. Chi piu' e chi meno. Ma pochi la esternano, e nessuno dovrebbe. E' stato la' che la serenita' acquisita poco prima in chiesa, mi ha fatto pensare all'errore che stavo commettendo a pubblicizzare le mie sofferenze. E non importa se erano tutti pellegrini o semplicemente gente che probabilmente non avrei incontrato per tutto il resto della mia vita.

Poi aggiunse anche che non dovevo pensare al dolore. E invece io fino a quel momento non avevo fatto altro che focalizzarmi su di esso, probabilmente enfatizzandolo. La saluto e riparto.

Nessuna implorarazione al cielo. Mi ero ripromesso anche questo nell'ultimo tratto di questa tappa. Il sole picchiava forte, ma io scendevo adesso piu' rinfrancato.

Al termine del sentiero, sulla carrettera poco prima di entrare a Molinaseca, mi giro e ritrovo il mio 'angelo'. L'aspetto e proseguiamo insieme fino al paese.

Molinaseca sembrava proprio un paese in festa. Io mi sarei fermato li', come eravamo d'accordo con i miei amici. Petra (cosi' si chiama il mio 'angelo'), Svizzera di Zurigo, avrebbe proseguito fino a Ponferrada.

Alla vista del fiume (rio Meruelo) da sopra il caratteristico Puente de Peregrinos, non ho potuto fare a meno di invitarla a fermarsi e mettere i piedi in quella meravigliosa acqua fresca e trasparente, insieme a me.

Avrei proseguito, ma tra noi c'e' chi stava peggio. E ci siamo fermati.

Quella sera avrei gradito intensamente una cena del pellegrino. Ero affamato, visto che avevo saltato il pranzo. Sicuramente i dolori mi avevano fatto scordare di aver fame. Ma l'aver ritrovato me stesso, aveva comportato di ritrovare anche il mio appetito.

Per la compagnia, pero' siamo rimasti a mangiare all'albergue municipal, dove pernottavano i nostri amici, dormendo su dei letti a castello sistemati all'aria aperta. Dopo la cena, giu' di nuovo sul muretto che lambisce il rio per un altro 'impacco' di acqua fresca. Dall'altra parte c'era una comunita' di bambini e di giovani che alla sola vista si riflettevano in me, trasmettendomi la serenita' che sembrava mancarmi da una vita.

Mentre testardamente mi sono impuntato a non portare nulla dall'Italia perche' di nulla pensavo che avrei avuto bisogno, quella sera mi ero portato dietro mezza farmacia di Molinaseca. Antidolorifici, antinfiammatori, pomate e fasce elastiche. Ma in fin dei conti, anche se la mia testardaggine era stata balordamente sconfitta, ero contento di quello che mi era successo.

Molinaseca - Villafranca del Bierzo (36 chilometri)

Sara' l'aria piu' salubre che si respira negli albergue privati, ma quella mattina mi sono svegliato bene. Ho fatto un'ottima colazione (al solito caffe' americano e al pane tostato con burro e marmellata, ho aggiunto dei croissant e un bicchiere di succo d'arancia) e sono partito insieme ai compagni alla volta di Villafranca del Bierzo.

Giornata chiara e limpida, come si notava dal cielo stellato sopra noi, gia' dai primi chilometri di cammino. Da subito abbiamo trovato il passo giusto. Sostenuto ma non forzato. Con uno dei miei compagni di viaggio abbiamo anche trovato la parola giusta. E, come se il tempo non fosse mai passato, come se i dolori non fossero mai esistiti, ci siamo ritrovati a meta' della tappa.

Non erano ancora le otto quando siamo arrivati a Ponferrada. La temperatura era fresca (sui 15 gradi). Siamo passati davanti al Castello dei Templari. E la' ci siamo fermati un po'. Per guardarlo da vicino. Farci qualche foto. Era forte anche la tentazione di entrarci. Ma a quell'ora il castello era chiuso.

Ponferrada, capoluogo della comarca di el Bierzo, ha una storia ricca alle spalle, e molte leggende sono legate a questa cittadina. Innanzitutto, l'Ordine dei Templari la scelse come loro sede per mettere in sicurezza i pellegrini lungo il Camino. Furono loro a costruire il ponte di granito rinforzato da barre di ferro, che permetteva di attraversare il rio Sil lungo la rotta del pellegrinaggio e che da' il nome a questo posto (ma di cui oggi non c'e' traccia).

