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Reportage del Cammino di Santiago

mercoledì 24 agosto 2011

Raccontare un'esperienza come il Cammino di Santiago e' possibile (*), ma trasmettere le emozioni che si possono provare percorrendolo, e' una cosa ardua.

Una delle belle cose che mi e' capitata durante il mio Camino e' stata di imbattermi in una troupe della TV di stato che stava girando un servizio su questo fenomeno di dimensioni mondiali. Attraverso l'email che riporto di seguito integralmente, ci e' stato comunicato della messa in onda del reportage intitolato Il Cammino di Santiago, scritto e diretto da Fabio Tricarico .

Cari pellegrini,

vi informiamo che il reportage sul Camino andra' in onda lunedi' mattina intorno alle 10 su Rai1 all'interno di UnoMattina Estate.

Vi alleghiamo anche il link della diretta Rai in streaming, casomai non poteste guardare la tv.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/diretta.html#cid=PublishingBlock-64203784-70f7-4b53-9d21-b14693850195

Vi ringraziamo per aver condiviso con noi le vostre esperienze, e aver arricchito con le vostre parole il nostro lavoro.

Qualsiasi commento sara' bene accetto.

Un saluto.

Fabio Tricarico
Giada Forte

Da allora, ho caricato il video sul mio canale di YouTube e mi e' capitato di vederlo diverse volte. Ma non ho mai sentito che lo stavo facendo per rivivere le stesse emozioni che ho provato quando ho percorso il Camino. E sono sempre piu' convinto di non averne bisogno, visto che le emozioni che ho provato le porto dentro al cuore come se le avessi vissute un secondo prima. Piuttosto, mi piacerebbe trasmetterle perche' la mia esperienza crei condivisione, dando luce a nuove e altrettanto fantastiche simili esperienze. Ma questo non e' facile, come ho gia' detto.

Nel reportage della RAI invece ho potuto cogliere, in modo del tutto oggettivo, una splendida testimonianza dei molteplici aspetti del Cammino di Santiago. Ed e' per questo che lo ripropongo di seguito.

<<Maria, Madonna della strada, fa ch'io cammini nella speranza, che io salga dalle vette verso di Te con tutta la mia vita, con tutti i miei fratelli. Attirami verso l'alto, strappami all'egoismo e alla comodita'. Fa' di me un pellegrino della montagna.>>.

<<Niente sara' facile, ma niente sara' impossibile. Una freccia gialla, una conchiglia, indicheranno la direzione. Non dimenticate che sarete voi a decidere il vostro cammino!>>.

<<Lasciare una pietra e' come liberarsi di un peso, di un fardello che si porta nella vita. Siamo arrivati alla Croce di Ferro, a duecento chilometri da Santiago. Forse si esprime un desiderio. Forse si chiede aiuto al Signore. Forse si prega e basta. Forse in ogni pietra si nasconde la parte di se' stessi che si vuole lasciare o la parte che si vuole coltivare.>>.

<<Il Cammino - dicono i pellegrini - e' come la vita. Con i suoi pesi, i momenti di riflessione, fede. Qui potrete trovare speranza e pace. Dipende da ognuno di voi!>>.

<<Una volta arrivati qui, capirete che una parte del vostro cammino e' finita. A piedi oltre non si puo' andare. Il vostro spirito, la vostra l'anima, la vostra fede continueranno a camminare dentro di voi.>>.

Da Leon a Santiago (Parte II)

giovedì 07 ottobre 2010

O' Cebreiro - Samos (28 chilometri)

Dopo la colazione nel bar di fronte al nostro alloggio, di buon mattino ci inoltriamo nel buio e nella nebbia, tra i sentieri che scendono giu' dal Cebreiro. E' un'atmosfera surreale. Con le nostre torce andiamo avanti senza esitazione. E lungo la via incontriamo pellegrini solitari incerti della rotta che stanno seguendo. Addirittura troviamo anche gente che ha dimenticato qualcosa in albergue e torna indietro a recuperare gli oggetti dimenticati. Anche questo fa parte del Camino. Forse e' un indice di uno zaino troppo pieno. Oppure semplicemente che ancora non si e' trovato il giusto passo. In ogni caso, pensavo a quanto disastroso poteva essere se fosse successo a me. E mi dispiacevo.

Dopo qualche chilometro di discesa, riprende una lieve salita che ci porta ai quasi 1300 metri dell'Alto do San Roque. Qui e' d'obbligo la foto con il mio santo. Poi giu' lungo sentieri per nulla difficili e con un panorama che si apre sempre di piu' man mano che le nebbie di diradano e il sole viene su da dietro la montagna.

Ancora un lungo tratto insieme alla signora irlandese. E' piacevole parlare con lei. Sento che lo stesso piacere lo prova lei con me. E mi domando come e' possibile. O il mio inglese non fa proprio cosi' schifo o c'e' un segreto nel comunicare che va oltre la capacita' espressiva del linguaggio.

