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L'avventura del Marocco

lunedì 30 novembre 2009

Man mano che l'aereo si spingeva giu' vero un parallelo piu' prossimo all'equatore, dall'alto si scorgeva un terreno piu' brullo e arido. Poi ci si immergeva in nuvole di sabbia. Quando ad un tratto cominciammo a sorvolare una grande oasi e da li' comincio' l'atterraggio a Marrakech.

E' incredibile vedere prima la natura che pian piano si arrende al deserto e poi, d'un tratto, come possa avere un rigurgito e rifiorire rigogliosa piu' che mai, per un lungo attimo, prima di cedere il proprio scettro defitivamente, facendosi ingoiare dal Sahara.

Lo scalo di Manara, una sera di meta' settembre, quando si celebra il Ramadan, ha un'aria strana. Semivuota di persone e di cose, e quelle persone che incontri, le osservi e le invidi, anche solo per un attimo. Per la loro disinvoltura, la loro naturalezza, la loro apparente illogicita'.

Ma non tutte. Alcune anche le odi, come la morte! Come Najib, il dipendente della societa' di noleggio di auto che ci doveva consegnare le chiavi della Pegeout 207 che abbiamo affittato per girare per il Marocco. Dopo varie tiritere, si e' presentato con tre ore di ritardo e un'aria sarcastica che non lasciava trapelare il minimo dispiacere per il disguido, anzi faceva presagire che in fondo era tutto nella norma!

Finalmente saliamo in macchina e ci dirigiamo verso Marrakech. Era buio, ma la grande strada che porta dall'aeroporto al centro della citta' era un tripudio di gente a piedi, in motorino o in macchina. Un disordine che mi eccitava, perche' dava un senso di liberta' che in Italia si e' perduto da parecchio.

Tenendo come riferimento fisso il minareto, siamo presto arrivati all'Hotel de Foucauld, che era una delle possibili mete dove poter prender camera, secondo la preziosissima guida turistica Lonely planet, che ci ha accompagnato per tutto il viaggio. La posizione - tra Djemaa El Fnaa e la Koutubia, l'atmosfera africana di qualche decennio fa' che si respirava e il prezzo di tutto rispetto, ci hanno levato via ogni tentennamento e abbiamo confermato la camera per tre notti.

Ci siamo subito precipitati nel caos del centro di Marrakech. E in un attimo ci siamo ritrovati nel bel mezzo di Djemaa El Fnaa. A parte il pullulare di mezzi e di persone, quello che puo' colpire sono gli odori forti che a primo acchito possono dare anche fastidio. Un odore speziato misto ai fumi di scarico dei motori e ai quadrupedi (asini e cavalli) che soventemente si incrociano nel centro della citta'. Sebbene mal vestiti (un po' per il nostro scarno guardaroba, un po' per strategia), la gente del posto non ha fatto fatica a identificarci, e venivamo chiamati da ogni direzione. Per comprare una spremuta d'arancia, per farci leggere le carte, per farci la foto con la scimmia o con il serpente, per sederci a mangiare il cuscus, per assistere alle esibizioni degli artisti di strada e via dicendo. Tutte queste attenzioni possono disorientare il turista e traumatizzarlo, in qualche modo, per cui sarebbe buona norma per chi si appresta ad assistere per la prima volta ad un tale spettacolo, prepararsi psicologicamente.

Superata brillantemente questa autentica (e comunque molto caratteristica) muraglia umana, ci siamo addentrati nel labirinto del mercato coperto di Marrakech ('souq'). La civilta' a cui noi siamo abituati si allontana sempre piu'. Se non fosse per il formicolio di ciclomotori che sfrecciano in quelle vie strette colme di gente, e per le vecchie auto moderne, sembrava proprio di vivere in un'altra epoca. Frutta esposta sui carretti. Botteghe artigiane dotate di macchine da cucire a pedale. Carni sui banchi di marmo delle macellerie dove non vi e' traccia di frighi. Qui gli odori forti si moltiplicano e si mischiano. Il commercio anima la comunita' in un modo che noi abbiamo dimenticato. E qui ci si rende conto. Oggi nella nostra societa' occidentale siamo diventati degli attori passivi del commercio. E' la merce al centro di tutto. In queste vie di Marrakech e' ancora l'uomo che da' valore agli oggetti di compravendita.

Dalle viscere della citta' antica sbuchiamo nella zona est e, vista la tarda ora, pensiamo che sia meglio rientrare. Per il ritorno chiediamo informazioni alla gente del posto per la piazza principale, che si offre con entusiasmo. Anche i ragazzini che giocano per i vicoletti si offrono spontaneamente a fornire aiuto, ma non assecondarli troppo potrebbe essere giusto, visto che spesso prendono in giro i turisti, conducendoli in vicoli ciechi. Noi, dalle esperienze delle prime ore trascorse in Marocco, abbiamo avuto anche modo di evitare un simile disavventura in cui stavamo per imbatterci.