Per quanto riguarda le leggende, si racconta che una statua della Vergine fu trovata da un Templare dentro una quercia che stava per essere abbattuta per recuperare del legno che serviva per la costruzione del castello. Sempre secondo la leggenda, la statua era stata nascosta secoli prima da San Genadio nella quercia per proteggerla dai musulmani.

La statua della Virgen de la Encina ('Vergine della Quercia') e' conservata nella Basilica de Encina e si fa riferimento ad essa con il nome la morenita in quanto e' considerata una delle madonne nere di Spagna.

Il viaggio continua in totale tranquillita'. E' una splendida giornata per me, e non sento di fermarmi. Dopo Culumbrianos procedo da solo. Attraverso colline ricoperte di vigneti, la cui vista regala un inaspettato stato di pace con il mio corpo e con la mia mente. Che persiste per chilometri e chilometri. Fin quando il sole si alza a picco.

Mi trovo sulle ultime colline - un po' piu' aspre - prima di entrare a Villafranca del Bierzo. Davanti a me oramai da un po' di tempo, una coppia di giovani australiani che spingono ciascuno un passeggino con un bebe' dentro. E' un'emozione che non posso trasmettere. E le domande dentro me si moltiplicano. E mai hanno una risposta. Ma solo ipotesi.

Solo quando mi avvicino alla giovane madre, in prossimita' di un'altra salita sul percorso sterrato, e mi offro per poter spingere un po' la carrozzina e farla cosi' riposare (ricevendo un cortese rifiuto), percepisco che il cammino di quella famiglia e' un dono d'amore della coppia verso i propri figli e, forse, un segno di gratitudine che lo si e' voluto manifestare nella maniera piu' profonda che una coppia possa condividere.

Mai ho raggiunto la mia meta cosi' in anticipo. Mai stando cosi' bene. Ma l'albergue municipal era pieno. Il prossimo albergue e' dall'altra parte della strada. A ridosso di una chiesa. Quella chiesa e' un altro simbolo del Camino.

Si tratta della Chiesa di Santiago. La peculiarita' di questa chiesa sta in uno dei suoi portali. In particolare, in quello settentrionale, Puerta del Perdon, il cui attraversamento rappresenta per i pellegrini che arrivano fin qua e non riescono piu' a proseguire, un gesto che consente loro di ottenere l'indulgenza pur non riuscendo a raggiungere la Cattedrale di Santiago e abbracciare la statua del Santo.

Mi addentro nel rifugio. Scappandomi naturalmente qualche parola in italiano, l'hospitalero spagnolo mi dice di chiedere informazioni al collega italiano, con cui ci saremmo capiti senz'altro meglio. Un giovane che mi ha ispirato subito familiarita'. E che l'accento inconfondibile lo ha ricondotto subito alle mie origini. E' inutile dire che mi ha dato tanta gioia e mi ha fatto sentire immediatamente in un ambiente familiare. Anche per via della grande persona che dopo si e' rivelato.

Ma ancora non avevo realizzato che c'era qualcosa di piu' misterioso che mi provocava quella strana sensazione. Mi trovavo all'Ave Fenix ('Araba Fenice'), il rifugio che ha segnato la rinascita (l'araba fenice e' l'uccello mitologico simbolo della rinascita) di Jesus Jato dopo che, essendo ritenuto uno stregone dalle persone del posto, gli fu bruciato il primo punto d'accoglienza che creo' per i pellegrini.

Jesus Jato e' un personaggio mistico che e' oramai un emblema del Camino. Ancora oggi guida questo locale con entusiasmo, supportato dai pellegrini che di tanto in tanto si concedono dei giorni di pausa da un Camino estenuante e decidono di fermarsi qua a dare il loro contributo. E' famoso anche per i sui metodi rituali con cui si propone di curare i malesseri dei pellegrini. Ma anche per la preparazione della queimada e per la celebrazione del rito celtico per allontanare lo spirito cattivo dalle persone, nel corso del quale questa bevanda e' ingerita. E, infine, per essere amico di Paulo Coelho, che lo cita nella sua pubblicazione Il Guerriero della Luce Online, nell'Edizione n°224.