Dopo una piacevole sosta ad un grazioso baretto lungo il sentiero, per un caffe' e un pezzo di torta di Santiago, arriviamo a Triacastela. Un borgo abbastanza anonimo, che lascia una duplice scelta per la prosecuzione del Camino. O seguire il Camino classico, che passa per San Xil. Oppure seguire il Cammino alternativo, un po' piu' lungo, che passa per Samos.

Noi optiamo per quest'ultima, perche' Samos e' la destinazione del giorno. Sebbene questa rotta sia la 'rotta alternativa', Samos e' legato da secoli al Camino per via della presenza del Monasterio de los Benedectinos, risalente al VI secolo e punto di riferimento per molti pellegrini. Ed e' proprio nell'albergue del monastero che abbiamo come obiettivo di trascorrere la notte.

Da Triacastella a Samos si attraversano, tramite sentieri agevoli e ben tenuti, solo boschi solcati dal rio Ouribio. Lievi saliscendi e una natura rigogliosa che lascia parecchi momenti per la mia contemplazione.

L'arrivo a Samos e' anticipato da una bellissima vista sul paese e, in particolare, sul monastero che domina il panorama.

Quando giungo davanti al monastero, l'albergue e' ancora chiuso. Assisto cosi' ad una scena che mi era stata descritta come usuale di questa esperienza. In pratica, metto il mio zaino a terra in coda agli altri dei pellegrini giunti a destinazione prima di me. Tale ordine determina l'ordine di ingresso nell'albergue, fino all'esaurimento dei posti letto. E vado a mangiare.

E' una giornata fresca. Anzi comincio ad avvertire un po' di freddo. Oltretutto, visto che il giorno prima avevamo usato tutto il vestiario per ripararci del freddo del Cebreiro, ero sprovvisto di indumenti per coprirmi. Non solo, il centro d'accoglienza del monastero e' una delusione totale. Strutture fatiscienti. Poca acqua e fredda. Lavatoi nei lavabi usati per l'igiene personale. Letti vecchi e persino non c'era posto per stendere i panni bagnati.

Ma dopo diversi giorni di Camino i pellegrini sono oramai preparati e non si abbattono cosi' facilmente. E, un po' complice la previdenza di qualche pellegrino che ha portato con se' del filo per stendere i panni, un po' per la mia spregiudicatezza nel tendere fili attaccati nei posti piu' impensabili, che siamo riusciti a trovare ampi spazi per appendere la biancheria.

Restava per me il problema di coprirmi. Ricordero' la mia permanenza a Samos principalmente per questo. Al punto che non sono riuscito nemmeno a trovare la forza di andare a visitare la chiesa del monastero. Gli amici mi hanno detto che invece ne valeva proprio la pena.

Samos - Portomarin (28 chilometri)

Ho imparato che il mattino ti dice parecchio su come sara' la tua tappa. La partenza da Samos mi aveva rivelato tanto e solo con il senno di poi ho capito che i segnali non dovevano lasciare dubbi a quanto dura sarebbe stata la tappa.

Ci avviciniamo a Sarria. Una tappa cruciale del Camino. Nello spirito piu' tradizionale del Camino, per ricevere la Compostela ovvero l'attestazione ufficiale di Pellegrino, bisogna percorrere cento chilometri del Camino a piedi o duecento in bici o a cavallo. Il tutto naturalmente documentato attraverso i timbri sulla Credenziale.

Ecco che Sarria, che dista poco piu' di cento chilometri da Santiago, diventa l'ultimo paese valido come partenza del Camino per i pellegrini 'a piedi' che vogliono conseguire la Compostela.

E questo fatto viene subito all'occhio. Il traffico dei pellegrini sui sentieri era cresciuto in modo spropositato. Anche la varieta' di pellegrini era mutata. Molti piu' giovani e molti piu' anziani, naturalmente. E la presenza di questo gran numero di persone non poteva lasciare indifferenti. Forse e' subentrata una certa delusione di quello che il Camino era fin qui apparso.

I lunghi tratti in solitudine. Le grandi difficolta'. Il profondo senso di solidarieta' tra i pellegrini. Il rispetto della gente dei posti attraversati verso i pellegrini. Tutto cio' e altro ancora, a partire da Sarria cominciavano a perdersi velocemente. E proporzionalmente aumentava la tensione e diminuiva la serenita'. Erano rare le volte in cui incrociavi un pellegrino e pronunciavi il fatidico 'Buen Camino!', quando fino allora era un augurio che sgorgava da dentro il cuore ogni volta che te ne trovavi uno in fianco.

L'ansia diventava spesso nervosismo. Incapacita' di sopportare che il tuo sacrificio poteva non essere riconosciuto a fine giornata, perche' centinaia di 'domingueros' avrebbero gia' occupato gran parte dei posti dove alloggiare, mentre tu avresti dovuto ancora girare e trovare un posto per dormire.

Ma sicuramente c'era dell'altro. Un partenza mattutina con temperature eccessivamente fresche, una colazione consumata al volo e senza un caldo caffe', un malessere intestinale. Le molteplici soste e lo stress di dover ripartire e recuperare il terreno perduto.

