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Impressioni di Parigi

domenica 11 novembre 2012

Ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento di fare un viaggio a Parigi. La pazienza e' stata premiata proprio nel momento in cui attorno a me 'Parigi' tornava ricorrentemente a proporsi nella mia quotidianita'. Dai libri, dalla televisione, dai discorsi con gli amici, da Internet. Tutto mi suggeriva Parigi. E quando mi e' stato proposto di passare un lungo fine settimana in questa splendida realta', non ho avuto esitazioni. E poi tutto mi lasciava presagire che era un momento propizio. Anche la stagione. La primavera ci avrebbe permesso di visitare questa citta' magari baciata dal candido sole di questo periodo dell'anno. E se poi non ci fosse stato, anche il grigio del cielo che tipicamente l'avvolge e la pioggia fine che la bagna, non avrebbe mutato il fascino, ma avrebbe cambiato in noi solo il modo di percepirlo.

L'arrivo all'aeroporto Charles De Gualle di Parigi mi ha fatto avvertire che tanta differenza con l'Italia poi non c'e'. Per prendere un biglietto della RER (Reseau Express Regional, i treni regionali che collegano i sobborghi al centro di Parigi) per arrivare a Gare du Nord, abbiamo fatto in pratica una coda che e' durata piu' del viaggio in aereo. Non solo perche' non c'erano macchinette automatiche per i biglietti della RER, ma anche perche' della decina di sportelli della biglietteria, solo uno era aperto.

Una volta fatto il biglietto, arriviamo facilmente a Gare du Nord e da li' ci incamminiamo verso il vicino albergo nella zona di Montmartre, cosi' chiamata perche' dominata dalla collina (Butte de Montmartre) sulla quale i romani decapitarono Saint-Denis. La zona visse momenti di fervore artistico durante la Belle Epoque, e comunque conserva un fascino immortale. Visto il richiamo turistico del quartiere ci eravamo illusi, quindi, che fosse accogliente e ospitale. Se non che ci accorgiamo presto di essere capitati nel sobborgo 'Maghreb' del quartiere. Un ambiente, all'apparenza, del tutto ostile e sudicio. E alla vista di cio' ho continuato ad elaborare nella mia mente i confronti con l'Italia.

Dopo esserci sistemati velocemente nelle stanze, ci siamo precipitati fuori per mettere qualcosa di pratico e sostanzioso sotto i denti. Per poi catapultarci verso la vicina place Pigalle. E nell'avvicinarci, arrivando dalla stazione metropolitana di Barbes Rochechouart, era un crescendo di luci e movimento. Una progressione di colori e la curiosita' del quartiere a luci rosse pian piano cominciava a materializzarsi. Quasi invitava ad entrare e a sbirciare cosa dentro ci fosse, ma forse erano i PR che stavano davanti al locale - per lo piu' gente dell'Est o Nordafricani - che infondevano in noi diffidenza e ci davano delle buone ragioni per andare dritto. Tuttavia, nessuno e' stato mai invadente e mai e' stato antipatico nel rapportarsi a noi. Ma la loro presenza sposava il preconcetto del malaffare che spesso si associa a queste etnie quando trovi di queste persone in determinati contesti.

La nostra passeggiata prosegue per boulevard de Clichy e ci fermiamo davanti al Moulin Rouge per dei doverosi scatti da portare indietro come ricordo. Sebbene qualcuno di noi ci avesse spudoratamente creduto di riuscire ad entrare vestendosi di un elegantissimo doppio petto, si e' dovuto irrevocabilmente ricredere visto il proibitivo prezzo del biglietto d'ingresso.

Al mattino e' stato pressocche' impossibile trovare nel nostro quartiere un cafe' tipico parigino. Uno di quelli con i tavolini all'aperto dove ti siedi e ti viene servito un cafe' creme e una brioche e ti confondi tra un Parigino e un turista. Abbiamo finito di fare una volta il giro del quartiere e abbiamo iniziato un secondo giro e alla fine abbiamo deciso di fermarci al bar di un simpaticissimo tunisino che faceva degli ottimi caffe' espresso e aveva dei dolci altrettanto buoni oltre ai croissant, tutti rigorosamente ed esageratamente carichi di burro, prodotti nell'annessa rosticceria a conduzione familiare. Di questo posto ne abbiamo fatto un ritrovo obbligatorio giornaliero, se non per il mattino quando partivamo per il nostro tour quotidiano, la sera quando arrivavamo, non solo per i prezzi onesti che aveva, ma soprattutto per la grande umanita' della gente che lo frequentava.

Dopo un appagante cafe' lounge e un enorme croissant con creme, attraversiamo il trafficatissimo hallesdi rue de la Chapelle, che si svolge sotto la soprelevata della linea della metro che in quel punto esce fuori dalle viscere di Parigi. Nella bolgia assistiamo ad un ammanettamento in diretta di un Islamico che aveva appena finito di fare a cazzotti con qualche suo simile. Ma non ci saremmo mai accorti di nulla, tant'e' la concitazione in quell'halles che lo fa per molti aspetti assomigliare al souq all'interno della medina di Marrakech.

A Garde du Nord facciamo il nostro abbonamento di tre giorni che per venti euro e settanta centesimi ci permettera' di muoverci in liberta' nell'intra-muros di Parigi con la metro o con gli autobus (di cui non ci siamo mai serviti). La nostra prima destinazione e' la Tour Eiffel. Alla sua visione ne rimaniamo stupiti dalle dimensioni ma non certo dall'aspetto. Ci rendiamo conto del perche' molti Parigini con spregio la chiamano l''asparago di ferro'. E forse la giornata grigia e dal freddo vento pungente che spira nei grandi spazi aperti che si aprono sotto essa, che ne ha amplificato questo aspetto inquietante. In tanti, tantissimi, comunque erano in fila per prendere gli ascensori che consentono di salire ad uno dei tre ripiani a cui e' permesso accedere. Noi deliberatamente abbiamo proseguito, attraversando il ponte e dirigendoci verso place du Trocadero.

E' impossibile non fermarsi davanti alle fontane e agli artistici giochi d'acqua dei Jardins du Trocadero. E ogni possibile angolatura e' diventata uno sfondo plausibile per le nostre foto. Salendo sulla balconata abbiamo invece potuto ammirare la vista sui sottostanti giardini e, oltre la Senna, la Tour Eiffel, il retrostante Parc du Champ de Mars e un ampio panorama della citta'.

Cartina alla mano, in poche decine di minuti siamo arrivati all'Arc de Triomphe, percorrendo avenue Kleber, un elegante e raffinato boulevard costellato da boutique di lusso frequentate necessariamente da una clientela altolocata, che partono a raggera da place du Trocadero. L'enorme rotonda che l'accerchia e il grande traffico che la stessa rotonda convoglia, rendono praticamente impossibile l'attraversamento pedonale. Tuttavia un lungo sottopasso consente di raggiungere il mausoleo che difatti e' una meta molto popolare tra i visitatori di Parigi. D'altra parte questa enorme struttura posta al centro di place de Charles De Gualle, voluta da Napoleone per celebrare le sue conquiste, corrisponde al nostro Altare della Patria. Ai suoi piedi infatti brucia ininterrottamente una fiamma accesa dal 1919 in memoria di tutti i caduti per la patria.

Ci incamminiamo quindi per avenue des Champes Elysee, immettendoci difatti in quella che viene chiamata Voie Triomphale o Axe Historique ('Asse Storico') che e' la direttrice che attraversa la citta' da sud-est a nord-ovest, fino alla Grande Arche nel quartiere della Defense (*). Percorriamo un bel tratto quando decidiamo di fermarci a pranzo. Poi riprendiamo ma e' difficile riuscire a percorrere tutta la via e per la lunghezza e per l'elevata concentrazione di negozi di griffe che difficilmente si riesce a passare davanti senza fermarsi catturati dalle accattivanti vetrine o solo per il risalto del marchio.

Fino a quando non giungiamo al Rond Point Champ Elysee Marcel Dassault. Da qui il boulevard si immerge nel verde e i tratti pedonali ai suoi lati diventano ciotolosi. Prima di arrivare a place de la Concorde, ci lasciamo alla nostra destra il Grand Palais costruito, con la sua caratteristica copertura in vetro in stile Art Noveau in occasione dell'Esposizione Universale del 1900, e l'antistante statua bronzea di Charles De Gualle a cavallo. Sullo sfondo, invece, proseguendo con lo sguardo verso la Senna, il bellissimo pont Alexandre III, costeggiato da sfarzosissime decorazioni dorate.

Arrivati a place de la Concorde facciamo una leggera digressione verso place de la Madeleine per visitare l'Eglise de la Madeleine, la chiesa neoclassica costruita al centro della piazza che ha l'aria di un tempio dell'antica grecia. La freddezza dell'architettura non ci ispira al punto di entrare al suo interno. Risaliamo comunque l'antistante scalinata che permette di catturare con lo sguardo tutta la prestigiosa rue Royal, place de la Concorde e oltre, fino all'Assemblee Nationale, l'edificio che ospita la camera bassa del parlamento francese.

Lungo rue Royale ci firmiamo per scattare una foto davanti al Maxim's, il locale molto frequentato da artisti nella Parigi della Belle Epoque. Ritorniamo cosi' in place de la Concorde. Da' un brivido pensare il significato di questa grande piazza per Parigi e per i Francesi tutti. Infatti, place de la Concorde, adornata lateralmente da otto statue muliebri che rappresentano le citta' piu' importanti alla fine del XVIII secolo, e al centro dall'obelisco di granito rosa con la punta dorata, donato dall'Egitto alla Francia nel 1831, e' il luogo dove sono state eseguite le decapitazioni di Luigi XVI e, a seguire, della regina Maria Antonietta, di Danton e di Robespierre. Sul lato nordorientale della piazza si affacciano due degli hotel storicamente piu' prestigiosi di Parigi: Hotel de la Marine e Hotel de Crillon.

Attraversiamo gli enormi cancelli che ci permettono di entrare nel Jardin des Tuileries, lasciandoci alla nostra destra l'Orangerie e alla nostra sinistra il Jeu de Paume. Quest'ultimo e' il palazzo cosi' chiamato perche' l'antistante spazio era destinato al gioco della pallacorda e ospitava un tempo una prestigiosa collezione di quadri impressionisti, adesso spostata al Musee d'Orsay. Mentre l'Orangerie ospita una non meno importante collezione impressionista, notevolmente impreziosita dalla presenza delle due camere ovali sulle cui pareti e' apposto Le ninfee di Monet.

L'entrata nei giardini ci restituisce una sensazione di tranquillita' del tutto benefica dopo i diversi chilometri fin la' percorsi. E noi l'assecondiamo totalmente sedendoci sulle pesanti sedie di acciaio dipinte di verde ai lati della enorme vasca circolare che si incontra poco dopo l'ingresso nel giardino. Anche non leggendolo e avendo visto i giardini di Versailles si puo' facilmente percepire che i loro progetti hanno molto in comune, se non altro nello stile adottato. Difatti, a disegnare questo spazio verde nel centro di Parigi e' stato Andre Le Notre, che progetto' anche i giardini di Varsailles.