Essendo arrivato in anticipo alla mia meta odierna, anche per aver saltato il pranzo, decido di andare a comprare qualcosa per pranzo e mangiarlo in riva al rio Burbia, alla Playa Fluvial. E magari, dopo, riposarmi e prendere un po' di sole. Per far diminuire il gonfiore delle mie caviglie, poi, sara' bene anche tenere i piedi 'a mollo', nell'acqua del rio, il piu' a lungo possibile.

Va tutto cosi'. Forse anche meglio, visto che il posto che trovo dove esaudire i miei desideri e' veramente bello. E nulla ha da invidiare a un bel lido di mare. La Playa Fluvial di Villafranca del Bierzo e' veramente un posto molto piacevole dove trascorrere ore di relax dopo diverse ore di cammino. Cosi' piacevole che, pur non avendo il costume, non ho saputo resistere alla tentazione di farmi un bel bagno in mutande.

Per la sera, decidiamo di rimanere tutti insieme a cenare all'Ave Fenix. Il mio corregionale Roberto, nonche' grande cuoco di Bratislava, imbandisce una mega-spaghettata per circa sessanta persone. Ma prima di cominciare a cenare, ci stringiamo tutti insieme, in una lunghissima catena umana chiusa da Jato, che si pronuncia in uno dei suoi riti ancestrali con cui benedice il nostro cammino.

La sera scorre in un'allegria e una spensieratezza che non pensavo potessero appartenere al Camino. Si canta, si scherza e si ride oltre al limite dell'orario che ci garantisce le ore necessarie di riposo in vista di una nuova giornata di sacrificio. Anche sconfinare fa parte del Camino.

Villafranca del Bierzo - O' Cebreiro (30 chilometri)

E' buio. Facciamo una ricca colazione. Salutiamo Jato e, a malincuore, lascio l'Ave Fenix. Inizia cosi' l'ultima tappa in Castilla. Percorriamo lunghi tratti sull'asfalto della carrettera. Ma oramai sapevo come affrontare le mie tappe. Passo costante, velocita' moderata e niente soste.

Proprio in virtu' di quanto appreso, mi sono ritrovato a percorrere gran parte della tappa da solo. Immerso nel silenzio rotto solo dal rombo del motore di qualche auto che sfrecciava al di la' dello spartitraffico, dal fruscio delle fronde degli alberi della fitta boscaglia che mi avvolgeva e dal gorgogliare delle acque del rio Burbia che scorreva a fianco a me.

Dopo lunghi chilometri, raggiungo la mia amica irlandese Mary e insieme portiamo avanti piacevolmente il nostro Camino. Lunghe ore di dialogo non sono state semplicemente una buona lezione di inglese. Anzi forse quest'aspetto e' stato quanto di piu' banale la nostra amicizia abbia maturato.

Nel lento discorrere dei piu' disparati argomenti, presto ci siamo trovati a lasciare l'asfalto per intraprendere la montagna e i suoi sentieri. Le ultime esperienze in montagna non mi hanno intimorito per nulla. Oramai ero sicuro di saper governare la mia ingenuita'.

A La Faba, mi fermo per aspettare i miei compagni di viaggio. Gia' intenzionato a non pernottare in questo posto per nessuna ragione al mondo. Troppa desolazione. E di solitudine basta quella dei lunghi tratti di ciascuna tappa, che si finisce per - o si vuole - percorrere da soli.

Nell'attesa approfitto per il solito bocadillo, l'aranciata amara e un buon frutto. Dopo vari battibecchi, partiamo alla volta di O' Cebreiro. Davanti a noi presto la pendenza della strada comincia ad aumentare, lasciando dietro alle nostre spalle delle viste di paesaggi di rara bellezza.

Ma fortunatamente i chilometri non sono poi tanti e in qualche ora ci troviamo sulla sommita' del monte, a O' Cebreiro. Sento la brezza che comincia a pungere. Il clima e' gia' cambiato. Ma anche la vegetazione. Davanti a noi il verde della Galizia e il dolce ondeggiare delle sue terre che si perde nell'orizzonte.