Per fortuna riusciamo a raccogliere anche qualche soddisfazione in questa tappa. Per esempio, l'aver raggiunto il cippo che indica che mancano cento chilometri per Santiago. Da quel punto in poi ogni chilometro in meno sara' segnalato da un cippo in pietra recante il simbolo del Camino ovvero la concha ('conchiglia') gialla su sfondo blu e il numero di chilometri che mancano per arrivare alle reliquie di San Giacomo.

Dopo la foto di rito, io e il mio compagno di viaggio ripartiamo. Ma subito dopo decidiamo di fare l'ultima pausa per mangiare qualcosa prima di lanciarci verso l'obiettivo di questa giornata. La sosta ci pesera' parecchio. Difficile ripartire, complice anche il caldo di meta' giornata. E poi le chiamate degli altri amici che ci incitano a fare in fretta perche' gli ostelli si stavano pian piano riempendo. La variazione del passo e' quasi fatale.

Quando Portomarin era la' sullo sfondo e tutto sembrava fatto, mi accorgo che c'e' un lungo tratto di ripidi saliscendi, tutti da percorrere su un asfalto rovente. Per la prima volta ho cominciato a sentire le vesciche sotto i piedi. Ma non pensavo che fosse il caso di fermarmi a cambiare i calzini. Ne' di fermarmi per prendere un po' di fiato.

L'ultima discesa e' durissima. I dolori irrompono e non riesco a non pensarli. Arrivo comunque sul lungo ponte che passa sul bacino artificiale del rio Mino su cui un tempo sorgeva Portomarin, e porta sulla sponda su cui, poco piu' su, sorge il nuovo centro della citta', spostato per intero dall'argine del fiume.

La vista aperta mi da un po' di respiro. Ma e' li' che arriva un flusso di pellegrini in bicicletta che occupera' i posti per dormire che dovrebbero per giusto essere assegnati a noi pellegrini a piedi. Ripiombo nello sconforto. Passo lento e arrivo su in paese con la sensazione, poi confermata, che gli albergue dove i nostri amici avevano preso posto, erano esauriti.

Mi fermo. Non ho fiato. Non ho forza. E' stata un'altra di quelle tappe che difficilmente dimentichero'. Sono i miei colleghi a trovare un posto dove pernottare. Mortificato per la mia apatia e ansioso di trovare un posto dove buttare il mio zaino e cominciare a ritrovare me stesso, sembra passare un'eternita' prima di essere accompagnato presso l'albergue dove passeremo la notte. Ma alla fine riconosco che si tratta di un bel posto che tanto ha contribuito per ritrovare il conforto perso durante una giornata no.

Qui capisco quanto viaggiare insieme a una buona compagnia puo' essere un vantaggio indiscutibile.

La sera usciamo. Entriamo nella chiesa-fortezza di San Nicolas che spicca in questo paesino. Cerchiamo un timbro, ma e' tardi. Il vespro era terminato da un pezzo e la folla intorno a noi era solo la gente del paese, e i pellegrini di passaggio, che si aggiravano per la piazza perche', tutto sommato, Portomarin e' un paese accogliente.

La serata in compagnia per una tanto desiderata cena al riparo dal venticello pungente che spira fuori mi ha ristorato alla grande. In albergue ho tutto il tempo e la serenita' per prepararmi nel migliore dei modi per una nuova tappa che ci avvicinera' ulteriormente a Santiago.

Portomarin - Palais de Rey (24 chilometri)

Partiamo di buon mattino. Al solito, luci rigorosamente spente. E vengo svegliato dal brusio dell'andirivieni di pellegrini che gironzolano tra gli stanzoni e i bagni per prepararsi a ripartire.

Colazione veloce e povera. Ma c'e' tutta la convinzione che bisogna avviarsi con la giusta andatura e non fermarsi. E' stato scongiurato il pericolo molto probabile fino alla sera prima, che uno dei miei compagni non ripartisse. Tra le varie ipotesi c'era quella di seguirci in autobus. Oppure di affidare lo zaino ad una di quelle ditte che fanno il servizio di trasporto bagagli.

Ma alla fine abbiamo lasciato tutti l'albergue, imboccando il sentiero segnato dalle frecce gialle. Chiaramente, il nostro amico e' rimasto parecchio indietro. Ma non e' questo il problema grosso. L'importante e' riuscire a spostarsi con il giusto passo. La velocita' e' un problema relativo.

Si, non posso certo dire che la velocita' non possa essere talvolta un fattore cruciale in queste ultime tappe. Pero' mi sento tranquillamente di consigliare di far tappe piu' brevi, con partenze piu' anticipate, che non fare delle corse inutili che deterioranno solo il fisico e la mente.

