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Il buon olio

mercoledì 05 maggio 2010

Chi mai mi avrebbe svelato che il segreto per comprendere la bonta' dell'olio che a casa mia si usa per condire ogni pietanza era quello di andare a vivere lontano dalla Calabria? Per far certe esperienze necessita che si sviluppino per caso e che il senso critico un giorno ci si soffermi sopra. Poi, forse, vien fuori l'amore per tante cose care, ma mai apprezzate come meriterebbero.

L'uomo per sua natura compie dei cicli. Nei confronti della famiglia, ad esempio, sin da neonato si attacca al seno della propria mamma. Poi cresce e si avvicina al padre. Dopo l'adolescenza vive un contrasto con i genitori e dal successivo distacco avviene il piu' importante processo di maturazione dell'individuo. Segue il riavvicinamento della persona maturata ai propri genitori.

Sono convinto che anche nei confronti della terra e della natura, l'uomo e' soggetto ad un ciclo che corrisponde all'intero arco della sua vita. L'avvicinamento piu' intimo avviene man mano che l'uomo assume la consapevolezza della fedelta' inoppugnabile che deriva da un rapporto sincero con essa.

Forse pero' e' solo un caso che mio padre si sia prodigato - e continua a prodigarsi - sempre piu' per i propri ulivi, e forse e' un caso anche che io comincio ad essere affascinato e meravigliato da questo frutto della congiunzione dell'uomo con la natura.

I piccoli appezzamenti di proprieta' della mia famiglia sono coltivati quasi esclusivamente ad ulivi. Un tempo rappresentavano solo l'alienazione dalla mia infanzia. Qualcosa peggio se solo penso al forte odore che da ottobre e per tutto l'inverno impregnava la Piana di Gioia Tauro e i paesi preaspromontani. Era l'odore della 'murga' (dal greco 'amòrghe'), ovvero dei residui del processo di molitura delle olive che porta all'ottenimento dei raffinati oli da tavola calabresi, spesso riversata incautamente dai frantoi nei canaloni e addirittura per strada.

Non vi era strada di campagna che si attraversava e non si trovava una squadra di donne in lontananza, dedita alla raccolta delle olive. Piegate sulle gambe ai limiti del contorsionismo, avvolte nelle lunghe vesti e nei loro abiti scuri, si prodigavano ai piedi di quelle piante gigantesche che prevalevano su tutto, nella meticolosa raccolta di questo frutto prezioso.

Oggi, parecchi di quegli maestosi uliveti sono stati estirpati, per dar spazio a nuove colture, o abbandonati. In buona parte dei casi gli alberi sono stati potati, ridotti alla meta' dell'altezza che un tempo raggiungevano. O forse e' solo un fugace ricordo del mondo visto da bambino. Ma le fronde le ricordo bene. Quelle erano meno spoglie, sicuramente.

E poi, per le strade che attraversano le campagne, vedi sporadici gruppi di persone con macchine agricole che hanno cambiato radicalmente il processo di raccolta. Ma non la difficolta'. Quella e' sempre la stessa. Magari cio' che si e' riuscito a perseguire e' portare in frantoio un frutto che dara' un olio di una qualita' migliore.

Anche i frantoi sono cambiati. Un cambiamento dovuto. Ma che si traduce in nuovi ostacoli per la fragile industria olearia, come spesso ha cercato di farmi capire Antonino Mandaglio (alias Tony), mio carissimo amico imprenditore nel settore (Attiqua). Lui e' uno di quelli che il cambiamento lo accetta e lo guarda in faccia. Si e' adeguato a tutto cio' che la legge richiede, con lo sguardo proiettato verso il futuro, rischiando come spesso da quelle parti non si fa'.

Con lui e papa' ho appreso e discusso dei cultivar di olive che risiedono nei nostri appezzamenti. Poi ho dato anche un po' uno sguardo in rete. E cosi' mi sono fatto un'idea sulle varieta' di olive presenti nei nostri uliveti (Schede tecniche cultivar da olio).

Gli ulivi storici, quelli che dominavano - e oggi dominano un po' meno - le campagne della Piana di Gioia Tauro, sono piante tipiche del luogo. Si tratta del cultivar sinopolese. Una pianta di questo tipo puo' raggiungere anche dimensioni di venti metri. Al cospetto il frutto prodotto e' di dimensioni estremamente ridotte. Non supera i due grammi. Ha una forma allungata e di colore scuro, a maturazione completata. Date le dimensioni, pero', una pianta sinopolese puo' produrre quantita' considerevolmente elevate di olive nelle annate di carica, anche se la resa non e' percentualmente alta.

All'oliva sinopolese, con il tempo, si e' cominciato a preferire l'oliva ottobratica, una varieta' caratteristica esclusiva della provincia di Reggio Calabria e cosi' detta per il periodo di maturazione ideale. Un frutto di forma ovale a dal colore violaceo intenso, con un rendimento basso. Oltretutto attaccabile da determinati insetti. Le piante hanno una produzione alternante, con elevata produzione nella annata di carica.