Ci incamminiamo nel villaggio che pullula di pellegrini, a piedi e in bicicletta. Qualcuno pure a cavallo. Era gia' chiaro che sarebbe stato difficile trovare posto in qualche albergue. Dopo le prime ricerche fallite, maturiamo la saggia idea di prendere un posto piu' accogliente per trascorrere la notte. Avrebbe giovato al nostro Camino.

Una confortevole stanza in un appartamento di un'anziana signora galiziana, distaccata e dall'aria molto 'affarista', e' stato il risultato della nostra ricerca.

Dopo una lunga doccia calda e aver indossato il vestiario piu' pesante che avevamo, usciamo a fare un giro per il villaggio insieme al nostro amico torinese, Federico. E' lui che ci guida per le vie di O' Cebreiro, portandoci a visitare le pallozas ovvero le caratteristiche costruzioni celtiche, con pianta tonda e tetto in paglia, dove alloggiavano i pastori del posto.

Abbiamo anche visitato la Iglesia di Santa Maria la Real. Un luogo topico, dove e' ambientato uno dei miracoli piu' suggestivi che il Camino abbia mai conosciuto. Nella chiesa e' conservato il Caliz del Milagro ('Calice del Contadino'), che mi ha subito fatto venire in mente la descrizione del miracolo che avevo letto nel libro Il Cammino di Santiago di Paulo Coelho.

Un contadino di un villaggio vicino, nonostante la neve che imperversava sul Cebreiro, volle a tutti i costi raggiungere la Iglesia di Santa Maria la Real per assistere alla celebrazione eucaristica. Ma arrivo' in ritardo. E di questo era molto dispiaciuto. Il prete che celebrava la messa (a manifestazione di minor fede) rise dentro se' del sincero dispiacere del contadino.

Il miracolo si compi' al momento della consacrazione dell'ostia, allorquando il Corpo di Cristo divenne carne tra le mani del parroco e il vino dentro il calice si traformo' in sangue. Il prete e il contadino sono stati fatti riposare in eterno in questa chiesa, l'uno in fianco all'altro.

L'atmosfera avvolgente e molto pregna che si respirava dentro la chiesetta romanica, ci ha spinto senza indugio ad apporre un timbro sulla nostra Credenziale. Idealmente, penso che quel timbro sia stato apposto anche dentro di me, perche' difficilmente dimentichero' questo posto.

E' sera, ma il sole ancora illumina la vetta del Cebreiro. Possiamo ancora stare all'aperto per farci una pinta prima di andare a cena. Salutiamo l'arrivo in Galizia rinunciando al menu del pellegrino per un'alternativa tipica di questa Xunta ('regione') ovvero il Pulpo a la Galega ('Polipo alla Galiziana'). E' una serata ancora una volta di piacevoli compagnie, nel pieno spirito di un sano Camino. Mentre fuori le nebbie calano.

Il Cammino di Santiago

sabato 16 gennaio 2010

Ho percorso parallelamente a Paulo Coelho, le sofferenze che lui ha patito lungo il pellegrinaggio intorno a cui si impernia questo libro. Non tanto per essermi calato nella parte del protagonista del romanzo, ma quanto per aver letto controvoglia pagine e pagine da cui non riuscivo ad estrapolare qualcosa che mi appagasse interiormente o che mi coinvolgesse emotivamente.

Tuttavia, ho continuato testardamente a leggerle perche' se dovevo dare un giudizio negativo, non mi avrebbe fatto sentire certo sereno l'averlo dato sulla base di una visione incompleta dell'opera che avrei giudicato.

Il Cammino di Santiago e' il primo romanzo di Paulo Coelho. Risale al 1987. Mentre l'edizione italiana risale al 1990. Il romanzo e' autobiografico. Parla di una tappa importante della sua vita. Ovvero del viaggio che nel 1986 lo vide percorrere il Cammino di Santiago.

Sono riuscito a comprendere quanto realmente importante sia stata questa esperienza per Coelho solo guardando l'intervista di Fabio Fazio durante una puntata della trasmissione Che tempo che fa.