Primo giorno

All'alba inoltrata del primo giorno a Marrakech ci rituffiamo nel caos verso il centro e ci fermiamo subito per una ricca colazione tipica in un locale su Avenue Mohammed V. La fanno da padrona crepe e frittelle varie, tra cui le piu' tipiche sono le 'm'semmen', ricche di burro, che vanno cosparse di miele. Ma poi mi sono buttato anche sul salato, facendo la colazione piu' strana della mia vita: due uova cotte all'occhio di bue in recipiente di terracotta tipica ('tagine'), cotti insieme a dei cipollotti. Chiaramente, dopo questa carica di energia, eravamo pronti ad affrontare il resto della giornata senza pranzare.

Visto che la Koutubia e' accessibile solo ai musulmani, ci siamo accontentati di guardare i giardini attigui, cosparsi da aranci, banani, ulivi e palme che con le loro tonalita' forti di verde creano un acceso contrasto con i colori sbiaditi e il rosso dell'argilla che dominano tutto intorno.

Ci siamo spinti fin giu' alle mura della medina. Una puntata per vedere cosa si poteva ammirare camminandoci sopra. Per poi rientrare in centro attravesando un lussuoso quartiere residenziale in costruzione secondo i canoni dell'architettura araba. Qua abbiamo cominciato a capire che Marrakech non e' solo la poverta' e la miseria della citta' antica. Una conferma della sensazione percepita e' quindi venuta dalla visita del Cyperpark. Un modernissimo parco dove ancora piu' ricca e dal verde piu' intenso e' la vegetazione e ancora piu' forte e' il contrasto dei colori con i viali segnati da distese di pietrisco rosso di argilla. Ma non e' solo una contrapposizione di colori ma anche tra la natura e la tecnologia: ogni angolo del parco e' dotato di una postazione per poter accedere a Internet.

Con grande sorpresa il rientro serale in albergo e' stato segnato da un temporale che a mio parere non e' tanto comune da quelle parti. Se non altro perche' in giro, nonostante la pioggia abbondante, non ho visto alcun ombrello.

In serata, dopo una rispettosa cena tra le bancarelle di Djemaa El Fnaa, dove abbiamo potuto degustare il caretteristico cuscus vegetale, ci siamo dati alla mondanita' spingendoci verso il centro nuovo della citta' (Ville Nouvelle), alla ricerca del Comptoir, un locale dove avremmo potuto ammirare la danza del ventre.

Qua le nostre sensazioni diventano certezze. In questo locale ci siamo convinti che la Marrakech degli asini e della povera gente e' un'altra citta'. Il locale e' frequentato da arabi e occidentali, uomini e donne emancipate. Possiamo ascoltare una piacevolissima musica araba suonata dal vivo ma anche musiche hip hop occidentali mixate. A differenza degli altri posti che avevamo in precedenza frequentato, dove non abbiamo trovato mai alcolici in vendita visto il periodo particolare per tutto il mondo arabo, in questo locale abbiamo potutto bere della birra e fumare anche il narghile'. La serata e' stata coronata da due bellissime oltre che bravissime ballerine di danza del ventre che mi hanno incantato a parte che per l'altissima frequenza del battito bacinale, anche per i loro contorsionismi.

Ancora un giretto per Ville Nouvelle per ammirare residenze, fontane, la modernissima stazione ferroviaria e il casino'. Poi siamo ritornati ad immergerci nella medina per disintossicarci di quello sfarzo che quasi ci rifiutavamo di accettare. Un po' d'uva e qualche banana. L'immancabile acqua in bottiglia. E via sull'attico con vista sulla citta' di notte per una rilassante fumata di tabacco marocchino e qualche racconto entusiasta della giornata appena trascorsa.

Secondo giorno

Il giorno seguente, memori della mattina, siamo stati puntuali per la ricca colazione che l'hotel offriva. Poi partenza per un giro a piedi attreverso altre mete della citta'.

Abbiamo cosi' raggiunto il quartiere ebraico ('mellah'). Addentrandoci tra le stradine che ospitano il mercato. Atmosfera unica per noi che eravamo gli unici occidentali, contraddistinti dalle nostre macchine digitali. Intenti a fotografare scorci di mercato e attenti a non fotografare volti in particolare. E per questo distratto a tal punto che non riuscivo a sentire le grida di un oriundo che urlava per attirare la mia attenzione e farmi il segno della decapitazione. Ho cosi' avuto subito modo di capire che nemmeno le foto panoramiche erano ben volute in questo quartiere.