L'oliva ottobratica puo' dar origine ad un olio con buone caratteristiche di conservazione di color giallo dorato velato, con un odore vigoroso caratteristico e un sapore amaro e piccante in proporzioni contenute. Ottimo a crudo su tutto (da L'ottobratico).

Per coltivare un nuovo terreno nudo invece mio padre, dopo essersi consultato con degli agronomi competenti, ha optato per dei cultivar di ulivi di varieta' roggianella.

L'oliva roggianella ha una forma sferica, un calibro medio-grosso e di colore nero, a maturazione completata. Resiste bene alle malattie tipiche dei cultivar di oliva. Le piante hanno una produzione abbondante e costante. L'olio che ne deriva e' di ottima qualita'.

L'Italia si togliera' la scarpa

sabato 17 aprile 2010

Garibaldi nella sua tomba e' gia' da un pezzo che stara' dando segni di insofferenza. Gli Italiani invece ancora no. Mi riferisco a quelli che sono a favore dell'Italia unita come la storia l'ha disegnata. Si, perche' gli altri invece - almeno quelli che sono consapevoli di cio' che sta avvenendo - staranno sogghignando in attesa che qualcosa di palese e corrispondente alla loro immaginazione, si compia.

Leggo oggi - e ho quindi la conferma - che quello che tanti sospettano, e' una verita' che si sta perpretando alle spalle di tante persone che vivono all'ombra dell'ottimismo che oggi viene da piu' parti profuso. O, viceversa, all'ombra di un malessere imposto che non da' spazio alla visione dei problemi al di la' di poche decine di centimetri del proprio campo visivo.

Mi riferisco ad un isolamento progressivo. Quello che oramai e' visto come un pezzo incancrenito della nostra Italia: la Calabria, e forse anche le zone ad esse attigue.

Per rendere piu' chiaro quello che voglio dire, riporto l'articolo intitolato 'Arance made in Italy (o quasi)' de 'Il Fatto Quotidiano' di oggi.

Sono rammaricato da come le risorse piu' belle che questa terra possiede vengano lasciate svalorizzarsi, incuranti del benessere che possano portare per la Calabria e per l'Italia tutta.

Gli aranceti, tra queste, sono gia' saltati agli onori della cronaca per i fatti di Rosarno di qualche mese fa. Ma forse in pochi hanno capito che la causa alla base di questi episodi incresciosi sono da ricercarsi nella caduta del valore delle arance della Calabria. Non certo del cuore immenso dei cittadini onesti che vivono di agricoltura a Rosarno. Molti meno sono consapevoli che le responsabilita' dell'essere arrivati a questa situazione sono chiare e non sono da ricercarsi tra gli agricoltori che non sanno dare valore al proprio prodotto.

Luigi Marino, di cui ho avuto difficolta' a trovare notizie in rete oltre la carica che attualmente ricopre ovvero presidente di Confcooperative (ndr: per il resto si e' guardato bene dal preservare la propria privacy professionale.. :-||), nell'articolo sopra citato afferma, indegnamente o obiettivamente, che il succo delle arance calabresi non puo' essere parte dei succhi di arancia che arriva al consumatore.

Sara' anche vero. Ma perche' il ministro delle Politiche Agricole non riesce a dare delle linee guida per riconvertire le colture della nostra Calabria affinche' si ritorni presto ad essere di nuovo protagonisti di questo mercato? Perche' lascia che questo mercato ci venga tranquillamente sottratto da concorrenti esteri che portano i loro prodotti da migliaia e migliaia di chilometri di distanza dall'Italia e da paesi che non sappiamo nemmeno a quali regole di lavoro soggiacciono?

Beh! Se andiamo ad indagare piu' da vicino chi era il nostro ministro ai tempi dei fatti di Rosarno, ci accorgiamo che si trattava di un certo Luca Zaia, leghista, che si e' occupato prevalentemente (per non dire esclusivamente, come si puo' vedere dal sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) di fatti che piu' da vicino interessano il settentrione d'Italia.

Oggi, Luca Zaia ha 'abdicato' in favore di Giancarlo Galan (viceversa, Zaia siede alla poltrona di governatore del Veneto che era in precedenza occupata da Galan). E dalle prime battute di questo mandato la musica non sembra - prevedibilmente - essere cambiata.

Ma la Calabria ha altre risorse, fortunatamente. Il turismo, ad esempio. Peccato pero' che ovunque si vada a cercare un ente che possa aiutare l'Italia a rimanere unita, si trovano persone che il senso dell'unita' non ce l'hanno nemmeno lontanamente nella propria immaginazione.

Il Ministero del Turismo (di cui ad oggi non e' noto il sito ufficiale) e' capitanato da Michela Vittoria Brambilla. Di questa persona, quello che mi e' rimasto impresso e' senz'altro una puntata di Ballaro', subito dopo il suo insediamento, in cui da un suo scontro verbale con Ignazio Marino, non e' venuta fuori alcuna intenzione di operare a fin di bene per il turismo del Sud.