Alla fine dei giardini, prima di arrivare a place du Carrousel, si erge l'Arc de Triomphe du Carrousel, un arco di dimensioni ridotte rispetto all'Arc de Triomphe di place de Charles De Gualle, ma comunque molto suggestivo. E suggestiona ancora di piu' leggere sulla nostra guida che Napoleone lo volle per celebrare le vittorie delle battaglie del 1805 e che al posto della quadriga che oggi e' posta sopra l'arco, che segna il ritorno dei Borboni sul trono di Francia nel 1828, quando fu costruito, al suo posto un tempo c'erano i Cavalli di San Marco.

Davanti a noi e' gia' perfettamente visibile la Grande Pyramide, la struttura di forma piramidale in vetro alta 21 metri al centro del Cour Carree ('Cortile Quadrato'). Attorno al Cour Carree si sviluppano le tre sezioni del Louvre (Ala Denon, Ala Sully e Ala Richelieu). Sotto questo spiazzo, invece, accessibile dalle scale mobili poste all'interno della Grande Pyramide, si estende la Hall Napoleon, che e' la sezione del Louvre ad accesso libero.

Il fulcro della Hall Napoleon e' il Carrousel du Louvre, il centro commerciale che ospita la controparte antitetica della Grande Pyramide, ovvero la Pyramide Inversee, che e' una piramide di dimensioni piu' ridotte che sviluppa con la punta verso il basso, con il vertice che giunge fino a un metro e mezzo di distanza dal suolo della Hall Napoleon.

Il fascino dato da Dan Brown a questo pezzo di Louvre ne Il Codice Da Vinci e' completamente sminuito da bambini estasiati da questa particolare struttura e dalla curiosita' che suscita. E nulla sono riuscito a pronunciare dopo questa visione relativamente al commento 'Una ferita sulla faccia di Parigi' del commissario Fache nelle prime pagine del romanzo, riferendosi a questo complesso architettonico in stile neomoderno, progettato dall'architetto americano di ori­gine cinese I.M. Pei, voluto dall'allora presidente Mitterand. Realmente, qualunque cosa avrei detto, avrei sbagliato. Proprio come il professor Langdon, protagonista del romanzo.

Giriamo velocemente nel Carrousel du Louvre, soffermandoci negli spazi piu' interessanti aperti a tutti, come la sala che ospita la mostra sulla storia del museo, ma poi andiamo via. La visita delle gallerie del Louvre non era nei miei piani. Era anche tardi ed eravamo stanchi. Prendiamo la metropolitana dalla stazione sotto rue de Rivoli e cosi' si conclude questa giornata, senza nemmeno esser riuscito ad organizzare per nulla la gita fuoriporta a Giverny

Sono riuscito a malapena a capire che sarei dovuto uscire di buon mattino dall'albergo e raggiungere la stazione di Gare de l'Est. Da li' poi prendere un RER che mi avrebbe portato a Vernon e poi, se avessi avuto un po' di fortuna, avrei trovato un autobus turistico che mi avrebbe portato fino a Giverny.

Una follia pensavo tra me e me al mattino seguente uscendo dall'albergo vagando per le strade di Parigi, baciate da uno splendido sole che tuttavia faceva fatica a riscaldare l'aria gelida delle prime ore dell'alba. Ma d'altronde era alta la voglia di non sprecare una giornata di questa breve parentesi parigina nel caos inutile di Disneyland, nonostante l'ottima compagnia.

La mia audacia e' stata presto premiata visto che inaspettatamente al centro informazioni della stazione mi hanno subito dato un depliant con il ricco programma previsto per consentire di visitare il paesino che per tanto tempo ha ospitato e ispirato il grande maestro dell'Impressionismo, Claude Monet. E la cosa mi ha iniettato una fiducia che e' perdurata in me per tutta la giornata, trasformandosi in eccitazione e forse tanto di piu'. Avevo scelto una cosa che mi piaceva, avevo seguito il mio cuore e tutto si e' mosso perche' si verificasse quello che avevo immaginato per quella giornata.

Mi sono accorto presto che a Giverny ci stava per andare un fiume di persone. Mentre realizzo cio', sul comodissimo treno che attraversa silenziosamente e quasi sembra planare sul Lungosenna, fuori da Parigi, in direzione della Bassa Normandia, immerso in un paesaggio da favola, il cielo comincia a velarsi di un sottile strato di nubi alte. Quanto basta per non poter vedere i fiori del Jardin de l'Eau irradiati dai raggi del sole, che sicuramente avrebbero ancora di piu' accentuato la vivacita' dei colori. Ma forse sarebbe stato troppo. Avrei potuto rimanerci imprigionato con il cuore in quel giardino. Una sorta di sensazione di mal d'Africa proiettata nei quadri di Monet, vissuta in un attimo senza tempo.

Alla stazione dei treni di Vernon mi precipito subito alla ricerca della fermata degli autobus per Giverny, ma e' subito fuori. Con prepotenza sono il primo nella fila per salire sull'autobus. Per scongiurare ogni lontana possibilita' di aspettare un altro turno e perdere cosi' del tempo prezioso che avrei potuto dedicare alla mia escursione unica. Dal parcheggio poco fuori dal grazioso borgo di Giverny, raggiungiamo a piedi in pochi minuti la casa-museo di Monet lungo la via principale del paese. Ma la fila per entrare e' gia' lunghissima. E l'unica soluzione e' sorbirsi un'ora e passa di coda. Dopo aver comprato il biglietto per sette euro, si e' proiettati subito nell'anticamera del tour, che e' costituito da uno stanzone luminosissimo dove sono in vendita i souvenir carichi di tutti quei colori che hanno caratterizzato la vita di Monet.

L'uscita da' sui giardini antistanti alla famosa casa dai colori pastello rosa e verde. Anche i bagni per i vistatori sono adornati da riproduzioni di quadri di Monet e, dopo aver apprezzato questo particolare e aver respirato profondamente l'aria e i colori del giardino fiorito, mi appropinquo alla visita della casa lungo un percorso guidato che attraversa le camere piu' significative. Una novita' piacevole e' per me il gusto del pittore anche nel creare il suo habitat dentro le quattro mura. Ricca di colori pastello ognuno sapientemente accostato ad ogni ambiente della casa. Senza immaginarmelo prima, e' stato cosi' che un lungo lasso di tempo di questa visita l'ho trascorso a deliziarmi di questo particolare totalmente a me non noto.

Ogni spostamento e' incredibilmente placido e ogni cosa che in me suscita un'emozione e' un'occasione vissuta di contemplazione. Come raramente capita nella vita di tutti i giorni. E' questa la lezione che mi insegna principalmente questa visita. E ne sono quasi commosso dal non avergli dato importanza nei miei giorni passati.

Dal giardino dei rossi tulipani con cui mi sono fatto fotografare da una graziosa turista asiatica, comincio a dirigermi, attraverso lo stonato sottopasso sormontato dalla strada che rappresenta una ferita insabile di un ambiente cosi' magico, nel Jardin de l'Eau. E tutto diventa ancora piu' lento, il sangue lo sento fluire ancora piu' lentamente nel mio corpo. Il resto sembra lontano. E' un'estasi. Nemmeno andandoci mano nella mano con la donna che piu' si possa amare si potrebbero percepire le stesse sensazioni. E adesso che scrivo me ne rendo conto.

E il mio cuore ritorna a palpitare alla vista di uno dei ponticelli giapponesi tanto amati da Monet - come deduco da quanto fin la' visto, che tanto amata da lui e' stata tutta la cultura giapponese.

Contestualmente a Le ninfee, il ponticello mi fa venire alla mente la prima scena di Midnight in Paris. La' tutto era costruito, a partire dalle ninfee tutte ben posizionate sullo specchio d'acqua su cui rifletteva il sole e sicuramente la luce artificiale del set cinematografico. Quel giorno invece la pozza d'acqua era buia e solo guardando attentamente distinguevi qualche ninfea sparpagliata qua e la' sotto il filo d'acqua del laghetto che affiora. E poi il cielo velato rendeva tutto meno lucente e tutto piu' malinconico. Ma piu' vero. Piu' affascinante.

Dopo tanto, e una ulteriore lunga sosta nei giardini della casa, esco e intraprendo il percorso escursionistico che si divide per le vie di Giverny e il territorio circostante. Ma arrivo solo fino alla chiesetta del paese eretta sul cucuzzolo alla cui sommita' si stende il cimitero tra le cui lapidi si puo' facilmente trovare quella di Claude Monet.

Comincia a farsi tardi. Qualche goccia d'acqua cade dal cielo, ma io passeggio incurante verso l'autobus. E non voglio perdermi nemmeno una passeggiata nel pioppeto vicino al parcheggio, che e' stata fonte di ispirazione di alcuni quadri del maestro. E all'interno del quale e' stato collocato un suo busto.

Un ritorno piu' sereno e anche tanto compiaciuto mi ha dato modo di osservare ancora meglio l'armonia dei paesaggi di quella zona della Francia, di riflettere sull'importanza del rispetto dell'uomo per la natura e di come questo rispetto sia ampiamente ricompensato, attraverso il benessere - se non altro interiore - che in quel momento stavo provando.

Tornando a Montmartre, non ho sprecato un attimo del mio tempo e della mia tanta energia accumulata per fare un giro su al Sacre Coeur, salendo per la strade e la scalinata lunghe e ripide, a volte puzzolenti e sempre rumorose, che dal quartiere Maghreb si levano fino alla cima della collina. Un panorama fantastico sulla citta' nonostante il grigio del cielo e le prime ombre della sera. Ma mi siedo tra le panche dell'affollatissima cattedrale e assisto al rito religioso in lingua francese. Ma sto bene. E anche questo acquisisce un senso.

Avrei voluto iniziare a girovagare per questo quartiere, visitare la vicina l'Eglise Saint Pierre de Montmartre e il Dali' Espace Montmartre, arrivare a place du Tetre e passare per tutti quei posti che hanno qualcosa da raccontare. Il Bateau Lavoir, dove vissero Modigliani e Picasso e tanti altri artisti impressionisti nei momenti di estrema poverta', e il famoso cabaret Au Lapin Agile. E poi passeggiare per rue Lepic e scorrere il Moulin de la Galette oggetto del quadro di Renoir intitolato Le Bal du Moulin de La Galette, e il Cafe' des Deux Moulins dove lavorava la protagonista del film Il favoloso mondo di Amelie. Insomma avrei voluto perdermi con la luce del giorno per le viuzze, le piazze e le scalinate di questo incantevole angolo di Parigi.

A molti potrebbe sembrare ostinazione la mia determinazione ad andare senza alcun indugio a visitare il Musee de l'Orangerie. Ma io dentro sentivo qualcosa che mi trasportava, e non mi opponevo e nemmeno volevo sorprendermi di questo stato di completa interdizione. C'era solo una piccola parte consapevole di me stesso che non faceva altro che ripetermi che era tutto normale. E questo bastava a farmelo credere e a godere di questa estasi.