Dopo una lunga sosta per bere del te' alla menta (quando il sole era sopra di noi e la temperatura si aggirava intorno ai 30 gradi), ci siamo avviati verso le tombe dei Saaditi (l'antica popolazione marocchina con discendenze berbere) e da qui ad ammirare le affascinanti decorazioni di Palais de Bahia.

Per la sera - vista l'estenuante giornata di cammini - non si poteva programmare nulla di meglio di un salutare 'hammam'. Ma complice la stanchezza e la buona compagnia, abbiamo optato per una rilassante serata sull'attico di un accoglientissimo 'riad' dove tra un te' alla menta e una chiacchiera si e' scivolati piacevolmente verso le prime ore del nuovo giorno.

Terzo giorno

Finalmente arriva il giorno in cui la macchina diventa un elemento attivo della nostra vacanza. Si parte appena pronti e senza fretta, verso l'entroterra del Marocco centrale. Direzione Ouarzazate, valicando l'Alto Atlante.

Subito fuori dala citta' la vacanza comincia ad arricchirsi di un gusto piu' forte. Forse perche' ognuno dentro se associa la vacanza con la liberta', e gli spazi immensi che cominciavano ad aprirsi davano tremendamente l'idea di liberta'.

Strade diritte e semivuote che si inoltrano nella savana. Si incontra qualche camion caricato all'inverosimile e i 'grand taxi' che fanno da spola tra Marrakech e Ouarzazate. Spesso si incontrano persone sulla groppa degli asini, oppure a piedi o solamente riuniti in gruppi ai margini delle strade. Risalendo l'Alto Atlante invece e' sempre piu' frequente incrociare ai margini delle strade vendiori di minerali di cui questa catena montuosa e' veramente ricca.

E non solo! Incontri anche automobilisti con il motore in avaria ai margini della strada. In un caso di questi ci siamo imbattuti noi. E in totale armonia abbiamo deciso di fermarci a prestare soccorso. L'automobilista non ci ha chiesto niente di piu' che portare un messaggio che ci ha scritto su un foglietto, da consegnare alla prima casa sulla destra con le tapparelle azzurre che si incontra appena entrati a Ouarzazate. Devo ammettere che stavamo sentendo veramente di vivere una vera e' propria avventura.

Abbiamo trovato facilmente la casa, davanti alla quale c'erano dei signori distinti in abiti tipici arabi. E, sempre davanti casa, un fuoristrada che faceva presagire che si trattava di una famiglia facoltosa. In effetti, il giovane che ci ha accolti calorosamente era un commerciante di tappeti con un discreto business in tutta l'area del Marocco centrale. Ci ha subito fatti accomodare in una stanza interamente rivestita di pregiatissimi tappeti, in cui siamo entrati tutti essendoci levati preventivamente le scarpe. E quindi ci siamo seduti attorno a questo grande tavolo di cristallo tutto sfarzosamente decorato da minerali.

Con due battiti di mani veloci, Noradine chiese al fratello di portare del te' alla menta. I nostri sguardi si incrociarono sbalorditi. E in essi si leggeva chiaramente una domanda chiara su cosa stessimo vivendo in quegli attimi.

Dalle nostre chiacchiere venne fuori che eravamo orientati a raggiungere il deserto per passarci una notte. Noradine ci propose un piano per i giorni che intendevamo trascorre in quei posti. Ci avrebbe fatto accompagnare dal fratello per visitare Ouarzazate nel pomeriggio, ci avrebbe ospitato la notte in casa sua e il giorno dopo si sarebbe partiti verso l'Erg Chigaga.

Ma in quel momento abbiamo cominciato a svegliarci dal sogno e abbiamo cominciato seriamente a pensare che realmente ci poteva essere una truffa e che, in fin dei conti, non c'era stato nulla di casuale in quello che stavamo vivendo. Preso coscienza di cio', abbiamo salutato calorosamente e siamo andati via.

In colpa per il ritardo accumulato, ci siamo involati verso il deserto, decisi a saltare la bellissima Gola del Dades e la Gola del Todra. Ma dopo qualche decina di chilometri i dubbi hanno cominciato a tirarci per i piedi. Decidiamo cosi di fermarci. Una dovuta pausa sigaretta per rilassare i nervi che cominciavano a tendersi oltre il livello di guardia, per poi affidare il seguito del nostro viaggio ad una moneta di 10 Dirham. Gole o deserto? La moneta rispose per la prima possibilita'. E cosi' siamo tornati indietro a Ouarzazate per poi proseguire verso le gole.

La sera incombeva, per cui la nostra prossima meta diventava l'albergo Talout che ci era stato segnalato dal gruppo di amici della sera prima e di cui eravamo rimasti colpiti dalle foto che ritraevano la piscina con un sole tondo e rosso all'orizzonte, e il deserto tra essi.