Men che meno mi ha convinto il suo compaesano (ndr: entrambi sono nati a Lecco) nonche' viceministro del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Roberto Castelli che si e' esibito piu' volte in show agghiaccianti di uomini di governo che parlano solo a favore della propria regione di appartenenza, sia in materia di turismo:

che non:

E' giusto allora che ciascun Italiano che vuole un'Italia unita, indaghi per scoprire se e' stato ingannato o se si e' responsabilmente distratto da un dovere che accomuna tutti quelli che la pensano come lui. Possibilmente presto. Prima che l'Italia decida di togliersi la scarpa.

Porto morente

giovedì 18 febbraio 2010

Ho iniziato da poco ha leggere 'Gomorra', il libro che ha lanciato e consacrato il giornalista Roberto Saviano come scrittore. Il primo capitolo di questo libro parla del porto di Napoli e della sorprendente rapidita' con cui le merci che arrivano dalla Cina vengono smistate e fatte partire per le piu' disparate destinazioni d'Europa, eludendo di fatto ogni controllo da parte della Guardia di Finanza.

In questo periodo, mi sono trovato spesso a leggere articoli sulle vicende umane, prima ancora che economiche, che stanno avendo luogo in un altro grande porto del Sud. Mi riferisco al porto di Gioia Tauro.

Qualcuno si chiedera' dove mai posso aver trovato cosi' tanto materiale sul porto di Gioia Tauro. Un posto di quel Sud dimenticato dall'economia che conta. Oltretutto in un momento dove sono tante altre - e magari anche piu' rilevanti - le realta' lavorative dove la crisi sta lasciando il segno. Voglio limitarmi a dire solo che non sto andando a cercare alcuno straccio di notizia sul porto, ma semplicemente sto leggendo da fonti che riescono a dar voce a situazioni che sono degne di essere rese note all'opinione pubblica, e non soltanto ad avvenimenti che il ceto medio si aspetta di sentire. E questo continuo tam-tam - unito anche al fatto che il porto e' collegato saldamente alle mie origini - ha finito per pesare sulla mia coscienza e farmi di conseguenza riflettere in merito. Il primo capitolo di Gomorra poi, mi ha suscitato un raffronto tra queste realta' colpite dal cancro dell'illegalita'.

Penso che ci sia una differenza enorme tra Napoli e Gioia Tauro. Se mai anche a Gioia Tauro si fosse innescato un meccanismo di elusione come quello che avviene a Napoli secondo quanto raccontato da Roberto Saviano, non ci sarebbe via di fuga dalla terra ferma per le merci che arrivano dalla Cina e dal porto intraprendono la strada che giunge all'acquirente finale. Si perche' una delle grandi disattenzioni della classe politica verso questo lembo di Calabria, e' proprio l'idea che attorno al porto si potessero sviluppare attivita' che avrebbero rilanciato l'economia calabrese, senza sforzo alcuno e, nella fattispecie, senza nemmeno predisporlo di strutture di comunicazione idonee, che favorissero gli scambi commerciali.

D'altra parte, Gioia Tauro era nato come porto di transhipment. Ma nella vasta area industriale che si sviluppa tutt'intorno, doveva realizzarsi un sistema di imprese che poteva dare impiego a decine di migliaia di persone. Di Calabresi e non solo, che avrebbero potuto finalmente veder compiuta la chimera di vivere piu' dignitosamente e nel rispetto della legalita'.

Come porto di transhipment, Gioia Tauro era diventato il primo bacino del Mediterraneo per numero di container movimentati all'anno. E sull'onda di questi risultati, si sarebbe dovuto continuare ad iniettare iniziative finalizzate a consacrare il raggiungimento di un obiettivo mai centrato.

E invece no. Anche dal Nord sono venuti a succhiare le mammelle del parlamento di Bruxelles, per poi darsela a gambe levate. Non si sa se per paura della malavita o perche' erano loro i malavitosi. O forse solo perche' la politica e' stata miope al punto che non ha capito che doveva costruirci le infrastrutture intorno. La Salerno-Reggio Calabria, un vero collegamento ferroviario con la vicina linea ferroviaria e l'ammodernamento della stessa. Altre banchine e politiche di concessione che attirassero investimenti stranieri. Come pure l'ipotesi del porto franco era un'idea che ben si addiceva a Gioia Tauro e che la politica non ha mai preso seriamente in considerazione.

Oggi il sogno sembra definitivamente tramontato. La Medcenter Container Terminal (societa' del gruppo Contship Italia) ha annunciato il licenziamento di 450 dei poco piu' di mille dipendenti che lavorano nel porto di Gioia Tauro. Un consiglio regionale con il piu' alto numero di consiglieri inquisiti (tre per mafia e quattro per l'inchiesta 'Why Not' di Luigi de Magistris) e un governo con otto ministri tra Lombardia e Veneto, non sono sicuramente di buon auspicio per l'inversione di rotta, per quanto la ripresa economica possa essere vicina.