E mi e' sembrato naturale trovarmi in un attimo a fare la fila per entrare nel museo. Non prima di essermi fatto scattare una foto con la facciata dell'Orangerie sullo sfondo, pero', ed essermi fatto immortalare con davanti alla statua bronzea intitolata Le baiser di Rodin che e' collocata insieme ad altre copie di sculture dello stesso artista, nello spazio antistante al museo.

Avrei dovuto incontrarmi a mezzogiorno a place de la Concorde con gli altri. Alla visita, quindi, avrei dovuto dedicare un'ora e non di piu'. Ma non c'e' voluto molto a convincermi che non avrei rispettato l'appuntamento e cosi' ho invitato i miei compagni di viaggio a fare i loro giri. Ci saremmo visti in luogo e orario da destinarsi. Il non avere piu' un orario ha probabilmente influito il modo di vivere questa nuova parentesi impressionista parigina, in maniera ancora piu' sensazionale.

Inizio il mio tour spingendomi verso le sale ovali sulle che ospitano Le ninfee di Monet. E' quasi un sogno. L'accostamento di colori unico e la capacita' di riprodurre cio' che il giorno prima avevo visto con i miei occhi, e' commovente. Realmente, recepisco il rilassamento di nervi che Monet voleva regalare a coloro che, dopo il caos della Grande Guerra, avevano bisogno di ritrovarlo, passando per l'antistante 'camera di decompressione', appositamente voluta dall'artista.

Ciascuna delle due sale presenta quattro affreschi che ritraggono lo stagno della residenza di Monet, al ritmo delle variazioni di luce, dall'alba al tramonto. Le opere della seconda sala sono arricchite dalla presenza dei salici piangenti nel paesaggio dipinto. Gli ambienti ritratti sono comunque privi di orizzonte e di prospettiva e in essi non si distinguono chiaramente gli elementi (aria, acqua, cielo e terra) che vi partecipano, con la chiara allusione all'infinito e allo spazio in cui bisogna essere relegati per ritrovare il rilassamento completo.

Scendendo al piano inferiore, sono piacevolmente sorpreso dall'aver visitato con un crescente interesse, l'esposizione temporanea Debussy, la musica e le arti, un vero gioiello di documenti impressionisti che fotografano nitidamente il fervore artistico della Belle Epoque non solo dal punto di vista della pittura e della scultura, ma anche della musica, della letteratura e delle mondanita' e dei rapporti tra i vari artisti del tempo. Questa mostra e' stata un piacevolissimo 'fuorionda' che mi ha dato modo di deliziarmi alla vista di affreschi come ad esempio Parc de Saint-Cloud di Vassily Kandinsky.

La visita prosegue con la vista della ricca collezione di Paul Guillaume, venditore d'arte - oltre che collezionista - che sostenne artisti come Soutine, Derain, Picasso e Marie Laurencin. Seguendo il percorso indicato dalla utilissima guida che si puo' prendere gratuitamente all'ingresso del museo, ho attraversato il lungo corridoio ai cui lati sono affissi le prime opere impressioniste, per lo piu' di Renoir e Cezanne e nature morte e ritratti, molto suggestivi per la profondita' di colore e per le geometrie. Per poi arrivare nella sala successiva egemonizzata dalla presenza di alcune opere di un immenso Modigliani. La sua unicita' nel ritrarre i visi delle persone si riassume interamente nel Le portrait de Paul Guillaume, Novo Pilota.

La sala successiva mi ha dato modo di conoscere un artista che per molti aspetti mi ha ricordato Modigliani nel suo stile dei visi allungati. L'originalita' di Marie Laurencin l'ho comunque trovata nella tonalita' comune ai suoi quadri esposti che e' sostanzialmente basata su colori pastello, e tra essi sono rimasto colpito da Portrait de Madame Paul Guillaume.

Non meno piacevole e' stato appurare lo stile di Henri Matisse, fatto di giochi di linee orizzontali e verticali unicamente ravvivate da colori la cui intensita' difficilmente ho trovato in altri artisti. In special modo mi sono soffermato davanti a l'Odalisque a la culotte grise. E' stata poi la volta di Picasso e Derain, per finire quindi con il genio di Maurice Utrillo e Chaim Soutine. Dell'artista lituano, di cui l'Orangerie espone la piu' importante collezione d'Europa con i suoi 22 quadri, sono rimasto del tutto esterrefatto della stravaganza dei soggetti ritratti, come carcasse di animali, ma anche volti deformati, che per molti versi richiamano la corrente espessionista in cui ne e' stato poi anche inquadrato come esponente (nonostante - a causa del suo testardo individualismo - non si e' mai in essa apertamente rispecchiato), e per molti altri lasciano trasparire una chiara inquietudine giovanile di cui egli si vuole disfare.

Pienamente soddisfatto della mia lunga visita all'Orangerie, prendo la metro per raggiungere i miei compagni. Metto cosi' piede per la prima volta sull'Ile de la Cite', il nucleo da cui Parigi si e' sviluppata e da cui ad oggi parte il vortice dei venti arrondissement ('distretti') che la costituiscono. Uscendo dalla metro, di fronte a me c'e' la Sainte-Chapelle, sempre caratterizzata da una lunga fila di turisti che si appresta ad entrare per visitarla. Mi e' dispiaciuto non andarci dentro, sapendo che si tratta un magnifico esempio di raffinato stile gotico francese, i cui ambienti interni sono insolitamente luminosi e colorati nei giorni di sole, dalla tanta luce filtrata attraverso ampi e splendidi mosaici.

E' un giorno di vento frizzante e anche qualche goccia d'acqua comincia a scendere dal cielo grigio, ma nonostante tutto la fila davanti alla Cattedrale di Notre-Dame e' lunga. Furbescamente la elido completamente e mi infilo nel luogo sacro dove prima di tutto mi dedico ad ammirarne le bellezze. Poi facciamo un giro all'esterno e tutt'intorno per trovare un posto dove consumare il nostro pranzo a sacco. E' tutto molto bello e in quel contesto di aiuole e alberi fioriti, lo sarebbe stato ancora di piu' in una giornata di sole. Invece piove sempre piu', ma con un intensita' sopportabile. E' quindi una sottile e insistente pioggia a fare da contorno alla nostra passeggiata letteraria nel Quartiere Latino, uno degli itinerari suggeriti dalla mia inseparabile guida Lonely Planet, che non ho perso tempo a catalogare tra le cose che immancabilmente avrei dovuto fare durante questa esperienza parigina.

Giungiamo in metro alla stazione Cardinal Lemoine. Lungo la via omonima ci siamo fermati davanti all'appartamento dove visse James Joyce e poco piu' avanti quello dove vissero Ernest Hemingway e la sua prima moglie, Hadley. Quindi abbiamo attraversato place de la Contrescarpe, e li' per sbaglio ci siamo seduti al Cafe' des Amateurs, che in Festa mobile veniva descritto come un posto malfamato, ma che noi abbiamo dovuto mestamente ed educatamente salutare ancor prima di prendere qualcosa di caldo, dopo aver consultato la carta.

Abbiamo quindi girato l'angolo dietro al locale, per andare a visitare il portone di rue Descartes che era l'ingresso dell'albergo dove Hemingway si rifugiava per scrivere. Nello stesso albergo era morto trent'anni prima Paul Verlaine. Ritornando in piazza, passiamo davanti all'Au negre Joyeux, un altro dei locali citati da Hemingway nei suoi romanzi, per immetterci in rue Mouffetard e da qui seguiamo pari pari il percorso che Hemingway descrive nel primo capitolo di Festa mobile, fino ad arrivare a place Saint-Michel.

E' veramente eccitante ed emozionante per me avere l'opportunita' di seguire questo tragitto e scandire ogni punto in cui qualcosa di normale era successo in passato, ma che oggi e' diventato qualcosa di straordinario. E non riuscivo a spiegarmi se il merito fosse di Parigi, dei personaggi straordinari o se quegli anni fossero realmente l'epoca d'oro.

Imbocchiamo sulla nostra destra, rue du Pot de Fer o 'rue du Coq d'Or', come ad essa si riferisce George Orwell in Senza un soldo a Parigi e Londra, un romanzo autobiografico che descrive i posti dove ha vissuto lavorando come lavapiatti durante una parentesi della sua vita di estrema miseria. Piu' avanti passiamo davanti al Lycee Henry IV intravedendo la Tour Clovis, ampiamente ristrutturata, ma comunque ultimo reperto dell'abbazia di Sainte-Genevieve (Sainte-Genevieve e' la santa patrona di Parigi) fondata da Clodoveo I nel XIII secolo.

Arriviamo nella piazza che ospita il Pantheon, al cui interno sono custodite le spoglie di famosi personaggi francesi. Girando attorno all'edificio ci lasciamo sulla nostra destra l'Eglise Saint-Etienne-du-Mont e, prima di immetterci nel boulevard Saint-Michelle, facciamo una sosta per riscaldarci, asciugarci un po' e rifocillarci, in un caratteristico cafe'.

Lungo boulevard Saint-Michelle, ci lasciamo alla nostra destra la Sorbonne, antichissima universita' parigina e, dopo aver attraversato boulevard Sain-Germain, arriviamo da li' a poco nel pullulare di vita di place Saint-Michelle, sotto una pioggia finissima che rende tutto magico. Andiamo a fare una foto nella vicina 'nuova' libreria Shakespeare & Company. Per intenderci, quella ripresa in una scena di Midnight in Paris, che nulla ha a che spartire con l'originale, gestita da Sylvia Beach che si trovava al numero 12 di rue de l'Odeon, che andremo a visitare piu' avanti nel nostro tragitto. Anche se al suo posto troveremo un grande portone di un condominio con un annesso anonimo negozio di non so che genere di articoli. Una targa affissa al muro, comunque, ricorda che in quel posto Sylvia Beach pubblico' Ulysse di James Joyce.

Mi innamoro delle viuzze intorno a place Saint-Michelle, ma il tour continua, e siamo ancora parecchio indietro rispetto alla tabella di marcia. Proseguiamo lungo quai des Grands Augustins, famoso per la presenza delle caratteristiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano) che costeggiano l'argine della Senna. Passiamo davanti alla casa dove Picasso visse e completo' il suo capolavoro Guernica. Ritornando sul boulevard Saint-Germain, ci troviamo davanti alla statua di Georges Danton.

E' tardi. Qualcuno abbandona la passeggiata perche' siamo ormai zuppi d'acqua fino all'ultimo capello. Ma il resto della compagnia va avanti imperterrita, proseguendo su boulevard Saint-Germain, fino ad arrivare all'Eglise Saint-Germain des Pres. Di fronte si trova Les Deux Magots, che Hemingway cita nel racconto La fame era un'ottima disciplina di Festa mobile, quando lo evita uscendo dal Lipp per andare verso casa. Les Deux Magots, assieme al Cafe' de Flore che si trova tutt'oggi alle sue spalle, erano due locali a quell'epoca molto frequentati dagli intellettuali.