Nell'intervista Coelho spiega come, essendo cresciuto in un collegio di Gesuiti, gli sia stato imposto di credere in Dio e come sia stato naturale, a seguito di questa imposizione, allontanarsi da questa credenza. La ricerca della propria spiritualita', innata in ognuno di noi, lo ha spinto a girovagare tra le piu' disparate religioni, avvicinandosi anche alla magia, prima di percorrere ll Cammino di Santiago e quindi ritrovare la convinzione che nel Cattolicesimo, con il suo male e il suo bene, si rispecchi la sua spiritualita'.

Nel romanzo, Coelho parla di un ordine che vive all'interno della Chiesa Cattolica che ha l'ambizione di comprendere il linguaggio simbolico del mondo. Si tratta dell'Ordine di RAM (Rigore Amore Misericordia, Regnum Agnus Mundi).

Il romanzo inizia con la cerimonia che lo avrebbe dovuto vedere incoronato Maestro dell'Ordine di RAM, con la conseguente consegna di una nuova Spada, in sostituzione della vecchia che lo aveva accompagnato nel superare tutte le prove che lo avevano portato fin li'.

La cerimonia si interrompe bruscamente quando Coelho tende le mani per ricevere la Spada dal Maestro. Il Maestro infatti gli fa capire che le prove che ha superato gli avrebbero dovuto insegnare che in quella cerimonia avrebbe dovuto rifiutare la Spada. In quanto, quel gesto indica che c'era ancora una certa propensione a distinguersi dalle persone comuni. Ovvero che nel suo cuore c'era ancora dell'impurita'.

Per conseguire la Spada allora a Coelho gli viene ordinato di riprendere il cammino della Tradizione, seguendo il Cammino di Santiago. Lungo quel cammino, tra le persone semplici e superando dei difficili ostacoli (che corrispondono con i peccati di avidita', superbia e fascinazione verso i prodigi di cui Coelho ha peccato durante la cerimonia), avrebbe dovuto trovare la Spada che lo aspettava in un punto preciso ad una certa data e ora, che intanto era stata consegnata alla moglie e che lui non avrebbe potuto toccare senza l'ordine del Maestro.

Le origini della cittadina Santiago de Compostela, capitale della comunita' autonoma spagnola della Galizia, sono da individuarsi ai tempi in cui l'apostolo Giacomo si spinse fino in quelle terre per predicare il Vangelo, e li' trovo' la morte. Fu sepolto in un campo dove una notte un pastore vide una stella brillare. A quel campo fu dato il nome di Compostela ('Campo della stella') e li' sorse nel tempo la cittadina di Santiago de Compostela (San Giacomo di Campostella).

Il Cammino di Santiago consiste di varie rotte che partono da varie cittadine - anche fuori dal territorio spagnolo, e confluiscono a Puente la Reina. Da Puente la Reina il percorso prosegue per alcune centinaia di chilometri fino a raggiungere Santiago de Compostela.

Nel primo millennio del Cristianesimo, il Cammino di Santiago (noto ache come Via Lattea, visto che i pellegrini che lo intraprendevano si orientavano di notte seguendo le stelle della Via Lattea) rappresentava uno dei tre cammini (gli altri due sono quelli che portano alla tomba di San Pietro a Roma e al Santo Sepolcro a Gerusalemme) che si percorreva per accedere ad una serie di benedizioni e indulgenze.

Il cammino che il protagonista segue nel racconto parte dalla cittadina francese di Saint-Jean-Pied-de-Port. A Saint-Jean-Pied-de-Port Coelho trova Madame Debrill che lo mette in contatto con quella che sara' la sua guida spirituale, Petrus. Petrus accompagnera' Coelho lungo il percorso, ma puntualizzera' prima di congedarsi da lui, che non lo ha seguito per aiutarlo a trovare la Spada ma per dargli gli strumenti che gli serviranno per trovarla. Questi strumenti consistono in una serie di esercizi che vengono indicati come le Pratiche di RAM. Da quel punto, dopo avere superato sfide e prove (le lotte con il cane feroce, la risalita della cascata e l'alzata della croce di ferro), Coelho e' lasciato da solo in balia di se' stesso per completare la ricerca della sua Spada.