Rosarno e gli immigrati

sabato 09 gennaio 2010

Rosarno non e' l'unico posto in cui le condizioni sociali di immigrati extracomunitari africani che vengono in Italia per migliorare il proprio tenore di vita, sono drammatiche. E la cronaca potrebbe darci molti esempi a conferma di cio'. E' gia' successo anche che si sono verificati dei fatti di violenza laddove le condizioni di vita di questa gente si dimostrata essere realmente precaria. Ma Rosarno e' un caso che merita una trattazione a parte.

Queste disparate colonie di extracomunitari arrivano a Rosarno per un ben individuato periodo dell'anno e per delle altrettante chiare ragioni. Tale periodo corrisponde con la raccolta degli agrumi (mandarini prima e arance poi), di cui la Piana di Gioia Tauro e' ricca, e la ragione e' la possibilita' di lavorare in questa attivita' per trarne sostentamento.

Penso che il movente della 'questione di Rosarno' possa essere individuato nei disagi dei Rosarnesi. Disagi che non hanno niente a che fare con l'intolleranza in se'. Anche se la prima cosa che viene da pensare e' proprio una vicenda di razzismo. E non nego di averlo pensato anch'io. Io che sono nato e ho vissuto quei posti e che spesso ho pensato erronamente che un Calabrese possa essere razzista con un Africano almeno quanto un leghista possa esserlo con un Calabrese.

Ma la realta' e' tutt'altra, appunto. E' da ricercarsi nella fragilita' dell'economia agricola di cui vive buona parte della Calabria. Una fragilita' che viene sempre piu' alla luce man mano che i tempi delle 'vacche grasse' tendono a rimanere solo un ricordo di un tempo in cui si e' cristallizzata una mentalita' assistenzialistica che oggi rappresenta una grande trappola nelle realta' come quelle di Rosarno.

Faro' riferimento a piccole aziende a conduzione familiare perche' realmente da quelle parti non ci sono grandi realta' imprenditoriali che lavorano nel settore e, in definitiva, tali sono la maggior parte delle imprese che operano in questo contesto.

Le arance non sono mai stato un affare per coloro che le producono (ma, sono da ritenersi senz'altro una fortuna per tali persone, rappresentando una fonte di sostentamento che li ha verosimilmente preservati dall'emigrazione). In sostanza, la produzione e' stata sempre cosi' elevata che se tutte le arance prodotte venissero immesse sul mercato, le arance avrebbero prezzo pari a zero. Per non mortificare questo mercato lo stato, attraverso l'AGEA (AGenzia per le Erogazioni in Agricoltura , un tempo nota come AIMA - Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo), interviene con delle politiche che prevedono di dare un contributo agli imprenditori per le arance raccolte, quando il mercato e' saturo. Chiaramente il contributo che lo stato decide non deve essere tanto alto da incentivare gli imprenditori a produrre ulteriori quantita' di arance, ne' tanto basso da indurre tante aziende agricole alla chiusura.

Fin quando dalle mie parti c'era la manodopera locale disposta a lavorare negli agrumeti per la racconta delle arance per una paga che permetteva anche all'imprenditore di trarci anche un piccolo reddito, il sistema funzionava abbastanza bene, garantendo delle ricchezze accettabili alla popolazione. Nel tempo, pero', lo stato ha sempre pagato meno le quote per le arance acquisite come pure sempre meno gente e' disposta a lavorare nella raccolta degli agrumi per retribuzioni che si sono dimostrate sempre piu' inadeguate.

Ecco che, in questo contesto, propizia si e' rivelata la presenza degli extracomunitari Africani che sicuramente - venendo da paesi molto piu' poveri della Calabria - non avrebbero rifiutato lavori di questo tipo per paghe che - agli occhi loro - erano dignitose.

Oggi gli onesti imprenditori agricoli calabresi non riescono a fare reddito da queste attivita'. Men che meno hanno la possibilita' di rendere dignitose le condizioni di vita dei poveri extracomunitari che vengono a guadagnarsi da vivere onestamente negli agrumeti di Rosarno.

L'impossibilta' (...) di avere voce attraverso chi li rappresenta che e' causa di una pressione sugli extracomunitari. E diventa, a sua volta, la causa di una rivolta che i media indicano frettolosamente come un rigurgito razzista della popolazione di Rosarno.

E non fanno bene nemmeno quando additano la 'ndrangheta come altra possibile causa di tale situazione di degrado, perche' allontanano l'opinione comune dal pensare che la classe politica calabrese e nazionale possa avere delle responsabilita' in questa faccenda.

In sostanza, ci sono sicuramente delle responsabilita', che coinvolgono i cittadini disonesti che si approfittano delle disgrazie di queste persone venute in Italia a riappropriarsi della dignita' di esseri umani. Ma anche e soprattutto le istituzioni che non potevano non sapere quali erano e sono le condizioni di questo lembo di Calabria. Se ogni cittadino deve sottostare alla locuzione 'La legge non ammette ignoranza' perche' mai le istituzioni italiane possono sistematicamente continuare a ignorare che le leggi non vengono applicate? Perche' chi ha responsabilita' dirette e ha il potere di evitare tali fenomeni di bestialita' non paga il prezzo di non averli saputo prevenire?