Altri locali nei dintorni che abbiamo avuto piacere di 'scovare' secondo le indicazioni della nostra guida, sono l'Hotel Saint-Germain des Pres (dove ha soggiornato negli anni trenta Henry Miller, che a seguito di questa esperienza scrisse Letters to Emil), Bistrot Le Pre aux Clercs (frequentato da Hemingway), il vecchio Hotel d'Alsace (dove mori' Oscar Wilde e soggiorno' Jorge Luis Borges), l'Hotel d'Angleterre (dove Hemingway passo' la sua prima notte quando arrivo' a Parigi), l'Hotel d'York (dove nel 1783 fu firmato il trattato in cui veniva riconosciuta l'indipendenza americana). La serie di locali lungo le viuzze che si intrecciano intorno all'Eglise Saint-Germain si conclude con l'anonimo cafe' Le Comptoir des Saint-Peres, un tempo meglio noto come Michaud, famoso perche' era frequentato da Joyce, come viene descritto anche da Hemingway in Festa mobile.

La luce del giorno viene meno. Facciamo in tempo ad arrivare alla Fointaine des Quate Eveques, davanti all'Eglise Saint-Sulpice, resa famosa dal romanzo Il Codice Da Vinci di Dan Brown. Avrei voluto entrare per mettere quanto meno il piede sulla Linea della Rosa, ma era gia' chiuso. Ci sarebbe stato ancora tanto da vedere. E cosi' ci immettiamo, felici ma con un velo di malinconia, sulla metro che ci porta a Montmartre.

Una calda doccia, un po' di relax, una cena calorica in uno dei tipici locali intorno all'albergo, e siamo pronti a deliziarci alla vista della Tour Eiffel in uno sfavillio di luci, da place du Trocadero. Nulla a che vedere con la vista triste dello stesso monumento, con la luce naturale. Un piacevole momento della giornata che colma di soddisfazione e assopisce i nostri ultimi sogni a Parigi.

E' l'alba di un ultimo giorno che trascorriamo in questa splendida citta'. La pioggerellina caratterizza ancora la nostra permanenza. Ma nulla influisce sul nostro programma. Un tranquillo giro per l'Ile de la Cite', o meglio per quella parte dell'isola che ancora non abbiamo visto. Passiamo davanti al palazzo di giustizia, per arrivare all'estremita' occidentale dell'isola, passando per place Dauphine, per scattare qualche foto sotto la statua di Enrico IV a cavallo e sulla attigua cuspide che divide il fiume in due.

Proseguiamo sul quai ('banchina') meridionale, passando sotto pont Neuf che, nonostante l'appellativo, e' il ponte piu' vecchio di Parigi. Bianco per il colore della pietra che lo costituisce, e sontuoso per le curve prorompenti delle sue arcate, scopriamo con immenso piacere l'angolazione della locandina del film Midnight in Paris che ritrae il ponte e ci immedesimiamo in una serie di foto con l'illusione di essere per un attimo i protagonisti dell'opera di Woody Allen.

E' bello anche ricordare il pranzo, in uno di quei locali tipici intorno a place Saint-Michelle, a tavola vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada di mattonelle di porfido costantemente innaffiate dalle gocce di pioggia che cadono placide e incessanti da un cielo grigio e da un'aria gravida di umidita' che inspiegabilmente rende felici alla vista. E in quel momento non vorresti nulla di diverso. Nemmeno da cio' stai per mangiare. Una zuppa francese con pane raffermo e del beuf du Charolais con caratteristica salsa verde. Avrei voluto anche riuscire a sorseggiare un buon vino rosso della Bourgogne. Ma se ne riparlera' in una Parigi di un'altra vita.

Festa mobile

martedì 22 maggio 2012

Quando ho capito che questa era la vera guida per visitare Parigi, mi sono precipitato alla Feltrinelli per prenderne una copia. Non so' se nel recensire questa raccolta di racconti pubblicata in due diverse versioni dopo la morte del suo autore, Ernest Hemingway, riusciro' a fare a meno dell'eccitazione di una serie di tasselli che si legano a questa nuova esperienza di lettura. Ma sicuramente non penso che posso evitare di ringraziare questo autore per le emozioni che mi ha fatto provare nel leggere e rileggere le pagine del libro sia prima che dopo averne visto i luoghi dove molte delle situazioni sono ambientate, che hanno suscitato diverse ma ugualmente forti sensazioni di vivere i racconti dal di dentro.

Tuttavia, ancor prima di queste motivazioni, la lettura e' gia' ampiamente appagante per quanto di nuovo e interessante ha portato nel mio animo. Anche gia' solo leggendo l'incipit.

La versione che ho letto e' l'ultima pubblicata in ordine cronologico, ed e' premessa da Patrick Hemingway, primo figlio dell'autore nato dal suo secondo matrimonio, quello con Pauline Pfeiffer. Mentre e' introdotta dal nipote Sean (figlio di Gregory, secondogenito del matrimonio dell'autore con Pauline Pfeiffer), che ne e' anche curatore.

In particolare, la premessa si sofferma sul significato di festa mobile che Hemingway tira in ballo nella celeberrima frase:

If you are lucky enough to have lived in Paris as a young man, then wherever you go for the rest of your life, it stays with you, for Paris is a moveable feast.

Il concetto di festa mobile infatti, di primo acchito, lascia pensare che Hemingway intenda che Parigi e' una festa, per chi la vive, in ogni suo posto, in ogni situazione, in ogni diverso giorno. In realta', Patrick Hemingway si distingue chiaramente da questa banale interpretazione e associa festa mobile agli appuntamenti che si ripropongono annualmente ma non con cadenza semplicemente individuabile da un preciso giorno del calendario. La Pasqua, ad esempio, e' una festa mobile. E mobili sono tutte le feste che dipendono dalla Pasqua, come la Domenica delle Palme. Una gioia che permane nell'individuo a prescindere dallo spostamento della stessa nello spazio e nel tempo. Come l'amore e la felicita'. Parigi e' cosi', per chi l'ha vissuta secondo i crismi citati da Hemingway nella sua celeberrima frase. La sua posizione, relativamente all'individuo 'abbastanza fortunato' che l'ha vissuta 'come un giovane uomo', non muta il fascino, che verra' portato dentro come una parte di se'.

L'introduzione invece spiega le ragioni di questa edizione speciale, che differisce dalle precedenti. L'opera infatti non e' stata mai pubblicata quando l'autore era in vita, sebbene il materiale c'e' sempre stato tutto. Ed era stato addirittura generato in sovrabbondanza nel perfetto stile dell'autore che amava rifarsi a una vecchia regola che professa:

La qualita' di un libro deve essere giudicata, da parte di chi lo scrive, dall'eccellenza del materiale che elimina.

Tuttavia, come il curatore di questa edizione fa notare, sebbene lo scrittore avesse elencato una lista dei racconti che dovevano prendere parte alla versione definitiva del libro, non e' riuscito mai a scrivere un'introduzione e un capitolo finale che lo avessero soddisfatto. Anche se ci aveva provato. Non riuscendoci probabilmente perche' la malattia e le cure devastanti che gli hanno praticato, avevano gia' divorato le qualita' che ne hanno fatto di lui quello per cui oggi lo ricordiamo. Ed erano ad un passo dal divorare anche la sua vita.

Sean Hemingway spiega la differenza tra questa edizione e la prima, pubblicata nel 1964 a tre anni di distanza della morte del nonno, e curata da Mary Welsh (quarta moglie di Hemingway) e Harry Brague. In questa edizione sono stati inseriti nella sezione principale tutti i capitoli scelti da Hemingway, rispettandone una sua volonta'. Altri racconti invece sono stati inseriti nella sezione 'Altri sketch parigini'. Il curatore di tale edizione fa inoltre notare che lo scrittore ha dato solo il titolo a tre dei racconti presenti nella stesura finale del romanzo (Ford Madox Ford e il discepolo del diavolo, Nascita di una nuova scuola e L'uomo che era marchiato a morte)

Agli altri racconti, Sean Hemingway ha scelto di lasciare il titolo assegnato dai curatori della prima edizione. Tuttavia, rimarca di essersi permesso di ripristinare alcune sezioni in cui Mary Welsh e Harry Brague avevano preferito le citazioni di Hemingway in forma impersonale a quella in prima persona, contrariamente alla scelta definitiva dell'autore.

Il curatore, inoltre, aggiunge una interessante serie di considerazioni sul titolo che avrebbe dovuto avere l'opera. In sostanza, l'autore propose una serie lunga di titoli dei quali quella piu' plausibile e' parsa L'occhio precoce e l'orecchio (Com'era Parigi ai primi tempi). Ma alla fine Mary Welsh decise di adottare il titolo con cui oggi questa opera e' nota, che in lingua originale e' A moveable feast. Dove si noti che di proposito e' stato scelto di usare la deformazione dell'aggettivo 'movable'. Il primo motivo e' la propensione di Hemingway a non elidere l'ultima lettera nel formare l'aggettivo a partire da quei verbi che terminano in 'e'. Il secondo motivo, invece, e' la piacevole assonanza che si ottiene accoppiando i termini 'moveable' e 'feast' che presentano entrambi le occorrenze di 'ae' al loro interno.

E' stato piacevole poi leggere i capitoli di questo romanzo. Tutti in generale. Senz'altro e' stato piacevole leggere il primo dei racconti di questo libro, Un bel Cafe' in Place St-Michel, soprattutto per via del fatto che il tragitto seguito da Hemingway per giungere da casa sua, al numero 74 di rue de Cardinal Lemoine, fino a place St-Michel, e' coinciso con buona parte della 'passeggiata letteraria' nel quartiere latino che ho avuto la fortuna di percorrere. Ma poi, quando sono riuscito ad astrarmi da questa condizione vissuta, sono ancora riuscito a trovarlo irresistibile anche perche' l'autore scrive di se' nelle sue giornate semplici ma che magicamente con le sue parole riesce a rendere cariche di fascino. E non so quanto Parigi c'entri.

In altri capitoli, Hemingway parla ancora di Parigi negli angoli della Rive Gauche e anche fuori, associandola alla sua condizione economica che non sono riuscito a realizzare del tutto, sebbene rimarcata lungamente dentro l'opera. Ma all'infuori di questo, emerge l'occhio attento di una persona che anche nello scorrere della quotidianita' di una nuova e diversa realta' di quella dov'e' nato e cresciuto, riesce a carpire e immortalare determinati aspetti che anche a distanza di decenni, quando lui li descrisse, non sembrano nostalgia ma emozioni vissute e segregate a lungo dentro al cuore.

Oltre questo, Hemingway, si proietta sul racconto di persone conosciute e vissute nel suo soggiorno parigino che va dal 1921 al 1926. E qui emerge, dopo l'occhio, anche la bonta' del suo orecchio. Dell'orecchio della persona che sa ascoltare e sa selezionare le parole dei suoi interlocutori. Come e' pure evidente che l'autore e' senz'altro uno che sa se dire certe parole o non dirle. Forse arrivando ai confini del subdolo e dell'ipocrisia. Che si manifestano quando le sue impressioni vengono riportate in questi racconti. Ma poi, a un certo punto, essendo l'uomo anche risultato delle decisioni di quello che ritiene di controbbattere rapportandosi con gli altri, e quello che decide di tener dentro, data la giovane eta' e anche la buona fede che sgorga dai suo racconti, altro non puo' essere che saggezza precoce.