Infatti, cosi' abbiamo fatto per questa tappa. Arrivando a Palais de Rey, prima di entrare nel centro abitato, ci accorgiamo che ci sono due belle strutture per accogliere i pellegrini. D'altronde, sebbene era appena mezzogiorno, avevamo percorso piu' di venti chilometri. Melide, poi, era parecchio distante. Considerando anche che a Melide confluisce un altra rotta molto trafficata di questi tempi (ndr: il Camino del Nord) e che la tarda ora in cui saremmo arrivati non ci assicurava affatto di riuscire a trovare agevolmente un posto dove pernottare, decidiamo di fermarci qui.

In realta', non c'e' stato alcun problema per trovare il posto. Ma il netto ritardo del nostro compagno ci ha fatti stare un po' in ansia.

Dopo le solite attivita' di routine per un pellegrino, un sano riposino - visto che c'era il tempo per farselo - ci sta tutto. Poi giu', all'aperto a ricercare un posto al sole dove usufruire di un piacevole calore e scambiare un po' di chiacchiere con gli altri pellegrini. Esperienze, senzazioni, aspettative. Ed e' tutto molto coinvolgente, anche perche' ben si possono dosare leggerezza e argomentazioni interessanti, seppure davanti a te si trovano persone con altre culture e altre lingue.

E' tardo pomeriggio. Scendiamo nel centro del paese per andare ad assistere al vespro. In lingua spagnola, ma va bene lo stesso. La destinazione finale e' ormai vicina. E ognuno di noi vuole ringraziare il Signore per averci protetto nel nostro Camino. Non solo. Ma anche per quello che pian piano, nella serenita' sempre piu' grande che stiamo acquisendo, ci rendiamo conto che stiamo vivendo.

In paese incontriamo anche due amici che accettano di cenare con noi. Miguel e Anna sono due ragazzi (spagnolo lui e francese lei) che si sono incontrati ad Astorga e da li' hanno deciso di proseguire insieme. Ancora faccio fatica a capire come facevano a superare la loro difficolta' di comunicare. Lui non parlava francese, lei non parlava spagnolo. Entrambi parlavano poco e male l'inglese. Ma, dopotutto, camminavano insieme. In fin dei conti, dopo che tutti insieme abbiamo passato una bella serata, pur non parlando noi ne' francese e ne' spagnolo, e anche poco e male l'inglese, mi e' venuto piu' facile darmi una risposta.

Palais de Rey - Arzua (30 chilometri)

In attesa che gli altri fossero pronti, ho trovato utile fare un po' di massaggi e un po' di riscaldamento per i miei muscoli, giusto davanti all'ingresso dell'albergue. E mi chiedevo cosa mai ci facesse una telecamera a quell'ora del mattino. Pensavo che magari qualcuno voleva portarsi un ricordo del Camino che gli facesse rivivere qualunque momento della sua parentesi da pellegrino, anche quella del risveglio e delle partenze al buio.

Camminando insieme e discutendo, invece, viene fuori che in realta' quella telecamera era di operatori della RAI, e che questi stavano realizzando un reportage sul Cammino di Santiago.

E' ancora buio quando ci stiamo addentrando in un bosco. Dai cespugli appare ancora la telecamera. E poi ancora piu' avanti, a Leboreiro, quando la luce del sole comincia a prendere il sopravvento, i nostri amici della televisione italiana sono ancora la', con il loro 'arnese da lavoro' puntato verso il Puente de Magdalena sul rio Seco.

Questa volta ci facciamo avanti a chiedere informazioni. E' un servizio per la trasmissione Uno Mattina e verra' mandato in onda entro due o tre settimane. Lasciamo i nostri indirizzi per essere contattati quando il video andra' in onda e chiediamo una ripresa. Quando a meta' del ponte il cameramen ci manda un segnale noi ci giriamo e salutiamo con il pollice alto. Ognuno di noi pensa che sara' un bellissimo ricordo del Camino. Chissa' se faremo parte di questo servizio televisivo.. (:-?)

Arriviamo a Melide. Un paesotto che a me non ha trasmesso niente. Sapevo che e' il paese dove e' piu' popolare il Pulpo a la Galega, ma ne sarei accorto anche senza saperlo. Erano appena le nove e mezza, e gia' i ristoratori ci richiamavano dentro i loro locali a mangiare questa prelibata pietanza.

Poi lunghi chilometri in un caratteristico paesaggio galiziano. Boschi, prati e ponticelli per attraversare ruscelli. A volte affascinato, ma a tratti anche stanco di un paesaggio che oramai si ripeteva da giorni. Forse il clima piu' mite pero' mi ha fatto sopportare meglio questi attimi di voglia di cambiamento.

L'ultimo tratto e' sull'asfalto, gia' da un po' prima dell'entrata ad Arzua. Penso che questo paese si sviluppi lungo una strada principale. Infatti, abbiamo fatto lunghi chilometri camminando sulla strada statale che arriva alla piazzetta principale del paese. Da li', poco distante, c'e l'albergue municipal. Era da poco passato mezzogiorno. Ma ancora una volta abbiamo fallito. L'albergue era pieno. Decidiamo di metterci alla ricerca di un posto per pernottare e, per aumentare la probabilita' di trovarlo, ci dividiamo. Ognuno va per una via diversa a cercare un alloggio.