Complice la fretta (ma non solo...), superiamo un grand taxi all'uscita di una curva in prossimita' di un viadotto, incuranti delle gesticolazioni del tassista che ci precedeva e che evidentemente conosceva bene i posti. Da lontano una segnalazione di fermarci. Erano due gendarmi della 'surette' marocchina. Sono stati stesso loro a chiamare uno di noi in disparte e ad offrici di pagare una sola infrazione aumma aumma, piuttosto che due con la ricevuta. Offerta che chiaramente abbiamo accettato senza tentennamenti. Abbiamo rovistato nelle nostre cianfrusaglie e abbiamo tirato fuori 200 preziosissimi Dirham.

Rabbia e risate si ripetevano senza senno. Mitigate dall'impellenza di trovare l'indicazione lungo il tragitto per lasciare la strada maestra e proseguire verso la 'palmeraie' (palmeto) in cui si ergeva l'albergo. Cocente e' stata la delusione per lo scenario desolante trovato e per il trattamento poco professionale ricevuto (che in condizioni normali avremmo trascurato) al punto che dopo una lite furibonda ci siamo allontanati dalla struttura, sotto lo sguardo impietrito e incredulo degli albergatori.

Ci siamo quindi addrentati nella Valle del Dades, alla volta di Skoura. Arrivati in citta' e' subito incominciato l'inseguimento di personaggi in motorino, che non ci e' risultato affatto difficile individuare. Due-tre manovre strane in giro per il centro, per confermare il nostro sospetto che un tipo con un vecchio Peugeot (quelli a due tempi, con la corona piccola e il pignone grande, con l'accensione a pedale, che in Italia sono spariti nei primi anni ottanta) ci stava seguendo. Accostiamo e gli diciamo di farsi avanti.

Sapevamo gia' che avrebbe voluto darci indicazioni per qualche riad dove trascorrere la notte. E' bastato dirci '100 Dirham pour dormir e 90 Dirham pour manger', che abbiamo accettato di andare a vedere questo posto.

Percorrendo una strada polverosa e non asfaltata, siamo arrivati in una casa di campagna. Ad aprirci il cancello e' stato un signore berbero di mezz'eta' snello, slanciato e baffuto. L'ambiente era accogliente che abbiamo deciso che ci potevamo passare la notte.

Una volta che ci siamo sistemati in camera, Aziz non impiego' molto a mostrare la sua ospitalita', portandoci dei prelibati datteri e rassicurandoci che la moglie stava gia' preparando la tagine berbera per noi.

Una gustosissima cena e la stanchezza di una giornata a dir poco avventurosa, ci hanno fatto meritare a pieno la dormita piu' conciliante di tutto il viaggio. Tant'e' che la mattina dopo, abbiamo lucidamente concepito che il tragitto che ci eravamo prefissati poteva portarci via molto tempo e, cosi', ci avrebbe impedito di andare sulla Costa Atlantica. Per questo abbiamo deciso di tornare ancora una volta a Ouarzazate e riprendere di nuovo il nostro cammino verso il deserto.

Quarto giorno

La strada che per un lungo tratto avevamo percorso anche il giorno prima, sembrava essere l'anticamera del deserto. In realta', superata qualche asperita', va a finire nella Valle del Draa. La valle e' solcata da un rigagnolo d'acqua che nasce nell'Alto Atlante e che subito si infila sottoterra, per emergere e dare vita ad un'oasi lussureggiante che si stende lungo la valle per decine di chilometri, e' una zona che non lascia indifferente chi l'attraversa. E poi le vecchie 'kasbah' e le case al loro interno costruite in argilla e paglia, la gente per strada che saluta lo straniero al suo passaggio, gli asini che portano i ragazzini, le donne che recano in testa fasci di foglie di palma che hanno raccolto. Uno spettacolo che riempie e fa rimpiangere la semplicita' a cui non si e' piu' abiutuati.

Per l'ora di pranzo siamo arrivati a Zagora, fino a poco tempo fa' l'ultima citta' collegata da una strada al resto del Marocco, prima del deserto. (E comunque, tutt'oggi, rimane l'ultima citta' che e' consigliato raggiungere in macchina. Dopo e' fortemente consigliabile proseguire in fuoristrada.) Come gia' successo a Skoura, vieniamo pedinati da un individuo del posto, in motorino. Dopo vari tentennamenti, ci facciamo portare nell'agenzia con cui ci 'aggiustiamo' per un tour veloce nel deserto. La fame pero' fa la voce alta. Niente di meglio che sedersi ad un tavolino di un bar al centro della citta' e consumare un'omelette e un piatto di cuscus berbero, bere una coca e nel frattempo osservare tutt'intorno per farsi un'idea di come si svolge la vita in questi centri.