D'altra parte non sarebbe giusto trarre diverse conclusioni se non si acoltano i dialoghi e non si guardano in faccia i personaggi che Hemingway si e' trovato di fronte in quel periodo. Gertrude Stein, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald e tanti altri, sono tutti personaggi ritratti sotto aspetti incredibilmente umani ma allo stesso tempo oggettivi - quasi in linea con il pensiero impressionista dei quadri di Cezanne che Hemingway ammirava e 'usava' per dare forma alle sue capacita' critiche, che pero' non escludono la possibilita' a chi legge i racconti di queste scene, di farsi un'idea del tutto personale degli stessi personaggi.

A proposito di questa maturazione acquisita dall'osservazione dei quadri impressionisti, c'e' un racconto molto interessante intitolato La fame era un'ottima disciplina, in cui lo scrittore ha finalmente la possibilita' di levarsi di dosso (come in tanti altri racconti di questo libro ha potuto fare) un velo di ingiustificata ma comprensibile vergogna ed esternare le sensazioni che aveva provato a quel tempo. Quando non tornava a casa per pranzo inventandosi la scusa che mangiava fuori con qualcuno. Mentre realmente non c'erano soldi per mangiare e passava le ore del pranzo al museo del Luxemburg a guardare i quadri di Cezanne e ad imparare a coglierne il messaggio. E' bello anche tutto il resto del racconto che lo vede arrivare sino alla libreria Sheakspeare and Company di Sylvia Beach e con lei intrattenere un bel dialogo. E fa percepire il sacrificio e la successiva soddisfazione di quando Sylvia Beach gli consegna la busta con seicento franchi inviatogli dalla rivista tedesca Der querschnitt per cui aveva scritto dei racconti. Come pure fa percepire la ventata di serenita' che, con il giusto atteggiamento, finisce sempre per arrivare, anche dopo momenti estremamente difficili, quando ha modo di sedere alla brasserie Lipp e farsi passare la fame.

Poi ci sono persone qualsiasi a cui Hemingway ha voluto dare spazio dentro questo libro. Forse a voler manifestare le origini umili da cui lui proveniva e l'essere stato uno come tanti. Forse semplicemente perche' le sue capacita' relazionali gli hanno permesso di vedere le qualita' all'infuori del valore che la societa' da' alle persone. E' il caso del cameriere Andre' della Closerie des Lilas, quando Hemingway racconta di una sua uscita con il poeta Evan Shipman nel capitolo Evan Shipman ai Lilas. Un breve passo, ripreso anche in altri punti del romanzo che evidenzia i principi e la dignita' e la lotta circoscritta ma pregna di significato che anche nelle persone, persino piu' anonime, puo' avere un senso.

Molti dei racconti danno spazio al rapporto con Hadley (prima moglie di Hemingway). Un rapporto la cui bellezza chiunque puo' cogliere leggendo le storie, perche' maturato nelle molteplici difficolta' che Hemingway si trova ad affrontare in questo periodo della sua vita. E forse il richiamo a eventi apparentemente insignificanti, ma che, visti con la retrospettivita' dello scrittore, diventano quasi fondamentali per la fine di questa relazione, che aggiunge una nota profondamente malinconica quando lo scrittore si sofferma su essi. Dando cosi' di conseguenza una marcata importanza al rapporto.

Il racconto piu' significativo in questa ottica, diventa Una falsa primavera. La sensazione conscia di fame che Hemingway avverte quando insieme ad Hadley attraversa il ponte al ritorno dal'ippodromo di Auteuil, e la conseguente decisione di andare al prestigiosissimo Michaud per festeggiare la vincita alle corse dei cavalli, rivela poi una verita' inconscia a cui lo stesso scrittore non da' maggior adito:

Fu una cena fantastica da Michaud una volta entrati; ma quando avemmo finito e la fame non era piu' una possibilita', la sensazione che ci era sembrata fame quando eravamo sul ponte era ancora tutta li' quando prendemmo l'autobus per casa nostra. C'era ancora quando entrammo in camera e dopo essere andati al letto e aver fatto l'amore al buio, era sempre li'. Quando mi svegliai con le finestre aperte e il chiaro di luna sui tetti delle grandi case, era li'. Distolsi la faccia dal chiaro di luna riparandola nell'ombra ma non riuscivo a dormire e rimasi sveglio a pensare a questo. Tutti e due ci eravamo svegliati due volte nella notte e mia moglie ora dormiva dolcemente con il chiaro di luna sul viso. Avrei dovuto cercare di risolvere il problema ma mi sentivo troppo stupido. La vita era sembrata cosi' semplice quella mattina quando mi ero svegliato e avevo trovato la falsa primavera e sentito la zampogna dell'uomo con il suo gregge di capre ed ero uscito per comperare il giornale delle corse.
Ma Parigi era una citta' molto vecchia e noi eravamo giovani e li' non c'era niente di facile, neanche la miseria, ne' i soldi improvvisi, ne' il chiaro di luna, ne' la ragione e il torto ne' il respiro di qualcuno sdraiato al tuo fianco al chiaro di luna.

Mi piace notare che nello stesso racconto, Hemingway descrive la situazione vissuta con Hadley davanti al Michaud che e' gremito, e mentre attendono per entrare osservano attraverso i vetri James Joyce con la sua famiglia, seduti al tavolo. Scena oramai famosa e comunque ripresa nel capitolo Sheakspeare and Company. In tale capitolo, il protagonista parla della sua scoperta della biblioteca e libreria di Sylvia Beach, al numero 12 di rue de l'Odeon. Hemingway descrive il suo primo impatto con la biblioteca soffermandosi sulle foto degli scrittori, sia morti che viventi, appese ai muri. E chiede quindi con quale frequenza Joyce si reca in quel posto e da li' il discorso scivola sulla scena del Michaud. In quegli anni Sylvia Beach scrisse a macchina la copia dell'Ulisse di James Joyce da cui segui' la pubblicazione dell'opera.

Festa mobile e' un libro vero e schietto. E penso che non lo lascero' molto spesso fermo nella libreria da fargli prendere tanta polvere e ingiallire. Di tanto in tanto, ci sara' sempre l'esigenza di riprenderlo in mano per cercare qualche episodio che tratti di un personaggio o di una peculiarita' dello scrittore o semplicemente avro' l'esigenza di rivivere Parigi sotto uno dei suoi aspetti piu' affascinanti che me l'hanno fatta conoscere.

Frasi


  • p. 33: "Oramai sapevo che qualsiasi cosa bella o brutta lasciava un vuoto quando finiva. Ma se era brutta il vuoto si riempiva da solo. Se invece era bella potevi riempirlo solo trovando qualcosa di meglio. (Fine di una passione)"
  • p. 38: "Avevo gia' imparato a non esaurire mai il pozzo della mia scrittura; bensi' a fermarmi sempre quando c'era ancora qualcosa nel profondo del pozzo, e lasciare che tornasse a riempirsi di notte dalle sorgenti che lo nutrivano. ("Una generation Perdue")"
  • p. 62: "Dicono che in tutti noi ci sono semi di quello che faremo, ma a me e' sempre sembrato che in quelli che nella vita scherzano siano coperti da un terreno migliore e da un letame di piu' alta qualita'. (Con Pascin al Dome)"
  • p. 68: "Alla fine tutti, o non proprio tutti, tornavano ad essere amici tanto per non essere testardi o permalosi. Lo feci anch'io. Ma non riuscii ad essere piu' amico davvero, ne' con il cuore ne' con la testa. Quando non riesci ad essere piu' amico con la testa e' la cosa peggiore. (Un finale alquanto strano)"
  • p. 109: "...e gia' mi pesava di non aver lavorato e avvertivo la solitudine mortale che ti coglie ogni giorno che e' sprecato nella tua vita. (Scott Fitzgerald)"
  • p. 180: "Ma vi sono remises o magazzini dove puoi lasciare o immagazzinare cose come un baule con serratura o un borsone contenente effetti personali o poesie inedite di Evan Shipman o carte geografiche segnate o anche armi che non c'e' stato il tempo di consegnare alle autorita' competenti e questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima e' stata manomessa e il secondo non esiste (*). (Nada y pues Nada)"

Midnight in Paris

domenica 25 marzo 2012

Un capolavoro di arguzia e di risate degno di un Woody Allen al pieno della sua maturita', ambientato nella cornice di Parigi, luogo carico di fascino e il cui fascino ha una continuita' storica che il regista riesce a ritrarre nitidamente nella Belle Epoque e negli anni venti, come frutto dell'amore di una vita dedicata all'arte. Ma anche nella Parigi dei giorni nostri, Woody Allen lascia percepire la magicita' dell'ambiente che si respira in svariate situazioni. E' indubbiamente Festa Mobile di Hemingway la principale ispirazione di questo contesto, e nulla di piu' appropriato si poteva addire al tema centrale di questo capolavoro, visto che il concetto di festa mobile e' un marchio per Parigi che difficilmente il tempo riuscira' a sbiadire.

Difatti il tema centrale del film non e' ne' l'arte ne' Parigi, ma e' l'esortazione a vivere il presente e non aggrapparsi al passato. Proprio per questo Festa Mobile di Hemingway, e l'ambiente in cui esso prende forma, risultano ideali a descrivere questo concetto. Tuttavia, e' chiaro anche come la postilla di Woody Allen, recitata nelle scene finali del film e ripresa dalla celebre frase di William Faulkner 'Il passato non e' morto e sepolto. In realta' non e' neppure passato', protesa a completare la prima parte del messaggio, con la precisazione della necessita' di conoscere il passato e di rispettarlo perche' serve per farci prendere coscienza del presente.

A questa contrapposizione o, se vogliamo, complementarieta' di messaggi, che insieme costituiscono quindi il tema centrale del film, ne corrisponde una parallela di ambientazione. Se Parigi degli anni venti rappresenta l'attaccamento al passato, quella dei giorni nostri invece rappresenta il presente e il rispetto per il passato.

E' di una genialita' bizzarra il percorso che solo da Woody Allen poteva prender forma e che il protagonista Gil (interpretato da Owen Wilson, ricalcando per molti aspetti il tipico protagonista di un classico film 'alleniano') traccia per arrivare alla fine a dipingere per intero - e in un modo molto leggero e divertente nonostante sia intriso di richiami storico-artistici, i contorni del cuore del film.

Gil Pender, disincantato sceneggiatore hollywoodiano di discreto successo, non e' soddisfatto della sua carriera e prova a dare una svolta alla sua vita cercando di approdare alla sua aspirazione di diventare uno scrittore. Non c'e' nulla di piu' propizio per perseguire questo obiettivo, che trovarsi a Parigi per un viaggio di piacere con la sua futura sposa Inez, bella donna americana (come lui, ma che a differenza sua non stravede per Parigi) e di estrazione borghese.