Io mi fermo desolato e mi tolgo scarpe e calzini. Poi raggiungo gli altri che gia' stavano trattando per essere accompagnati da qualche parte dove poter trascorre la notte. Si trattava di un locale a pian terreno, adibito a rifugio. Che aveva tutta l'aria di aver avuto un trascorso da autorimessa. Ma va bene. E' pur sempre uno dei posti piu' confortevoli dove abbiamo dormito, se si esclude la musica che nei dintorni impazzava. E ha continuato a farlo fino alla tarda ora della mattina successiva.

Era il giorno di San Roque. Festa del paese. Oltretutto era un giorno di festa anche perche' la festa dell'Asuncion de la Virgen ('Assunzione della Vergine') era caduta la domenica. E in Spagna se un giorno festivo cade di domenica allora il giorno successivo e' ancora un giorno festivo.

Un giro per il paese in serata. Facciamo spesa per la colazione dell'indomani, e cominciamo a trovare un bel numero di pellegrini che lungo questo percorso abbiamo conosciuto. Si respira gioia. Anche a cena siamo in tanti. Ma in parte ci eravamo gia' organizzati. Avevamo due compleanni da festeggiare e, perche' no, anche un onomastico.

Arzua - Monte do Gozo (32 chilometri)

Dopo la tarda ora della sera precedente, il risveglio del mattino non e' stato affatto semplice. Ma ci incamminiamo forti dell'idea del traguardo che oramai e' ad un passo.

Un po' il buio, un po' la foschia e un po' perche' ci siamo abbandonati forse un tantino troppo appresso ad un gruppo di spagnoli sprovveduti, ci siamo trovati a seguire un sentiero ai cui bordi c'erano si' i cippi, ma i chilometri che riportavano aumentavano man mano che andavamo avanti, piuttosto che diminuire.

Al cospetto della loro indecisione, abbiamo subito invertito la rotta per ritornare sul giusto percorso. E' stato un po' frustrante. E sicuramente non di buon auspicio per il resto della giornata. Pero' c'era ottimismo, anche se misto a un po' di delusione. Piu' ci avvicinavamo alla meta, piu' sentivamo che il senso del Camino stava venendo meno. E a far perderne il senso e' la sempre piu' cospicua folla di pellegrini che incontravamo.

Questa tappa e' stata una passeggiata blanda. A riprova di cio', c'e' il fatto che mai c'eravamo trovati tutti insieme per un cosi' lungo tratto. E' capitato anche di fare lunghe chiacchierate. Ma l'entusiasmo non decollava.

In fretta e' passata la mattinata e ci siamo trovati a scalare la prima delle colline al di la' del quale si trova Santiago. Proprio sulla prima di queste c'e' un tabellone e una statua che indica che siamo a Santiago. Ma realmente mancano diciotto lunghi chilometri.

Era nostro obiettivo farceli tutti. Intanto ognuno, quasi per dovere di dare un senso a questo pellegrinaggio, comincia la sua marcia solitaria.

Io, desidero che questo momento sia il momento di fare delle conclusioni. Ma anche il momento di pensare ognuna delle persone a me care. Quelle in vita e quelle che mi guardano da lassu'. A pensare ciascuna persona che mi sono portata nello zaino, perche' non ha avuto la fortuna di avvicinarsi e capire che staccarsi dall'abitudine di trascorrere una vacanza banale, e mettersi in cammino, puo' lasciare un marchio di qualita' nella propria personalita'.

Alla fine la mia deduzione e' stata che non era il momento di trarre conclusioni. Ma era solo il caso di ricercare nella propria memoria quelle situazioni che piu' mi sono rimaste impresse e ad esse attribuire un significato. Quello che il Camino lascia alla fine e' questo. E non e' nemmeno giusto sforzarsi di individuare delle situazioni. E' il tempo che le fara' riaffiorare. E ciascuna di queste situazioni riaffiorira' con un significato profondo dentro di me.

Mi sento piu' tranquillo e penso che alleggerire la mia mente e' tutto cio' che il Camino mi chiede in queste ultime fasi. E comincio a sfogliare il mio 'facebook', a donare un mio pensiero a ciascuna delle persone che non mi sono state indifferenti. E' stato bello trovare questo momento ma sarebbe ancora piu' bello capire questa mia necessita'. Forse io non sono altro che la risultante di ciascuno di loro. E in questo senso voleva essere un 'grazie a tutti'. O forse e' solo un desiderio di rafforzare la mia sincerita' e la mia trasparenza perche' in esse vedo le qualita' che preservano l'essere umano al di la' di ogni confine fisico.

Mi commuoveva il pensiero che da li' a breve sarei arrivato sulla tomba di San Giacomo Apostolo. E lo ero ancora di piu' pensando che ci sarei giunto sofferente se non altro per il gran caldo che faceva. Ma ancora c'era una collina. E poi un'altra. E un'altra ancora.