Insanita'

martedì 10 novembre 2009

Se c'e' una puntata di Report che non sono riuscito a dimenticare e' quella intitolata La cura. E ho sempre tenuto ben saldo in mente che avrei dovuto commentarla nel mio blog.

In breve, si parla di sprechi babilonici e di furti incommensurabili, che nessun cittadino che non si senta implicato in questo malaffare dovrebbe permettere, a costo di dover lasciare i propri affetti, e imbracciare le armi per andare a scovare questi impostori e parassiti che vivono alle spalle della popolazione onesta.

Ma quel che rende questo quadro degno di essere paragonato ad eventi molto spiacevoli della storia dell'uomo, e' che in molti contesti - specie, guarda caso, quelli in cui si e' molti impegnati a non perdere di vista il business che ruota intorno alla sanita' - si puo' morire anche in tenera eta', per superficialita' inammissibili.

Ognuna delle due motivazioni e' terribile dal mio punto di vista, ma viste entrambi nel loro insieme come il problema della sanita' in Italia, diventano inconcepibili. Proprio per questo, quindi, ne parlero' come due problemi a se' stanti.

Forse molte persone - come me - non ci arrivano, ma in tutta franchezza non riesco a capire se e' piu' conveniente sprecare purche' si spenda oppure se e' meglio spendere il giusto a costo di non spendere tanto.

Limitando il discorso alle nostre tasche, penso che nemmeno le logiche del consumismo piu' sfrenato abbracciano a pieno la prima affermazione, e che la seconda e' una asserzione vera, specie da un punto di vista soggettivo. Quello che non si riesce a realizzare e' come cio' si capovolga se si parla di spesa pubblica. Sarebbe bello quindi se qualcuno riuscisse a dimostrare che, in un contesto cosi' ampio, quale quello della sanita', il primo teorema sia quello vero.

Allora risulterebbe giustificato il proliferare di attivita' illecite attorno alla sanita'. Dovremmo anche fare un plauso a quel medico che apre la puntata La cura di Report che, con la complicita' di una infermiera, fa approvigionamenti di materiale sanitario dentro clinica Santa Rita di Milano, per poi usarlo per la sua libera professione (non voglio entrare in merito al fatto che lo stesso medico e' protagonista di un conflitto di interessi piu' che evidente, che ha degli effetti benefici per l'attivita' privata e dei riflessi negativi nell'attivita' pubblica). Come dovremmo farlo al responsabile degli acquisti (prima del commissariamento del 2006, a seguito dell'omicidio del primario Francesco Fortugno) dell'ASL 9 di Locri, che compra scatole di cerotti a prezzi che arrivano fino a 3000 euro al pezzo oppure compra delle protesi testicolari e peniali (i cui impianti sono rarissimi) a prezzi da capogiro (si parla di ricarichi sul prezzo di mercato del 900 per cento). Protesi che tra l'altro non sono state mai ricevute dall'acquirente. Sembra evidente come quest'ultimo sia stato solo un modo per favorire qualche azienda distributrice di questi prodotti. Sicuramente contraccambiato da qualche regalo per le persone compiacenti. Ma se lo scopo e' spendere - a prescindere dallo spreco - ben venga.

Di sprechi, ce ne sono tanti altri che sono bene evidenziati nella puntata La cura di Report. Anche di quelli che non si potranno mai condannare perche' legalmente non fanno una grinza. E non c'e' nemmeno distinzione di tendenza politica che sia caratterizzante per gli sprechi. Per esempio, la Regione Calabria (insieme ad altri enti, tra cui l'Universita' degli Studi Magna Grecia di Catanzaro) nel 2004 ha costituito la Fondazione Tommaso Campanella. Una fondazione di diritto privato (quindi, difatti, un ente privato (*)) ma i cui finzanziamenti provengono, per la somma ragguardevole di 50 milioni di euro l'anno, dalla Regione Calabria.

Inizialmente, lo statuto prevedeva il finanziamento della fondazione da parte della regione, fino al 2007. Tuttavia, visto che l'inizio dell'attivita' si e' protratto fino al 2006, tuttora la Calabria non ha smesso di finanziare questa struttura. Questo finanziamento pubblico cessera' allorquando la fondazione ricevera' il riconoscimento come IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) da parte del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Da quel momento, infatti, l'ente privato non avra' piu' bisogno dei soldi del fondo sanitario della Regione Calabria, in quanto sara' finanziato direttamente dal ministero per produrre brevetti sanitari. E questa non e' assolutamente una bella cosa visto che la fondazione, e piu' in generale il COE (Centro oncologico di eccellenza cosi' Anselmo Torchia - presidente della Fondazione Tommaso Campanella - fa riferimento al polo oncologico che la fondazione gestisce interamente) e' stato messo in piedi soprattutto con il denaro (o debiti, che sempre soldi sono!) dei Calabresi. Alla fine, invece, ai Calabresi restera' solo una struttura privata (magari 'convenzionata', come e' tipico in Calabria) che tocchera' pagare ancora una volta per riceverne le cure.