Mentre Inez trova l'incontro con l'intellettuale inglese Paul (sua vecchia fiamma dei tempi dell'universita') che si trova a Parigi in compagnia della moglie Carol per tenere una lezione alla Sorbonne, un'occasione per dare una svolta alla carriera di scrittore di Gil, lo stesso Gil rimane stregato da questo posto unico che tanto ha ispirato artisti di un passato irripetibile, al punto di convincersi che e' nato in un'epoca successiva a quella in cui avrebbe dovuto nascere.

Paul, in gita a Versailles con Carol, Inez e Gil, spiega il fenomeno psicologico di 'quelli che pensano che la loro vita sarebbe stata piu' felice se fossero vissuti nel passato':

Paul: Beh! La nostalgia e' negazione. La negazione di un presente infelice.
Inez: Oh, beh! Gil e' un vero romantico. Insomma, lui sarebbe piu' che felice di vivere in un totale stato di perpetua negazione.
Paul: E il nome di questo falso pensiero e' sindrome 'Epoca d'Oro'.
Inez: Touche'!
Paul: Cioe' l'idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, e' difetto dell'immaginario romantico di quelle persone che trovano difficile cavarsela nel presente.

La convinzione di Gil prende ancora piu' corpo notte dopo notte, da quando, girovagando per le caratteristiche vie del centro della citta' alla ricerca dell'ispirazione per la sua attivita' di romanziere, si smarrisce e non riesce a trovare piu' la via dell'albergo. Seduto sulle scale davanti alla chiesa di Saint Etienne du Mont, al rintocco delle campane che segna la sopravvenuta mezzanotte, viene invitato a salire su una Peugeot d'epoca che lo catapulta per incanto nella Parigi degli anni venti.

Nel suo primo viaggio, dentro una festa allietata dalle musiche di Cole Porter che suona al pianoforte, Gil incontra i coniugi Francis Scott e Zelda Fitzgerald, attraverso cui conosce in un crescente e immaginabile stato di incredulita', uno dei suoi scrittori preferiti, Ernest Hemingway. Nulla da ridire sulla fantastica interpretazione di questo personaggio da parte di Corey Stoll e sulla capacita' del regista di cogliere degli aspetti che anche chi lo conosce poco, puo' condividere.

L'atteggiamento di disfida di Hemingway, di fronte a Gil che si presenta come scrittore che gli propone di leggere la bozza del suo primo romanzo, si placa pian piano. Alla fine Hemingway propone addirittura di far leggere la bozza a Gertrude Stein, mandando Gil letteralmente in visibilio.

Gil cerca di portare negli anni venti anche Inez, presentandosi allo stesso posto, in vano, il giorno dopo. Solo dopo che Inez va via visibilmente contrariata, lo scoccare della campana e il successivo arrivo della stessa Peugeot della notte precedente, fanno capire la chiave per essere catapultato indietro nel tempo.

Sulla macchina questa volta Gil trova Hemingway che, dopo una bellissima esposizione sulla relazione tra la paura di morire e amore, lo porta a casa di Gertrude Stein, al numero 27 di rue de Fleurus. Qui, oltre a consegnare il manoscritto, ha modo di conoscere Pablo Picasso e Adriana, sua fantomatica quanto affascinante amante e soggetto di un suo dipinto. In casa, era in corso una accesa discussione in cui Gertrude Stein criticava l'opera di Picasso. Adriana rimane colpita dalle prime righe del romanzo di Gil che a sua volta rimane stregato dalla disegnatrice di moda arrivata a Parigi da Bordeaux che prima di Picasso, aveva gia' amoreggiato con Coco Chanel, Amedeo Modigliani e Braque.

All'indomani, Gil si trova ancora con Inez, Paul e Carol al Musee de l'Orangerie. In questo spettacolare contesto, Paul commenta le Ninfee di Monet prima della scena in cui si sofferma sul quadro di Picasso che la notte prima era stato oggetto di discussione a casa di Gertrude Stein. Un fantastico monologo critico di Gil lascia tutti sbigottiti e la scena e' degna del piu' sottile umorismo 'alleniano'.

Intanto, nella vita parallela che si svolge nelle notti di Gil, qualcosa di tenero sta nascendo con Adriana. Adriana, al pari di Gil, e' legata al suo passato. Ad un'epoca antecedente a quella in cui lei realmente vive. Adriana e' terribilmente attratta dalla Parigi di fine XIX secolo. La Belle Epoque rappresenta per Adriana l'eta' dell'oro. In questa serata Adriana e Gil passeggiano in una romanticissima Parigi ed e' qui che Woody Allen, per bocca dell'attore protagonista, recita un inno al fascino immortale di questa citta':

(In sottofondo, Parlez-moi d'amour di Dana Boule)
Adriana: Ma non riesco mai a decidere se Parigi sia piu' bella di giorno o di notte.
Gil: Ah! Non ci si riesce! Non si puo' scegliere! Ti posso dare un argomento che mette KO sia l'una che l'altra ipotesi. Sai, a volte mi chiedo come possa qualcuno realizzare un libro, un dipinto, una sinfonia, una scultura che competa con una grande citta'. Non ci si riesce! Ci si guarda intorno e ogni... ogni strada, ogni boulevard sono in realta' una speciale forma d'arte. E quando uno pensa che nel gelido, violento, insignificante universo, esiste Parigi, esistono queste luci... Insomma, andiamo! Non succede niente su Giove o su Nettuno, ma da lassu' nello spazio uno puo' vedere queste luci, i caffe', la gente che beve e che canta. Per quanto ne sappiamo, Parigi e' il posto piu' cool dell'universo.

Alla fine di questa passeggiata, Gil, con molta naturalezza, conferma di stare per sposarsi e cio' spinge Adriana ad interrompere bruscamente la serata, giustificandosi di dover rientrare a casa dove c'e' Picasso che la aspetta. La serata pero' riserva altre sorprese. L'incontro con Salvador Dali', Luis Bunuel e Man Ray. Gil racconta il suo grande problema: l'essere innamorato della sua futura moglie e della sua amante. Oltre al vivere in due epoche diverse. Ne viene fuori una fantastica gag per via della corrente surrealista a cui i tre artisti appartengono.

Da notare la seriosita' del 'personaggio Bunuel' nella parte recitata. Lascia pensare a un segno di un rispetto di Woody Allen verso il regista che aveva rifiutato l'invito a prendere parte al cast di (e successivamente anche sminuito) Io e Annie, nella scena della coda al cinema con lo pseudo-intellettuale chiacchierone. Nella sua autobiografia, I miei sospiri estremi, Bunuel, infatti, scrisse:

Allen mi propose di interpretare me stesso in Io e Annie. Mi offrivano trentamila dollari per due giorni di lavoro, ma avrei dovuto restare a New York una settimana. Dopo qualche esitazione, rifiutai. Alla fine e' stato McLuhan a recitare se stesso nell'atrio di un cinematografo. Ho visto il film, ma non mi e' piaciuto per niente.

Sempre piu' sopraffatto dal dissidio d'amore, Gil al mattino seguente si reca di nuovo al museo Rodin (dove era stato gia' insieme a Inez, Paul e Carol) e chiede alla guida (interpretata da Carla Bruni) davanti alla scultura di Rodin se lo scultore fosse stato realmente innamorato della moglie e dell'amante, come lei stessa aveva asserito qualche giorno prima. In tutto questo esterna un dubbio la cui risposta potrebbe essere la soluzione al suo dramma interiore. La possibilita' di amare due persone contemporaneamente, infatti, potrebbe salvare la relazione con Inez e quella con Adriana.

All'appuntamento notturno Gil si trova a casa di Gertrude Stein dove e' in atto una discussione ancora con Picasso ma questa volta perche' Adriana e' fuggita in Africa con Hemingway. Gil ci rimane evidentemente male. Mentre miss Stein spezza (anche se non le riesce bene) la sua delusione, riferendogli il suo giudizio in merito al romanzo:

Allora. Parliamo del tuo libro.
Abbiamo tutti paura della morte
e ci interroghiamo sulla vita.
L'artista ha il dovere di
non arrendersi alla disperazione,
ma di trovare un antidoto
al vuoto dell'esistenza.
Tu hai una voce chiara e toccante.
Non essere cosi' disfattista.

Al mattino seguente Inez e la sua famiglia partono per Mont Saint Michel. Gil, come sempre piu' frequentemente accade, decide di rimanere a Parigi. Alla scena della passeggiata in riva alla Senna, sulla Ile de la Cite, fino ad arrivare sotto Pont Neuf, segue la scena dove Gil va al negozio in cui lavora la bella ragazza francese di nome Gabrielle, al mercato delle pulci di Saint Ouen, e acquista un disco di Cole Porter. Nella scena successiva Gil, girovagando per le tipiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano), trova a sorpresa e compra, il diario di Adriana.

Dalla lettura del diario - tradotto dalla guida del museo Rodin, Gil viene a conoscenza che Adriana e' innamorata di lui e lo preferisce a Picasso ed Hemingway. Inoltre, Adriana manifesta una profonda amarezza per aver appreso che Gil presto sposera' la sua fidanzata Inez. Infine, Adriana confessa di aver sognato di aver ricevuto dei bellissimi orecchini da Gil e di aver fatto dopo l'amore con lui.

Gil, cosciente di cio', quindi prepara tutto per la prossima serata 'anni venti', riciclando degli orecchini di perla di Inez come regalo per Adriana. Ma non va tutto come previsto perche' inaspettatamente Inez e i genitori rientrano a Parigi a causa di un malore accusato dal padre. Inez si accorge subito della mancanza degli orecchini di perla. La madre la incita a denunciare la cameriera. Gil cerca di dissuaderla prendendo le difese della cameriera. Cio' suscita le ire di Inez che risponde con un sarcasmo proprio di Woody Allen:

Tu prendi sempre le parti della servitu', come al solito!
Ecco perche' papa' dice che sei un comunista!

Alla fine Gil trova il modo di placare la situazione di tensione che si era venuta a creare, facendo finta di aver ritrovato gli orecchini mancanti, in bagno, sul lavandino. L'incontro notturno viene rimandato quindi di un giorno. Gil ha cosi' modo di comprare degli orecchini (di pietra di luna, suppongo) da regalare ad Adriana.

A mezzanotte, Gil porta la nuova stesura del suo libro a miss Stein che nel frattempo lo indirizza alla festa di matrimonio di 'uno di quei pazzi pittori surrealisti' dove c'e' anche Adriana che intanto era gia' tornata da un viaggio sul Kilimangiaro - con un improbabile seguito, con Hemingway ed ha nel frattempo anche rotto definitivamente con Picasso. Gil, incontrandola, le chiede un posto piu' intimo dove poter parlare con lei.