Ero sfinito. Mi fermo ad un chiosco in un centro abitato. Poi mi guardo intorno. Una grande statua dedicata a Giovanni Paolo II si ergeva sulla sommita' della collina e piu' giu' delle strutture che si estendevano su un'ampia superficie, che non riuscivo a realizzare cosa fossero.

Mi trovavo a Monte do Gozo. E mancavano solo cinque chilometri alla cattedrale. Avevo fame e ho mangiato. Mi sono tolto le scarpe. Erano chiare manifestazioni che non volevo ripartire. Incontriamo altri amici che ci dicono che si sarebbero fermati a pernottare in quella struttura che altro non era che il 'megarifugio' che era stato costruito per la visita del papa. Troppi elementi che ci hanno convinto che partire all'indomani di buon mattino e arrivare entro un'oretta e mezza a Santiago, era sicuramente la scelta piu' saggia.

Dopo esserci sistemati nella nostra camera e trascorso un pomeriggio in relax, nel tardo pomeriggio facciamo un giretto piu' in la' nel paesino, a brindare con della buona birra insieme ad altri pellegrini. Intanto, arrivano altri amici che, chissa', se la sono presa con piu' comodo o forse hanno accusato la stanchezza delle centinaia di chilometri percorse.

Per la sera, imbandiamo la 'tavola' su un prato. Siamo in tanti. Chi cucina, chi fa la spesa, chi apparecchia, chi fa le foto, chi chiacchiera, chi schernisce qualche malcapitato. Ma e' veramente un'atmosfera unica. Ognuno si sente di aver oramai compiuto l'impresa e dentro anche una piccola opera di bene per l'umanita'. Ma lascia trapelare solo la leggerezza che solo la soddisfazione interiore riesce a far trasmettere.

C'e' ancora tempo per riunirci nel bar centrale della struttura. Matteo, il nostro amico bergamasco, in preda ancora all'euforia di un compleanno oramai trascorso, paga Chivas Regal per tutti. In qualche modo riusciamo a trovare le nostre stanze per farci qualche ora di sonno.

Monte do Gozo - Santiago de Compostela (5 chilometri)

Nonostante manchino solo cinque chilometri al traguardo, partiamo di buon'ora. C'e' da fare la fila per ritirare la meritata attestazione di Pellegrino. In breve arriviamo sulla carrettera. Da qui si nota che Santiago e' un centro di grandezza rispettabile. Il traffico comincia a pullulare gia' dalle prime ore del mattino.

La vista del cartellone che indica l'inizio del centro abitato ci attrae da subito e ognuno si fionda per farsi immortalare in una foto vicino a quell'insegna. Poi ancora a camminare lungo i marciapiedi che portano nel cuore della citta'.

Non sento quell'emozione che in molti momenti avrei pensato di provare quando percorrevo le prime tappe del mio Camino. E forse e' questo il senso della frase che spesso mi e' capitato di leggere sui muri 'Non e' importante la meta, ma il cammino', e che avevo gia' letto nel libro di Coelho.

Attraverso la porta di accesso alla citta' vecchia ('Puerta do Camino') insieme a Bruno, pellegrino di Tradate giunto alla meta il giorno prima e che ho incontrato inaspettatamente poco prima all'uscita di un bar, passiamo davanti alla cattedrale. Un banale segno della croce mentre continuiamo i nostri discorsi. E ci uniamo agli altri che sono gia' in fila davanti all'Oficina del Peregrino.

Qui scoppiano abbracci ed esclamazioni di felicita'. Poi foto e la ricerca intorno a me di persone con cui ho condiviso gioie e dolori da vicino. Quindi realizzo che e' il caso di mettere lo zaino a terra, in coda agli altri che attendevano gia' l'apertura dell'Oficina del Peregrino per ritirare la Compostela.

Finalmente, comincio a sentirmi piu' leggero e non solo per essermi tolto lo zaino da sopra le spalle. Ma perche' comincio a comprendere che un cammino della mia vita e' terminato. Sicuramente il cammino che ha delineato ulteriormente il mio modo di vedere il mio futuro. Come una serie di cammini. Ognuno duro e pieno di insidie, molte delle quali imprevedibili. Ma con una consapevolezza acquisita che ciascuno prepara ad affrontare il nuovo cammino con uno spirito diverso e pronto ad accettare di vivere ogni momento di esso. Perche' cio' rende consapevoli che le scelte che si faranno sono quelle che daranno un diverso sapore alla propria vita.

Un sapore che si avra' tempo di gustare alla fine di ogni cammino. E proprio quello che stavo facendo. Seduto su uno scalino assaporavo pacatamente la mia serenita', comunicando il mio stato di piacere alle persone a me piu' care. Avendo ben chiaro in mente che ci sarebbero stati nuovi e piu' impegnativi cammini da percorrere. Come ci saranno nuovi momenti per provare soddisfazione piena per i percorsi compiuti.

Ritirata la pergamena e lasciati nella corticella interna i bastoni che ci hanno sorretto nei nostri tragitti, ci spostiamo sulla praza Obradorio su cui si erge la stupenda facciata principale della cattedrale. Dominata da due sontuose torri. Quella di sinistra, Torre de la Carraca, e quella di destra, Torre de las Campanas. In mezzo alle due torri si eleva il Retablo de Piedra.