Insomma, ho l'impressione che questa maestosa opera sia nata piu' per gli interessi di classi ristrette che non per il bene della collettivita'. Una mannaia sulla testa dei Calabresi che prima pagano l'universita' per raggiungere i risultati che serviranno alla fondazione per ottenere il riconoscimento di IRCCS. Quindi, finanziano l'ente che eroghera' il servizio. E, infine, continueranno a pagare per ricevere il servizio. Per inciso, quindi, ai Calabresi poco cambiera' se e quando la fondazione sara' qualificata come IRCCS.

Sta di fatto che al momento, per incapacita' della classe dirigente del polo oncologico oppure della classe politica calabrese, o per intrecci politici di cui non ci si riesce nemmeno a fare una vaga idea da cittadini comuni, la fondazione non ha ancora ricevuto il riconoscimento di IRCCS.

Non solo. Affiorano gia' - a pochi anni dalla sua costituzione - dei sospetti riguardo la conduzione amministrativa non del tutto impeccabile. Come si puo' chiaramente evincere da un interessantissimo articolo che ho trovato rovistando nella rete (La Fondazione Campanella fa 90. Di danno erariale e di indagati, che fa riferimento anche ad un post altrettanto interessante sulle origini della fondazione - Fondazione Campanella: pane, chemio e politica).

Per quanto riguarda l'operato del polo, sebbene il governatore Agazio Loiero lo presenti come 'il fiore all'occhiello' della sanita' calabrese, Report mette in mostra come a dirigerlo ci siano delle persone (**) disinteressate del tutto sull'avanzamento delle attivita' di ricerca che si svolgono al suo interno, e come oltretutto la colossale struttura che ospita il polo antitumori (ndr: il policlinico Mater Domini) e' nettamente sottoutilizzata rispetto alle sue potenzialita'. Ma questo di certo non entra in conflitto con il 'teorema degli sprechi'. Anzi, disinteressandosi deliberatamente del funzionamento della struttura, si ha piu' tempo per spendere, incuranti di quello che puo' essere veramente necessario e quello che no.

Rimanendo ancora in Calabria, il caso piu' emblematico di sprechi nella sanita' e' senz'altro il numero di strutture ospedaliere della Piana di Gioia Tauro: sette ospedali per cento posti letto su una superficie di 500 chilometri quadrati e abitata da centottantamila persone. A parte la densita' troppo alta di posti letto per abitante, il vero dato che salta all'occhio nella Piana di Gioia Tauro e' l'elevato numero di strutture ospedaliere tutte incredibilmente vicine. Tutte risorse che si replicano (o meglio che si dovrebbero replicare): strumenti, strutture, professionalita' e cosi' via. Ma non puo' passare inosservata l'elevata spesa sostenuta per queste strutture che appare ancora piu' esorbitante se la si contrappone allo stato di degrado in cui queste strutture versano. Come pure l'elevato numero di figure sanitarie per posto letto. Ma nella logica dello spreco, anche questo quadro tornerebbe molto utile da un punto di vista dell'economia.

Ma gli sprechi non sono solo una peculiarita' calabrese. Voglio citare a tal proposito, anche un caso che e' spudoratamente venuto alla luce in seno allo scandalo delle escort in cui e' stato coinvolto il presidente del consiglio e un certo Gianpaolo Tarantini. Nella puntata di Annozero del 2 ottobre intitolata No Gianpi, no party, in cui ha partecipato una delle escort (ndr: Patrizia D'Addario), si e' cercato di portare l'attenzione su un aspetto che purtroppo non fa tanto audience quanto gli scandali della vita privata di un personaggio politico, ma evidentemente senza tanto successo. Si e' parlato della strana correlazione tra l'attivita' di Gianpaolo Tarantini come procacciatore di giovani donne da portare a Palazzo Grazioli, e l'aumento sproporzionato della spesa per protesi da parte della sanita' pugliese. In particolare, si e' parlato di un incremento del 243% della spesa per protesi, rispetto al 2001 (contro un incremento nazionale nello stesso periodo che si assesta al 51%). Il tutto avendo preventivamente presentato Gianpaolo Tarantini come manager di una azienda (ereditata dal padre) che rivende protesi. Considerando trascurabile l'aspetto delle escort, e tralasciando le cause dell'impennata del fabbisogno di protesi da parte della Puglia, quello che conta e' ancora, secondo l'asserzione sugli sprechi, che si e' speso tanto.

Senza interferire con l'assunta validita' del sistema degli sprechi, pero' c'e' da dire che non e' passata inosservata l'anomalia dell'impennata della vendita di protesi da parte della societa' di Gianpaolo Tarantini, alla Guardia di Finanza (Quell'anomalo boom di protesi) la quale ha avviato un'inchiesta.