Prima di uscire dalla festa, Gil incontra Bunuel e gli da' alcune indicazioni riguardo un suo film. Gil spiega velocemente la trama del film senza dare delucidazioni sul significato. Poi i due si congedano lasciando Bunuel assorto nel tentavivo di afferrare il senso di quello che in futuro sara' una sua grande opera. Si tratta verosimilmente del film L'angelo sterminatore che uscira' nel 1962. Non e' detto che la scena non sia un messaggio ironico per smorzare il rifiuto di Bunuel all'invito di Woody Allen per partecipare al film Io e Annie. Ma, se lo e', e' senz'altro proteso a smorzare i toni, a dimostrazione di una grande stima per un grande maestro di cinematografia.

Fuori, Gil bacia Adriana e le dona degli apprezzatissimi orecchini. Tuttavia, succede che Adriana rivive nella sua realta' in un certo senso quello che Gil vive nella sua. Appare una carrozza d'altri tempi, trainata da cavalli da cui si affaccia una coppia che li invita a salire. Gil e Adriana vengono cosi' trasportati nella Parigi della fine del XIX secolo. La felicita' palpabile di Adriana alla vista del Maxim's di quegli anni, comincia ad aprire gli occhi a Gil. I due si recano quindi al Moulin Rouge dove assistono al balletto sulle musiche del Can-can. Alla fine del quale Adriana intravede Henri de Toulouse-Lautrec solitario al suo tavolo. I due si siedono al tavolo con il famoso pittore impressionista. Subito dopo arrivano Paul Gauguin e Edgar Degas. Sapendo che Adriana e' una disegnatrice di moda, Degas propone di farla conoscere ad un tale Richard (si dovrebbe trattare di Richard Strauss) per disegnare gli abiti di un suo spettacolo teatrale.

Dopo un'esitazione iniziale causata dal fatto che veniva da un'altra epoca, Adriana chiede a Gil di consultarsi privatamente. Gil intanto e' riuscito a farsi un quadro chiaro di quello che stava vivendo, osservando quello che stava succedendo ad Adriana. A rafforzare la sua tesi, intervengono gli atteggiamenti degli artisti impressionisti che sostengono che loro sono delusi dalla generazione attuale e che avrebbero preferito vivere nel Rinascimento e dipingere a fianco a Tiziano e Michelangelo. E aggiunge, spiegando quanto percepito, che sicuramente questi ultimi due si sarebbero trovati meglio ai tempi di Kublai Khan. Gil spiega cosi' ad Adriana che non e' una soluzione scegliere di rimanere nella Parigi della Belle Epoque. Molto probabilmente, una volta ambientata in quell'epoca, avrebbe cominciato ad immaginare che un'altra epoca ancora antecedente sarebbe stata la sua 'epoca d'oro'. Poi conclude con un frase molto signifcativa:

Ecco.. ecco cos'e' il presente! E' un po' insoddisfacente! Perche' la vita e' un po' insoddisfacente...

Ma nemmeno davanti a questa frase pregna di significato, Adriana riesce a percepire il malessere che sta vivendo e rimane ferma sulla decisione di fermarsi nella Parigi di 'fine-ottocento'. Si congeda cosi' da Gil con tenerissimo bacio.

Ritornato negli anni venti, Gil ha il consenso di Gertrude Stein per il suo libro. Miss Stein confessa che anche Hemingway lo ha letto e pensa che sara' un buon romanzo. Tuttavia, riferisce che lui non crede che il finale del libro possa essere realistico. In effetti, il romanzo scritto da Gil e' profondamente autobiografico. Parla del 'negozio nostalgia' (un negozio dove di vendono cimeli) che in qualche modo riflette il suo attaccamento al passato, e il finale lascia intendere che lui non si era realmente accorto del tradimento perpetrato nei suoi confronti da Inez con Paul. Il giudizio (che Gil definisce ironicamente 'negazione') di Hemingway spinge Gil ad aprire gli occhi anche su quest'ultimo aspetto della sua vita e a far confessare Inez.

Il ritorno alla realta' e' quindi segnato dalla fine della relazione tra Gil e Inez. La scena, che si svolge in parte alla presenza dei genitori, si chiude con un'appendice sarcastica, recitata dal padre di Inez:

Salutami Trotsky.

Gil decide di rimanere a Parigi, ma il finale lascia intendere chiaramente che il protagonista e' oramai guarito dalla sindrome che lo portava a fuggire dal suo presente. La bellezza e la sobrieta' di Gabrielle, e il loro passeggiare per Parigi sotto la pioggia ne sono una inequivocabile testimonianza.

Frasi


  • Il problema e' che quando si tratta del suo lavoro, lui non ha rispetto dell'opinione altrui. (Inez)
  • Nessun soggetto e' terribile se la storia e' vera. E se la prosa e' chiara e onesta. E se esprime coraggio e grazia nelle avversita'. (Hemingway)
  • Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte. La vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa. (Hemingway)
  • Guardate come l'ha ritratta! E' grondante di allusioni sessuali. Carnale, di passionalita' bruciante. (...). Ne ha fatto una creatura di Place Pigalle! Una puttana dai vulcanici appetiti. (...) quindi tu la giudichi da petit-bourgeois e la trasformi in un oggetto di piacere. E' piu' una natura morta che un ritratto. (Gertrude Stein)
  • Mio Dio! Con lei le groupie fanno un salto di qualita'! (Gil)
  • Questo sogno di piccola parigina, non e' una festa mobile? (Hemingway)

Dialoghi

Scena al Bricktop's dove Gil si reca insieme ai Fitzgerald, dopo che questi trovano 'noiosa' la festa organizzata per lo scrittore Jean Cocteau, nonostante ad allietare la serata c'e' Cole Porter che suona al pianoforte. In questo locale Gil conosce Hemingway.

Hemingway: Ti fara' diventare pazzo quella donna.
Francis Scott Fitzgerald: E' eccitante. E ha del talento.
Hemingway: Questo mese la scrittura, l'altro mese era qualcos'altro. Tu sei uno scrittore. Ti serve tempo per scrivere, non ti servono queste pagliacciate. Ti sta distruggendo perche' in realta' e' una tua rivale. Non sei d'accordo?
Gil: Io?
Hemingway: Parla perdio! Non credi che il mio amico stia commettendo un tragico errore?
Gil: Ecco, i-i-io no-non conosco i Fitzgerald abbastanza...
Hemingway: Sei uno scrittore, sai osservare, c'hai passato tutta la sera.


Scena della seconda sera in cui Gil sale sulla Peugeot d'epoca per essere catapultato nella Parigi degli anni venti. In questa scena Gil trova in macchina Hemingway,e con lui intrattiene un interessante dialogo sulla paura di morire e l'amore.

Hemingway: Non scrivi mai bene se hai paura di morire. Tu ce l'hai?
Gil: Si', io si'. Direi che forse.. direi che forse e' la mia paura piu' grande.
Hemingway: Beh, e' una cosa che a tutti prima di te e' successa e a tutti succedera'.
Gil: Lo so, lo so...
Hemingway: Hai mai fatto l'amore con una vera meraviglia di donna?
Gil: Beh, ecco, la mia fidanzata e'... parecchio sexy!
Hemingway: E quando fai l'amore con lei, senti una vera e bellissima passione... almeno per quel momento dimentichi la paura della morte?
Gil: No, no... Questo non succede.
Hemingway: Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte; la vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa, e quando un uomo che e' vero e coraggioso, guarda la morte dritta in faccia come certi cacciatori di rinoceronti o come Belmonte che e' davvero coraggioso, e' perche' ama con sufficiente passione da fugare la morte dalla sua mente, finche' lei non ritorna, come fa con tutti. E allora bisogna di nuovo far bene l'amore. Devi pensarci.


Scena al mercatino delle pulci di Saint-Ouen('Marche' aux Puces de Saint-Ouen') in cui Gil e' attratto da un vecchio pezzo di Cole Porter (You do Something to me) che giunge dal negozio dove lavora Gabrielle.

Gabrielle: Le piace Cole Porter?
Gil: Molto, sono un vero fan. Si'... anzi... mi piace pensare di far parte del gruppo di intimi amici di Linda e Cole. Sto scherzando!


Scena al museo dell'Orangerie ('Musee de l'Orangerie') dove Gil si reca in compagnia di Inez, Paul e Carol. Paul fa da cicerone ma Gil non riesce a trattere le sue considerazioni critiche in merito al quadro di Picasso, che aveva maturato la notte precedente a casa di Gertrude Stein, alla presenza del pittore e del suo soggetto (Adriana).

Paul: Ah si'.. Ecco un superbo Picasso. Se non vado errato dipinse questo meraviglioso ritratto della... della sua amante francese, Madeleine Prissou, negli anni venti.
Gil: Ah.. Pa-Pa-Paul, mi vedo costretto a dissentire da te.
Paul: Ah si'?
Inez: Gil, Gil, sta' un po' attento, magari impari qualcosa.
Gil: Si'.. be-be-beh.. se non vado errato, questo fu un tentativo fallito di catturare una giovane francese, di nome Adriana, di Bordeaux che, se gli studi mi assistono, era venuta a Parigi per studiare come costumista teatrale. E sono piu' sicuro che ebbe una storia con Modigliani. E poi Braque. Ed e' li' che Pablo la vide. Picasso. Quello che non ti fa arrivare questo quadro e' l'indefinibilita' della sua bellezza. Era davvero uno schianto.
"
Inez: Ma che ti sei fumato?
Gil: Io non definirei questo quadro 'meraviglioso', e' piu' un'affermazione petit-bourgeois di come in effetti Pablo la vede... la vedeva. Era distratto dal fatto che era un autentico vulcano a letto.


Scena in cui Adriana e Gil passeggiando per le strade del centro di Parigi, notano Zelda Fitzgerald sull'argine della Senna che cerca di togliersi la vita. In questa scena Gil, in tutta naturalezza, fa riferimento all'imminente al suo matrimonio nella vita reale, come pure ad un medicinale ancora non noto negli anni venti (Valium).

Gil: Tieni, prendi questo.
Zelda Fitzgerald: Che cos'e'?
Gil: Un Valium, ti sentirai meglio.
Adriana: Giri con delle medicine?
Gil: No, di solito no, ma da quando sono fidanzato con Inez, ho avuto qualche attacco di panico. Ma sono sicuro che sparira' dopo il matrimonio.
Adriana: Non ho mai sentito parlare del 'Valium'. Che cos'e'?
Gil: E'... e' la pillola del futuro.


Scena del bacio tra Gil e Adriana

Adriana: Cosa stai facendo?
Gil: Non lo so. Ma per un minuto mi sono sentito come se fossi immortale.


Scena finale. Gil, finalmente 'guarito', si stabilisce a Parigi e incontra casualmente Gabrielle che gli confessa di averlo pensato. Lei accetta di essere accompagnata a casa. Ma 'sfortunatamente' inizia a piovere. A Gabrielle piace Parigi con la pioggia, come in verita' (e piu' volte nel corso del film cio' e' stato rimarcato) anche a Gil. Il che lascia presagire ad un'affinita' tra i due che e' sempre mancata tra Gil e Inez.

Gil: OK, sta cominciando a piovere.
Gabrielle: Si'... No... ma e' lo stesso! Non mi dispiace bagnarmi.
Gil: Davvero?
Gabrielle: Si'. In realta', Parigi e' ancora piu' bella con la pioggia.
Gil: Io-io-io.. E' sempre quello che ho detto io. Non potrei essere piu' d'accordo con te.
Gabrielle: Si'
Gil: E' piu' bella...