Una fila umana impressionante di devoti attende sotto una pioggia leggera, che da' alla piazza un aspetto piu' malinconico e al contempo la carica di fascino, per entrare ad abbracciare la statua del Santo e a scendere nella cripta per omaggiarne le spoglie. E' questo un rito che compiono i pellegrini di fede religiosa. Ma io non ho consapevolmente fatto. Come pure non ho ricevuto il Sacramento della Riconciliazione. Forse cosi' vanificando i sacrifici fatti per ottenere l'indulgenza che spetta a tutti i pellegrini, che addirittura quest'anno, Anno Jacobeo, sarebbe valsa come Indulgenza Plenaria ovvero purificazione completa di tutti i peccati. Forse pero' tutto vale anche senza i riti a contorno a cui mi sono colpevolmente sottratto. Sicuramente il senso di colpa che mi pervade dopo questa disobbedienza pero' mi fa' sentire ancora un tantino in debito con il Cielo e cio' mi motivera' ancor di piu' a scoprire ancora nuovi aspetti della mia interiorita'.

Attraverso il Portico da Gloria. Gia' era tutto pieno in ogni ordine di posto e, quindi, sebbene era la nostra celebrazione e sebbene stavamo arrivando da un viaggio di centinaia di chilometri, siamo rimasti ancora in piedi a seguire la Messa del Pellegrino. Un'atmosfera ricca di emozione che e' cominciata con la proclamazione dei Pellegrini da parte del Vescovo. Poi la celebrazione e' diventata molto piu' intensa. Al punto che, durante l'omelia, sebbene veniva pronunciata in spagnolo, sono riuscito a captare una frase quasi come se venisse detta nella mia lingua. Il Vescovo ci ha posto la domanda che noi ci saremmo dovuto a quel punto chiedere (e magari qualcuno si era gia' posto) ovvero del perche' ci trovavamo in quel posto a seguire la Santa Messa.

Forse non me lo ero mai chiesto fino a quel momento. Forse si, ma non mi sono mai soffermato a darmi una risposta esaudiente. E sono rimasto quasi folgorato quando il Vescovo ha detto che si trattava di una Chiamata Vocazionale. Difatti, ho sempre pensato a quanto strano fosse stato tutto cio' che mi era successo da quella mattina di luglio che mi svegliai con un'idea fissa in testa di immettermi sulla via di Santiago. E forse il concetto di Chiamata Vocazionale riassume sinteticamente cio' che non so' spiegare altrimenti.

L'unico rammarico (anche se tutte le emozioni provate non me lo hanno fatto realmente sentire) e' stato che il Botafumeiro (ovvero l'incensiere caratteristico delle celebrazioni importanti della Santa Messa nella Cattedrale di Santiago, che viene fatto oscillare spettacolarmente nel senso della navata centrale fino a raggiungere l'altezza di oltre dieci metri da terra) era in manutenzione quella mattina. Per cui non abbiamo potuto assistere a questo rituale.

Usciti fuori per la porta che si affaccia su Praza da Immaculada nell'ora di punta Santiago e' un continuo pullulare di gente, al punto che si fa difficolta' a muoversi per le vie. Aspettiamo un po' a salutarci con altri visi conosciuti che abbiamo incontrato in cammino e con cui magari non abbiamo avuto modo di scambiare una parola. Ma oggi e' un giorno di festa ed e' quasi un'esigenza quella di circondarsi di persone, specie di quelle con cui puoi maggiormente condividere le sensazioni che si stanno provando.

E' festa appunto. Un pranzo in compagnia e' un'altra occasione di condivisione che nessuno vuol lasciarsi scappare. Poi un po' la stanchezza e un po' pure la stanza confortevole che avevamo preso per passarci la notte, ci ha spinti a rientrare per una pennichella meritatissima, dopo una bella doccia calda e rilassante che non ricordavo cosi' da O' Cebreiro.

Pomeriggio inoltrato. Domani si rientra. Un'oretta dedicata ai souvenir. Tra un'entrata e un'uscita dai negozi di ricordini, preso esclusivamente dal desiderio di comprare qualcosa alle piccole persone a me care, che in futuro possa dare spunto per una riflessione sull'esistenza di questo posto e magari a scoprirlo dal vero, sento chiamarmi alle spalle da una voce con un accento decisamente straniero. Poi un abbraccio alle mie spalle.

Ero felicissimo di aver incontrato inaspettatamente Mary. Solo qualche minuto per salutarci. Ma in quei pochi minuti solo parole che mi hanno lasciato veramente tanto compiacimento per come una persona abbia potuto vedermi. Fortunatamente, anch'io sono riuscito a rompere la campana di egocentrismo che talvolta mi racchiude e sono cosi' riuscito ad esternare i miei apprezzamenti per la bella persona che ho avuto la fortuna di incontrare. C'era sincerita'. Penso che continuero' a inseguirla e ricercarla negli altri.