Alle 14 e 30, come d'accordo con Abdelkader, ci siamo fatti trovare davanti all'agenzia. La' ci stava gia' aspettando un Land Rover Defender e l'autista che ci avrebbero portati nel bivouac dove avremmo passato la notte. I nostri occhi diventarono lucidi alla vista del mito dei fuoristrada e al pensiero che a bordo di esso avremmo cavalcato le dune.

Giusto il tempo di dare un sbirciata veloce al negozio di Abdelkader, il quale non hai mai abbassato la guardia che lo vedeva impegnato a venderci dei souvenir a tutti i costi (per tranquillizzarlo ho promesso che avremmo fatto un po' di shopping al rientro del deserto), che abbiamo messo tutti bagagli sul Defender e siamo partiti.

Oltre Zagora cambia tutto. La strada si riduce ad una corsia e, quando incroci un altro fuoristrada, devi uscire dalla sede stradale per permettere il transito di entrambi i mezzi. Cominciano a intravedersi i primi cumuli di sabbia e le paratie costruite con gli arbusti delle palme per fermare l'avanzamento del deserto. Le tempeste di sabbia cominciano ad essere piu' probabili.

Noi, infatti, ci siamo trovati in una condizione climatica che non era delle migliori. Dapprima solo vento e sabbia. Siamo cosi' arrivati a M'Hamid. Un centro dove gli aspetti che avevamo fin li' colto, erano estremizzati. Presto ci e' venuto a mancare l'asfalto sotto le gomme e ci siamo addentrati nella savana. Quindi sono arrivati fulmini e acqua. Tanto piu' ci si spingeva dentro e tanta piu' acqua cadeva dal cielo.

Dopo decine di chilometri abbiamo cominciato ad avvistare le dune e presto ci siamo addentrati nell'Erg Chigaga. In breve siamo arrivati a destinazione. Una serie di tende disposte a cerchio in uno spiazzo di sabbia tra le dune. La pioggia comunque era ancora dirompente, e il guardiano dell'accampamento ci ha accompagnato nella tenda piu' grande, dove vengono accolti i turisti e dove si consuma la cena.

Molto accogliente. Tappezzata da tappeti tutt'intorno. Comodi divani e cuscini. Lampade alimentate a gas. Prima di abbandonarci completamente a un po' di relax tra le fastose tappezzerie che adornavano la tenda, ci siamo concessi un giro veloce sulle dune circostanti, non curanti della pioggia che incessante scendeva giu'.

Visto che in tutto il bivouac eravamo solo noi, chiediamo a Youssef di non scomodarsi a portarci la cena nella tenda grande, perche' ci saremmo spostati noi per mangiare stesso nella tenda dove si cucinava. E questo e' stato sicuramente una delle cosa piu' interessanti di questa gita nel deserto. Infatti, abbiamo avuto modo di constatare che belle persone si possono incontrare in giro per il mondo. E quanto diverse possono essere le vite degli esseri umani.

Youssef e' stato soldato per decine di anni e ha combattuto la guerra al confine con l'Algeria (che dista appena 40 chilometri da dove ci trovavamo noi). Quando la guerra fini', inizio' a fare il guardiano del bivouac per poter vivere e mantenere la propria famiglia. E questo mi ha fatto chiedere a me stesso se quel lavoro e' stato un caso o se c'e' una certa continuita' con la precedente vita da soldato. Mi e' sembrato come se la necessita' di vivere lontano dalle persone civili dettata dalla guerra fosse diventata un bisogno di vivere in disparte. Una incrostazione che non e' stato piu' possibile levar via.

Mohammed - il nostro autista - invece e' un giovane berbero molto riservato. Ed e' forse questo che ci ha colpito. Inoltre, ci ha incuriosito il fatto che a 26 anni ancora non fosse sposato. L'unica cosa che ci ha detto e' stato 'Masha'Allah' ('Come Dio vuole'). Ci ha infine mostrato alcuni modi di portare il turbante, e le differenze tra i vari abiti tradizionali che si portano in Marocco.

A fine serata Youssef ci ha accompagnato nella nostra tenda, dandoci istruzioni su come usare la tenda dove c'erano i servizi e su come usare la lampada a olio che era l'unica fonte di illuminazione in dotazione. Ancora una volta c'e' venuto da chiederci cosa stessimo vivendo. A riprova che nessuno di noi si era mai immaginato di vivere situazioni simili allorquando ha deciso di fare questo viaggio in Marocco. Ma poi gli scrosci del temporale, la paura degli scorpioni e il gran caldo umido che si avvertiva sotto la tenda, ci hanno distolto, facendoci desiderare che il sonno ci potesse cogliere per allontanare i nostri cattivi pensieri.