Insomma, alla fine di questa lunga carrellata di esempi di sprechi degli ultimi tempi nella sanita' italiana (che lasciano solo presagire quanto diffusa sia questa pratica nel settore), e' chiaro che non posso fare alcuna deduzione sull'utilita' o meno dello sperpero. Tuttavia, emerge da ciascuno di questi casi come:


  • Dietro ogni spreco ci siano elementi che fanno sospettare corruzione delle persone che curano il servizio sanitario per il cittadino.

  • Lo spreco di denaro pubblico, nella maggior parte dei casi, favorisce una ristretta classe di persone e quindi difatti il denaro disperso non rientra in modo equo nelle tasche dei contribuenti, accentuando disparita' sociali.

D'altra parte, l'erogazione continua di fondi da parte degli enti preposti per la sanita', che in buona percentuale risultano dispersi in spese inutili, causa ammanchi che si traducono in debiti per tutti i cittadini italiani. Ad esempio, sempre nella puntata La cura di Report, Milena Gabanelli riassume il deficit della Regione Calabria in 2 miliardi e 160 milioni di euro che verrano pagati da tutte le regioni italiane, e quindi da tutti i cittadini.

C'e' un secondo aspetto della sanita' che interessa ciascuno di noi da un punto di vista ancora piu' profondo. Perche' si dovrebbe staccare completamente dal denaro. Mi riferisco all'obiettivo unico che la sanita' dovrebbe perseguire, ovvero il benessere dell'individuo.

La profondita' di questo aspetto e' tale perche' c'e' in ballo la vita, che e' il bene piu' prezioso per l'uomo. E diventa ancora piu' profondo se si pensa che la sanita' deve puntare a riconsegnare all'uomo quella dignita' che brutte malattie e infortunui talvolta portano via.

Se io qua mi soffermo a dire che spesso non e' cosi', e' perche' la cronaca ci porta molti esempi che ci fanno capire che i sanitari sono spesso distolti dagli obiettivi che nativamente dovrebbero perseguire.

E non voglio essere il solito populista che punta il dito contro questo e contro quello ogni volta che si verifica qualcosa nella sanita' che tocca ognuno di noi dal di dentro. D'altronde, la sanita' la fanno delle persone e oltretutto si basa su studi scentifici (e le relative esperienze) i cui confini di conoscenza sono ancora lontani dal poter essere immaginati dalla mente di un essere umano.

Non e' normale, ad esempio, che in Calabria nell'agosto scorso c'e' stata una escalation di incidenti che ha causato 5 vittime in corsia. Come si puo' leggere dal post Malasanita'. Aumentano morti sospette in Calabria. Deceduto ragazzo per appendicectomia, si tratta di casi per cui si fa veramente fatica a credere che si possa esser morti cosi' oggi che la chirurgia fa miracoli.

A rendere piu' incredibile il tutto e' l'eta' dei martiri della sanita'. Si pensi alla mamma morta durante un parto in una clinica privata di Cinquefrondi, al ragazzo morto per un attacco di appendicite acuta, alla bambina di otto anni morta all'ospedale di Cetraro e a quella di cinque anni morta a Locri.

I protocolli medici sono uguali dappertutto sul territorio italiano. Cambiano le persone che operano presso le varie strutture. Ma cambiano anche le strutture. E qui tutto tornerebbe al fattore denaro. Ma prima di ritornare su questo elemento di cui l'uomo riesce sempre meno a tirarsi via di dosso per lasciar trasparire la sua moralita', penso che ognuno deve riflettere sulle proprie responsabilita' quando esercita una professione. Tanto, ma tanto di piu', quando in ballo ci sono delle vite umane. E si dovrebbe arrivare al punto in cui una sfida professionale si accetta o anche si rifiuta, qualunque sia il fattore che possa pregiudicare il successo della sfida.

Si diceva poc'anzi che i soldi possono deturpare l'etica delle figure impegnate nella sanita', talvolta compromettendo irrimediabilmente il raggiungimento del benessere dell'uomo che la sanita' si prefigge. L'assurda morte della giovane Federica Montaleone a causa di un blackout durante un intervento chirurgico all'ospedale di Vibo Valentia, potrebbe essere un esempio lampante di quanto appena asserito. Che non sia questo un macabro sabotaggio della carriera dell'allora direttore generale dell'ASL 8 di Vibo Valentia, Francesco Talarico? Diversamente, dimettendosi subito dopo l'accaduto (nonostante la citazione in giudizio per l'inchiesta aperta su questo tragico episodio) per accettare l'incarico di direttore amministrativo della Fondazione Tommaso Campanella, avrebbe dimostrato di essere la prima persona che nella sanita' non ci potrebbe stare, in quanto priva di moralita'.

C'e' da dire, pero', che Francesco Talarico ha poi dato prova di avere una coscienza dimettendosi da direttore della fondazione allorquando e' stato rinviato a giudizio nell'ambito della stessa inchiesta (Si dimette il DG Talarico).