Riprendo la mia corsa, forse piu' carico che mai. Sono in ritardo con gli altri per un nuovo momento di condivisione culinaria e non solo. Federico ha gia' pensato dove portarci per il nostro ultimo Pulpo a la Galega di questa avventura. Dentro me penso se ci ritornero' sui passi del Camino, ma ho paura di deteriorare cio' che ho gia' vissuto. Al punto che facilmente mi convinco che non capitera'. O forse sono solo stanco di pensarci.

Sanremo 2009: vittoria o sconfitta?

lunedì 23 febbraio 2009

Questo post vuole essere solo un "appunto in bacheca", un "memo del mio pensiero" riguardo quello che mi ha suscitato il Festival di quest'anno e i relativi commenti che partono copiosamente dai media. Non e' nelle mie intenzioni fare la Claudia Vinciguerra del Web ( :-D )!

Il titolo del post mostra chiaramente un dubbio su come giudicare l'ultima ricorrenza del Festival. Ma una sensazione nitida si leva dalla mia interiorita'.

In queste ultime ore, i media pontificano il grande successo di questa edizione di Sanremo e, con essa, della RAI che ogni hanno lo propone. Dal canto mio, penso che realmente questa sia stata una edizione diversa dalle altre, che in qualche modo e' riuscita a tornare - per molti aspetti - al passo con i tempi. Una formula abbastanza valida per giudicare la canzone regina e un buon cast di conconcorrenti certo, ma io mi riferisco soprattutto a quello che Sanremo e' riuscito a proporre a contorno della manifestazione squisitamente canora.

Non mi e' piaciuto il modo in cui e' stato affrontato il tema della condizione dei gay (per non dire che non mi e' piaciuto il fatto che il tema e' stato affrontato), perche' sostanzialmente e' stato strumentalizzato per fare audience, laddove e' uno stato che non deve essere riconosciuto, ma semplicemente accettato all'interno del rispetto del prossimo e della normale convivenza tra gli uomini.

D'altra parte, pero', ho trovato molto interessante il richiamo di temi che mi stanno molto piu' a cuore: la disoccupazione (intesa come il fenomeno della perdita del posto di lavoro che ultimamente sta colpendo e lasciando in ansia molte persone) e la qualita' dell'informazione (che reputo uno strumento di potenzialita' incommensurabili e percio' da usare entro i confini che l'etica e la moralita' tracciano).

Il primo tema e' stato affrontato attraverso un brano di Paolo Giordano (Lettera di Paolo Giordano al 59° Festival di Sanremo) e letto da Alessandro Haber. Sembra una fetta di un tipico romanzo di Paolo Giordano, in perfetto stile. Descrive minuziosamente ogni aspetto di una scena di vita quotidiana, dando il giusto risalto ai dettagli che immergono direttamente dentro il racconto. Senza cercare storie sensazionali e senza usare un dizionario estetizzante. La storia e' quella triste, tristissima della perdita del lavoro da parte di Roberto, vista e vissuta con angoscia da uno sguardo esterno. Sicuramente, questo spazio avra' aperto lo sguardo a molte persone che fino a quel giorno hanno completamente ignorato che la crisi economico-finanziario in atto ha prodotto molti drammi - e molti altri ne produrra'.

Il secondo tema e' stato trattato nella lettera di Michele Serra, letta da Remo Girone. La lettera parla dell'informazione cattiva e addirittura 'velenosa' per il 'popolo', che la televisione diffonde per volere di chi la televisione la fa (che 'mangia la cioccolata' e 'lascia la merda agli spettatori', secondo la metafora usata da Michele Serra). E poi, del ruolo che il Festival - come parte buona della televisione - potrebbe avere per ridare quella qualita' - sottoforma di cultura - che il 'popolo' si aspetta dalla televisione.

Ritornando alla valutazione che e' stata attribuita dagli altri a questa edizione del Festival, reputo che il 'cantar vittoria' di Claudio Cappon e Fabrizio Dal Noce non e' affatto giusticato. Io ho avuto la strana sensazione di stare a guardare, per certi aspetti, un programma Mediaset, se non altro per i personaggi che hanno contribuito in modo fondamentale alla riuscita di questa edizione. Paolo Bonolis in primis, insieme a Luca Laurenti. Ma poi, Maria De Filippi tra gli ospiti, lo stesso - vincitore del Festival - Marco Carta tra gli artisti e Karima tra le proposte, e infine Giampiero Mughini e Emilio Fede, tra i membri della giuria di qualita'.

E con cio' non voglio deplorare il lavoro fatto da questi personaggi. Pero' fossi il direttore generale della RAI o il direttore di RAI Uno, mi vedrei bene dall'esultare a seguito di un simil risultato da parte della RAI. D'altra parte, il risultato ottenuto ha piu' l'aria di una vittoria della concorrenza. E dovrebbe far riflettere su cosa ci sia da cambiare nella televisione pubblica. E noi, dobbiamo forse cominciare a pensare di cambiare il destinatario del canone televisivo?

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