Quinto giorno

Non erano ancora le 6 e si avvertiva l'acqua che incessante scendeva giu'. Poi sono cominciate a penetrare le prime luci dentro la tenda e pian piano la pioggia e' diminuita di intensita'. Uscito fuori nello spiazzo, sono rimasto sorpreso quando ho visto l'azzurro del cielo. Ecco che abbiamo comiciato a camminare sulle dune per raggiungere la vetta piu' alta, e da li' osservare al meglio l'aurora boreale. E tutto sommato l'acqua caduta in nottata non ha fatto altro che rendere ancora piu' magico quello scenario, accendendo il rosso della sabbia.

Dopo la colazione eravamo sul punto di partire quando da dietro una duna spunta un fuoristrada che presto e' rimasto affossato nella sabbia. Allora giu' a prestare aiuto, scavando e spingendo quel bestione per farlo ripartire. E' stato allora che abbiamo capito che siamo stati anche fortunati ad avere incappato una guida esperta nonostante la giovane eta'.

Prima di rientare a Zagora, Mohammed ci ha portati in un altro bivouac per il doveroso giro sui dromedari. Due bestie mansuete allevate da un giovanissimo ragazzo, Hamid. E forse non era un caso che quelle due bestie erano cosi' docili. Il loro padrone era veramente una cara persona, umile e aperta. E in lui abbiamo letto la freschezza di una nuova generazione quando ci ha raccontato che anche il padre e' un pastore. Ma a differenza sua, il padre ha un gregge di capre. Hamid invece ha i dromedari che lo proiettano verso un futuro piu' redditizio basato sullo sfruttamento del turismo.

Sulla strada del ritorno ci siamo fermati in una bellissima oasi dove abbiamo potuto rinfrescarci e ripulirci da tutta qulla sabbia rossa umida che ci si era attaccata alle gambe. E' stato la' che abbiamo cominciato a contemplare che, se volevamo raggiungere Agadir per la sera, non potevamo assolutamente perder tempo a Zagora. Putroppo, non potevamo fermarci al negozio di Abdelkader.

Ci e' venuto tutto piu' facile arrivando in citta' verso l'ora di pranzo. Abbiamo detto ad Abdelkader che saremmo andati in centro per pranzare e che dopo saremmo rientrati per fare visita al suo negozio. Ma saliti in macchina, non ci abbiamo messo tanto a convenire esplicitamente che dovevamo mangiare qualcosa e dirigerci verso la Costa Atlantica.

In realta', ci e' risultato cosi' difficile trovare un punto di ristoro che ci siamo fermati solo ad Agdz da un fornaio, a comprare un po' di pane appena sfornato. Da Agdz e' possibile prendere una strada secondaria che consente di arrivare direttamente ad Agadir senza passare per Ouarzazate e Marrakech, percorrendo circa 400 chilometri.

Chilometri e chilometri di strada dritta e senza traccia di motori. L'unica cosa che ci frenava (oltre la multa dei giorni addietro) erano gli oued (letti dei fiumi, asciutti in buona parte dei casi) che attraversavano la strada di tanto in tanto. In tali punti la strada forma degli avvallamenti, per facilitarne il deflusso delle acque del guado.

Per superare l'Alto Atlante siamo arrivati fino a 3000 metri di altitudine per poi scendere. L'unica sosta e' stata nel tardo pomeriggio a Taliouine, paese rinomato per il safran (zafferano). Chiaramente, non potevamo non sederci al tavolino del bar del paese e bere del te' allo zafferano. Una sbirciatina su Internet per trovare l'albergo dove passare la notte ad Agadir. Una telefonata in Italia alle nostre famiglie. Qualche croissant (anche questi dolci ricchissimi di burro). Un po' di frutta dal fruttivendolo del paese. E via, giu' verso la costa.

In serata ci siamo immessi sulla autostrada (completata ancora solo nel tratto finale, penso) che da Marrakeck porta ad Agadir. Ancora desolazione. E francamente non capisco se perche' era il mese del ramadan o perche' era bassa stagione. Poi l'ingresso ad Agadir. Non sembrava di essere in Marocco. Tutto ultragrande e ultramoderno. Una tipica grande citta' dell'occidente.

Senza troppe indecisioni - a causa anche della stanchezza - abbiamo bloccato il primo albergo che siamo andati a vedere. Da li', a piedi, siamo scesi sul lungomare. Forse qua abbiamo fatto la cena piu' triste di tutta la vacanza. In un McDonald con una giovane inesperta intrattenitrice che cantava accompagnata da una tastiera elettronica e da basi musicali. Questa esperienza ci ha un po' rovinato la serata, anche se ce l'abbiamo messa tutta per avere un bel ricordo di Agadir.