Coelho e' ancora convinto di dover trovare una spada come quella che gli doveva essere consegnata al momento della cerimonia che lo doveva incoronare Maestro dell'Ordine di RAM. Corrispondentemente, il suo smarrimento aumenta e il motivo principale e' che non concepisce la domanda sull'utilita' di tale spada. Più si avvicina la fine del percorso, piu' il protagonista si sente affranto. Assiste al Rituale della Tradizione, prova un senso di invidia per l'Australiano che riesce a conseguire la sua spada, ma ancora non percepisce perche' egli non riesce ad ottenere la sua di spada. Alla conclusione di questa cerimonia ai Templari di Ponferrada, Coelho si sente addirittura in colpa per aver deluso la sua guida spirituale, che era stata tanto paziente e disponibile a trasmettergli le Pratiche di RAM.

Allo sbando Coelho segue una ragazzina che lo porta a Villafranca di Bierzo, fino al Portale del Perdono. Tale portale e' un traguardo della stessa valenza del santuario di Santiago de Compostela per quei pellegrini che non hanno la forza di affrontare l'ultimo tratto del cammino e l'averlo attraversato, garantisce loro le stesse indulgenze dei pellegrini che arrivano alla fine del tragitto. Una volta attraversato il portale, Coelho offri' del denaro alla ragazzina per averlo accompagnato al Portale del Perdono, ma gli furono rifiutati.

Ripreso il cammino, Coelho incontra un uomo che gli propone di portarlo a visitare la chiesa di San Giuseppe Falegname. Ancora una volta, il protagonosta accetta, con la speranza fievole di trovare la Spada, quasi che oramai non sa piu' a cosa aggrapparsi, e giunge con lui sino alla chiesa. Ancora una volta offre del denaro come ricompensa, e ancora una volta i soldi vengono rifiutati. I gesti dell'uomo e della ragazza, sono gratuiti

Queste due situazioni portano Coelho a riflettere sul fatto che, ogni volta che il suo unico pensiero e' il ritrovamento della Spada, Petrus lo distoglieva mettendolo davanti a delle prove sempre piu' dure. Parallelamente, pensava all'uomo e alla ragazzina che invece servivano la loro cittadina - mostrandola con orgoglio ai pellegrini di passaggio, senza curarsi della ricompensa. Nei pensieri di Coelho, si andava delineando che la Spada poteva essere considerata alla stregua della sua ricompensa.

Ancora una notte e un dialogo con Astrain (il suo Messaggero) per far mettere a posto qualche tassello, e, finalmente, Coelho, lungo la risalita del Cebreiro, trova la chiave di questo viaggio. Il segreto della Spada era la motivazione che spingeva al suo ritrovamento. Cosi' come nella vita ogni conquista e' tale se si conosce la finalita' per cio' che si vuole conquistare.

In cima al monte, Coelho sublima la sua conquista fermandosi a pregare ai piedi del Crocifisso e poi seguendo una pecora che lo conduce in una cappella dove incontra il Maestro che gli consegna la Spada. Anche in questo contesto Coelho impregna la sua avventura di una sorta di misticismo. Come del resto avviene in tutto il racconto.

Il cammino di Coelho si riduce, quindi, a un culto continuo di virtu' umane che porta a scoprire l'essenza della vita dell'uomo, e che rappresenta una giustificazione del risultato raggiunto. E cio' rende oltremodo pesante la lettura del racconto specie nella parte centrale. Un'altra buona dose di pesantezza e' inoltre data da un eccessivo richiamo agli esoterismi dell'Ordine di RAM.

Questi aspetti hanno diminuito la fluidita' della mia lettura, visto che avevo immaginato al romanzo come a una cronaca di un viaggio, contornato da preziosismi sui temi di vita che solo Coelho sa dare. Una sorta di delusione quindi e' affiorata man mano che leggevo il libro, non trovando tra le pagine nulla che era degno di essere sottolineato. Ma oltre a questi aspetti, Coelho e' riuscito a riaccendere il mio interesse, sfoggiando un finale avvincente e colmo di significati rendendo il mio giudizio su questo romanzo nel complesso positivo.

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