Ma questi aspetti qua non sono una esclusiva calabrese. Ritornando alla puntata La cura di Report, si e' parlato anche la' della clinica degli orrori. Questo e' il nome attribuito alla clinica Santa Rita di Milano dopo che e' scoppiato lo scandalo degli interventi inutili che venivano fatti con l'unico scopo di elevare il numero di prestazioni fatte dalla clinica e, cosi' facendo, aumentare i compensi ricevuti dalla Regione Lombardia. A capo di questa squadra di killer c'era una tale Pier Paolo Brega Massone, attualmente in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dalla crudelta'. E si, perche' alcuni degli anziani pazienti ci hanno anche rimesso la vita prendendo parte incosapevolmente a questo gioco al massacro.

E proprio perche' si trattava di anziane persone che la cosa mi ha mosso particolarmente la coscienza. Ricollegandomi a quanto detto prima, la sanita' dovrebbe ridare dignita' alle persone che sfortunamente tendono a perderla, per cercare di dare un senso piu' profondo anche a quelle vite. E questo esclude che bisogna togliere la dignita' a chi se l'e' sudata per una vita e adesso e' indifeso di fronte alla malvagita' di persone senza scrupoli. Un taglio sulla pelle, un intervento importante e' un segno che resta. Tanto piu' rimane quanto meno motivi per giustificarlo ci sono. Tanto piu' il gesto diviene una mostruosita'.

Quindi, anche se ho trattato separatamente due punti dolenti della sanita' italiana, non e' rinnegabile che c'e' una causa comune che li rende tali: il denaro. Sembrerebbe che in ciascuno degli aspetti il denaro gioca un ruolo differente, visto che prima si parla di sprechi mentre nell'altra si parla far soldi. Tuttavia, anche quando si sperpera denaro in realta' c'e' sempre un fine che consiste nel veicolare i soldi verso una destinazione ben chiara.

Purtroppo, pero' allora ci accorgiamo che il problema da questo punto di vista e' globale. Proprio in questi giorni si sta incessantemente parlando di pandemia causata dal diffondersi del virus influenzale A/H1N1. Il virus si e' diffuso da marzo 2009 a partire dal Messico in tutto il mondo, e ha origine in grossi allevamenti ('lager' come li definisce la giornalista Monica Maggioni nella puntata di Speciale TG1 del primo novembre) di suini di proprieta' della Smithfield Corporation.

Non so se mai questa multinazionale sia stata chiamata a rispondere delle sue responsabilita', visto le presunte origini da cui si e' scatenato un simile putiferio. Ma e' certo che a multinazionali del settore si deve la ridenominazione dell'influenza suina in influenza A/H1N1. Continuarla a chiamare influenza suina avrebbe ovviamente causato non pochi danni al settore.

Del resto, si sospetta che dietro questa impunita' ci sia chi ha deciso piuttosto di cavalcare l'onda. Semplicemente, perche' ci sarebbero stati dei buoni margini di speculazione. Prima fra tutti c'e' la lobby delle grandi case farmaceutiche mondiali ovvero Big Pharma (***) (A tal proposito, e' molto interessante leggere l'articolo Virus A, affari d'oro per Big Pharma Il vaccino vale 10 miliardi di dollari).

Poi, a seguito, troviamo sicuramente il governo americano. La benedizione di Barack Obama a questa linea d'azione penso sia sostanzialmente dovuta ad una strategia per tirar su l'economia mondiale, e quindi anche quella americana, in un modo che in pratica si distingue dallo stile guerrafondaio del suo predecessore George Bush. D'altronde, una simile accondiscendenza gli avrebbe anche semplificato la vita nella sua politica interna. Forse la legge sulla sanita' che sta per essere approvata in America e' un tacito accordo tra l'oramai soddisfatta Big Pharma e il governo americano.

Gli U.S.A., con la loro influenza mondiale, non hanno impiegato molto a trascinarsi dietro i governi filoamericani e, cosi' facendo, tutti gli altri. Infine, naturalmente, anche i media hanno trovato in questo fenomeno una buona mucca da mungere. Ma in tutto cio', quello che e' certo e' che realmente l'influenza A e' solo una normale influenza che non colpisce ne' piu' ne' meno della classica influenza stagionale. Cio' e' chiaramente esposto nel servizio sulla pandemia del 9 novembre di Voyager, nel parere di un esperto dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'.

Una storia triste, anche questa. Se queste ipotesi sono verificate, rimangono tante speranze riposte nelle mani di un presidente nuovo, e un'unica grande delusione di tante e tante persone soggiogate per un unico e sporco scopo: il denaro. Peraltro, giocando su un aspetto, quale la salute, che gli esseri umani sono chiamati a preservare per dare maggior senso alla propria esistenza. Quale sarebbe la differenza tra questo approccio e la costrizione alle guerre di George Bush?

Dare il giusto rispetto al denaro come unica via per ritrovare il rispetto per le persone e' forse questa la giusta terapia per curare la sanita' malata.

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