Dopo un lungo girovagare per la plage (spiaggia) e l'aver constatato quanto l'occidentalizzazione possa aver deturpato e reso inverosimile questa parte di Marocco, ci siamo rinchiusi in un bar a giocare a scala 40. E poi, ancora ostinati a dare un senso alla nostra notte ad Agadir, abbiamo preso la macchina e abbiamo cominciato a vagare per la citta'. Fin quando siamo andati a finire in un locale conturbante. Questo non e' Marocco.

Sesto giorno

La mattina abbiamo voluto goderci un po' la piscina dell'albergo. Ma non potevavo perderci il bagno nell'Oceano Atlantico. Siamo cosi' scesi in spiaggia. Spiaggia immensa e sabbia finissima giallastra. E il colore della sabbia da' un tono scuro all'acqua. In realta' se ci si avvicina si nota che l'acqua e' limpidissima e i fondali bassissimi del bagnasciuga lasciano intravedere spesso e volentieri banchi di pesci che sguazzano tra i piedi dei bagnanti.

Prima di andare via abbiamo voluto dare un senso piu' profondo a questa sosta ad Agadir. Ci siamo cosi fermati in un ristorante per fare una bella scorpacciata di pesce. Molto buono e a prezzi accessibili. Anche il personale e' stata una piacevole sorpresa. In particolare, ci siamo fermati a lungo a parlare con Rachid, un giovane cameriere marocchino, con cui siamo riusciti a dialogare in lingua inglese su un argomento molto sentito nel mondo arabo. L'islamismo e la religione cristiana. Siamo rimasti colpiti del contrasto tra l'apertura della conoscenza delle lingue e al contempo la rigidita' del modo di pensare inerente alla religione. Abbiamo cominciato a capire che l'islamismo e' qualcosa di pilotato da gente reazionaria che riesce benissimo a tenere all'oscuro la gente dall'andamento oggettivo dei tempi. E che questo oscurantismo ha tra i suoi effetti la visione di nemici in tutte quelle persone che non sono musulmane. Va da se' che poi queste inimicizie sfociano spesso nella contrapposizione fisica.

In Rachid abbiamo letto un pizzico di insofferenza nella mancanza di contrapposizione da parte nostra. Un senso di delusione, di inappagamento. E io mi auguro che questo abbia potuto trasmettere un po' di piu' il senso della religione nella sua essenza.

Forse e' stato cio' a dare un pizzico valore in piu' a questa parentesi di Marocco. Anche se ci siamo resi conto quanto lunga ancora sara' la strada per gli islamici prima che afferrino il succo della religione, quando a guidare le coscenze ci sono persone che hanno interesse a nutrirsi della liberta' altrui.

E' tardi. In tutta fretta si parte verso Essaouira, risalendo la Costa Atlantica per circa un centinaio di chilometri. Ma spesso ci fermiamo, incuranti del ritardo, catturati dai bellissimi paesaggi e dal fascino del mare increspato di onde lunghissime che si esauriscono in una esplosione di schiuma sulla scogliera.

E' quasi buio quando arriviamo sul lungomare che precede l'ingresso nella citta' fortificata di Essaouira. Ci accorgiamo di essere 'rientrati' in Marocco quando si accosta un giovane per proporci un posto dove trascorrere la notte. Noi avevamo gia' dei riad da andare a vedere che ci erano stati segnalati dalla Lonely planet. Cosi' abbiamo deciso di guardare l'uno e gli altri riad e scegliere il piu' appropriato.

La prima cosa che colpisce attraversando uno dei portoni che permettono di accedere alla medina, e' il commercio fiorente che si manifesta in ogni angolo. Che ha tra i suoi effetti un livello di scambi umani che si avverte e si trasfoma in un piacere che cattura come un vortice chiunque si avvicina.

Alla fine la nostra scelta e' caduta sul riad che ci ha segnalato Amhed. Molto accogliente e su una via principale del labirinto di stradine che si sviluppa dentro il centro antico della citta'.

La stanchezza e' sempre un dettaglio trascurabile, quando ci sono delle valide attrattive. Sicuramente la voglia di uscire ed essere convogliati dentro il fiume umano che scorreva per i vicoli e perdercisi dentro, era un valido richiamo. E poi c'era da trovare un posto dove andare a cenare. Essaouira vive di pesca, oltre che di turismo (*), ed e' caratteristica per le fritture di pesce. Tuttavia, nel posto che abbiamo scelto, siamo rimasti un po' delusi sia per la frittura che per il cuscus di pesce.

Settimo giorno

Solo dopo la colazione nella 'hall' del riad ci siamo accorti che avremmo potuto consumarla su nell'attico. Da li' si poteva ammirare una bellissima vista sulla citta', far colazione seduti al tavolo e prendere un po' di sole comodamente sdraiati sui lettini di vimini.

Poi doccia e partenza per visitare la citta'. Una parte molto caratteristica di questa meta e' sicuramente la passeggiata sui bastioni che danno sulla scogliera (Skala de la Ville). Dal punto di vista strategico l'importanza di questa parte delle citta' e' sottolineata dalla presenza di una fila di antichissimi cannoni in ottone che puntano verso il mare, perche' da la' arrivavano le incursioni degli invasori, attratti dalle ricchezze di questi posti.

Quindi siamo usciti e ci siamo diretti verso il porto, passando per lo Skala du port dove attracca una cospicua flotta di pescherecci che rifornisce quotidianamente il retrostante mercato ittico. Anche qui siamo rimasti affascinati dal fervore e dalla passione generata dall'incontro di cosi' tante persone che anima l'asta del pesce. Uscendo dalle mura siamo arrivati sul porto commerciale che domina la protuberanza che rappresenta l'estremita' di una ampia insenatura che si perde sul lungomare.

Siamo rientrati per consumare qualcosa seduti piacevolmente ai tavolini di un ristorante che si affaccia sull'ampia place Moulay Hassan.

Dopo mangiato, prima di andare in spiaggia, abbiamo avuto il tempo per guardare una mostra di pittura di artisti del luogo, che si e' rivelata molto interessante per l'espressivita' delle opere presenti, specie nel descrivere la condizione delle persone e, in particolare, delle donne, in questa parte dell'Africa.

La discesa in spiaggia ha finito di incantarci completamente. Ampi, ampissimi spazi da dare il modo a tanti giovani - turisti e, soprattutto, oriundi - per esprimere cio' che si ha dentro in totale liberta'. Tanti da dare l'impressione di non poterne ospitare ancora molti altri, se questo afflusso non si interrompesse. Partite a calcio, giochi acrobatici, cerchi di persone, bagni in acqua e tanto altro. Nemmeno un ombrellone o un lido. Tutto completamente in liberta'. Un posto dove la comunicativita' e la socializzazione, nel loro senso piu' puro, possono raggiungere livelli estremamente elevati.

A fatica siamo tornati in noi e abbiamo compreso che dovevamo partire per chiudere l'itinerario del nostro viaggio marocchino, rientrando a Marrakech. Controvoglia ci siamo rivestiti e siamo saliti in macchina. Risalendo lungo la strada che esce dalla citta', siamo rimasti affascinati dal bellissimo tramonto d'un rosso che colora e avvolge tutta Essaouira e l'isolotto che sta di fronte. Tant'e' che non abbiamo avuto molte esitazioni a fermarci e salutare per l'ultima volta questo posto.

Abbiamo cosi' lasciato la costa e ci siamo immersi nelle distese ondulate ricoperte di alberi di argan (la bacca da cui si estraggono degli oli molto pregiati usati sia nella cosmetica che nella gastronomia), che separano Essaouira da Marrakech.

Pian piano siamo arrivati a Marrakech. E ancora abbiamo trovato la forza di vivere un altro po' di Marocco, fermandoci in un centro commerciale. La curiosita' era forte. E anche questo puo' starci in una vacanza. Non e' proprio come i nostri centri commerciali, ma la direzione e' quella.

In serata inoltrata siamo arrivati al riad Koutubia dove eravamo attesi, per trascorrere la nostra ultima notte. Il ritorno a Marrakech non e' stato affatto come il primo giorno. Non eravamo piu' straniti da quello che vedevamo intorno a noi. Anzi sembrava quasi che era qualcosa di nostro e che ci era mancato in tutti quei giorni che ci siamo allontanati dalla citta'. Penso che sia stato soprattutto questo a portarci, stremati com'eravamo, ancora una volta per le vie della medina.

Ultimo giorno

Per le undici Najib ci aspettava (e questa volta non avremmo avuto dubbi sulla sua puntualita'.. :-) ) in aeroporto per la consegna dell'auto. Anche per non farci prendere dalla malinconia di dover lasciare un posto stupendo per tornare alla routine quotidiana, abbiamo dedicato le poche ore ancora a disposizione, all'affannoso giro dei negozietti per acquistare insignificanti souvenir.

L'ultima lite con Najib poi, e' stata forse solo una strenua manifestazione di ostilita' nei confronti della fine di un'avventura magnifica e irripetibile che da li' a poco si sarebbe perpretata.

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(*) Essaouira e' stata dichiarata nel 2001 Patrimonio dell'Umanita' da parte dell'UNESCO

Posted by Graziano Scappatura on novembre 30, 2009 at 02:31 AM GMT+01:00 #

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