Il Codice Da Vinci

venerdì 17 febbraio 2012

Vista la popolarita' che ha raggiunto questo libro di Dan Brown, avrei dovuto astenermi anche dal recensirlo. Ma e' stata troppa l'estasi dell'averlo letto nelle giornate di una calda estate su un'amaca o sotto un ombrellone su spiagge incantevoli, oltre che nei soliti posti dove soglio leggere. Il tutto non avrebbe nemmeno acquisito tanto fascino se realmente il romanzo non fosse subito apparso essere un thriller mozzafiato gia' dalle prime pagine, con interessantissimi innesti di chicche storiche piacevoli da leggere e difficilmente reperibili senza effettuare ricerche particolarmente approfondite sui temi trattati nel romanzo.

Penso che siano diverse le motivazioni che mi hanno spinto verso la lettura di questo libro. In primo luogo, e' la voglia di spostare le mie attenzioni verso la Francia. Ancor di piu' verso Parigi e il Louvre. Il posto dove si incentrano buona parte delle situazioni descritte in questo romanzo. Ma d'altra parte non posso prescindere da una componente inconscia che lega il titolo del libro e i miei studi accademici. I codici e la crittografia sono, infatti, il fulcro delle scienze informatiche. E sono forse le teorie che hanno reso l'informatica una disciplina scientifica a tutti gli effetti. Infine, leggere di Londra dopo avere visto alcuni dei posti in cui e' ambientata l'ultima parte del romanzo e' un incentivo ad una ricostruzione piu' verosimile di cio' che si legge. Un'evocazione piu' intensa delle situazioni che produce emozioni che riempiono.

La trama e' ben pensata e articolata ma, nonostante cio', molto coerente. Molto dettagliata e scorrevole allo stesso tempo. Ricca di suspance al limite di quanto la scrittura ne possa trasmettere. Forse e' stato proprio questo a farmi venire piu' volte la voglia di andare a vedere subito il film Il codice da Vinci (The Da Vinci Code), di Ron Howard e con Tom Hanks, che e' stato tratto dal romanzo. Ma per il resto, in linea con il mio pensiero, penso sia stato giusto leggere il libro prima di tutto.

L'inizio lascia gia' presagire l'inclinazione thriller del romanzo. Jacques Sauniere, direttore del Louvre, e' stato ammazzato da Silas, un monaco albino dell'Opus Dei zoppicante a causa del cilicio indossato sotto il saio, intento nella ricerca della Clef de voute (Chiave di volta), nel salone principale dello stesso museo. Prima di essere raggiunto da un colpo di arma da fuoco, l'uomo si aggrappa ad un dipinto di Caravaggio e fa scattare l'allarme. Il sistema d'allarme attivo fa abbassare le inferriate che bloccano l'ingresso nel salone principale del museo, impedendo al suo assassino di raggiungerlo. In tale isolamento, anche dopo essere stato colpito, Sauniere ha il tempo, prima di morire, di togliersi i vestiti, distendersi sul pavimento e disporsi nella stessa posizione della figura disegnata nell'Uomo vitruviano di Da Vinci. Sauniere inoltre si disegna addosso, con il proprio sangue, un pentacolo e infine lascia vicino al suo corpo le seguenti informazioni:

13-3-2-21-1-1-8-5
O, Draconian devil!
Oh, lame saint!
P.S. Trova Robert Langdon

Il motivo per cui l'Opus Dei e' alla ricerca della Chiave di volta e' sostanzialmente dovuto alla paura dell'intenzione del pontefice di rendere meno rigide le leggi che regolano la Chiesa. Questo 'respiro' avrebbe in qualche modo toccato anche l'Opus Dei, l'associazione cattolica tra le piu' conservatrici, guidata dal vescovo Aringarosa. Il vescovo percepisce la necessita' di fare qualcosa che gli dia gli strumenti in mano perche' cio' non avvenga. Questo qualcosa e' il ritrovamento del Santo Graal. Per impossessarsi del Santo Graal, Aringarosa si affida ad una figura che si e' presentata a lui dando delle indicazioni credibili relativamente al Santo Graal. Tale figura, che all'interno del romanzo e' identificata come 'Maestro', e' inizialmente misteriosa ma l'evolversi del racconto rivelera' essere un personaggio tra quelli che hanno un ruolo chiave nella soluzione del giallo del Louvre.

Dan Brown da' un'ampia esposizione relativamente alle diverse interpretazioni del Santo Graal. E questo e' sicuramente un aspetto che nel film di Ron Howard, non si puo' cogliere e lo rende per questo nettamente meno interessante. E forse e' proprio l'interpretazione di cosa si intende per 'Santo Graal', la chiave del romanzo. Il significato che alla fine Dan Brown relega a questo concetto e' quello dedotto da una delle tesi piu' recenti ovvero, quella esposta da Henry Lincoln - attore e documentarista inglese, che ha origine tra il 1969 e 1970. Da tale tesi lo stesso Lincoln ha tratto il libro Il Santo Graal pubblicato nel 1982, con il supporto di Michael Baigent e Richard Leigh.

La locazione del Santo Graal sarebbe un segreto in custodia al Prieure de Sion (Priorato di Sion). Il Priorato di Sion e' un'associazione segreta fondata a Gerusalemme nel 1099 da Goffredo di Buglione, nobile condottiero della prima crociata che dopo aver conquistato la citta', fu nominato Advocatus Sancti Sepulchri (Difensore del Santo Sepolcro), rifiutando il titolo di re della citta' dove Cristo era morto, asserendo che 'mai avrebbe portato una corona d'oro laddove Cristo l'aveva portata di spine'. Alla sua morte, avvenuta nel 1100, divenne re suo fratello Baldovino, col nome di Baldovino I. In tutto questo, Goffredo di Buglione, divenne depositario di un segreto occulto conservato dalla sua famiglia sin dai tempi della morte di Cristo. Per proteggere tale segreto e tramandarlo da una generazione all'altra, fondo' il Priorato di Sion.

Il Priorato di Sion negli anni che seguirono venne a conoscenza di importanti documenti sepolti sotto le rovine del Tempio di Erode, costruito sui resti del Tempio di Salomone. Tali documenti (che, a mio parere, dovrebbero essere la testimonianza della discendenza di Gesu' dal re Salomone) avrebbero rafforzato il segreto di Goffredo di Buglione. Ragion per cui il Priorato di Sion fondo' un ordine militare di nove cavalieri chiamato Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, ovvero i Cavalieri Templari o semplicemente Templari.

In sostanza, il segreto sarebbe da ricercarsi nella discendenza della famiglia di Goffredo di Buglione da Maria Maddalena, ritenuta moglie di Cristo dai vangeli gnostici (*). Discendenza 'avvalorata' dalla fuga dalla Palestina (**) di Maria Maddalena e di altri ebrei, per approdare in Provenza. Una volta in Provenza, Maria Maddalena, incinta, risali' il Rodano raggiungendo la tribu' dei Franchi, che non sarebbero stati altro che la tribu' di Beniamino nella diaspora ebraica, ed avrebbe avuto un figlio di nome Giacomo. La tesi sostiene che tale tribu' e' quella da cui ebbe origine la dinastia dei Merovingi.

Dunque, anche Maria Maddalena sarebbe cosi' una discendente di una famiglia reale. L'unione con Gesu' e il concepimento rappresentano quindi la continuita' di una dinastia.

Forse a partire da questa ultima ipotesi che Lincoln ha iniziato a trarre delle conclusioni sul significato di Santo Graal, che si distaccano dalle altre. Il termine 'Santo Graal' letteralmente indica una coppa o un piatto, visto che il termine 'graal' e' un vocabolo del francese antico. La trasposizione della traduzione francese di 'Santo Graal' ('San Greal') in 'sange real' ovvero 'sangue reale', ha portato ad associare il termine Santo Graal al calice da cui Gesu' bevve nell'ultima cena. Lincoln, invece, nella sua tesi si spinge piu' in la' dando un senso univoco al termine 'Santo Graal' che in buona sostanza accentra il suo significato come termine che ha origine inequivocabilmente da 'sangue reale'.

L'etimologia della parola secondo Lincoln, unita alle rivelazioni dei vangeli gnostici (*), rappresentano quindi per Dan Brown la chiave per inferire che il segreto custodito dal Priorato di Sion altro non e' che la preservazione della dinastia dei Merovingi dall'estinzione. Che e' anche la prova vera e inconfutabile che Cristo e' stato sposato e ha procreato.

Tale 'segreto', visto in quest'ultima chiave di lettura, e' un costante pericolo per le religioni cristiane e in particolare per la Chiesa Cattolica. E' cosi' che si spiegano le campagne di Clemente V in accordo con il re di Francia Filippo IV che venerdi' 13 ottobre 1307 iniziarono a sterminare i Templari, giudicati eretici da Dio, con la finalita' subdola di impossessarsi dei documenti protetti dal Priorato di Sion e distruggerli per sempre.

Da questa visione della tesi di Lincoln da parte di Dan Brown, si spiegano anche le motivazioni dell'Opus Dei di impossessarsi del Santo Graal. Aringarosa, probabilmente anch'egli inconsapevole di cosa consiste questo documento, pensa di impossessarsene per ricattare la Chiesa, in modo da ottenere piu' potere e scongiurare la linea meno austera che l'attuale pontefice si stava apprestando ad attuare.

Dan Brown si dimostra quindi un gran narratore riuscendo a incastrare eventi storici e religiosi, le tesi di Lincoln e i punti di vista di vari storiologi, in un contesto estremamente avvincente.

Entra in gioco cosi' il personaggio protagonista del romanzo, Robert Langdon, professore americano di simbologia religiosa presso l'Universita' di Harvard, che si trova a Parigi per una conferenza in cui avrebbe dovuto presentare delle diapositive sulle simbologie pagane, e quindi incontrare Sauniere. La direzione centrale della polizia giudiziaria, trovando il nome del professore vicino al corpo senza vita di Sauniere, si presenta alla porta della camera d'albergo dell'Hotel Ritz di Parigi, dove Langdon pernotta, per invitarlo a collaborare nelle indagini per l'inchiesta sulla morte del curatore del museo.

Sulla scena del delitto, Langdon, accompagnato dall'ispettore di polizia Bezu Fache, intuisce che potrebbe non essere facile uscire pulito da quella situazione che lo vede difatti essere l'unico indiziato. Incoraggiato da Sophie Neveu, crittologa della polizia di Parigi, nonche' nipote del curatore del museo, che gli offre la sua protezione, Langdon e' persuaso che l'unico modo per dimostrare la sua innocenza e' di cercare la verita'. Langdon diviene cosi' indagato e ricercato per l'omicidio del curatore.

Da questo momento ha inizio una lunga serie episodi, a partire dalla decifratura dell'anagramma O, Draconian devil! Oh, lame saint!, che porta al celeberrimo quadro della Monna Lisa esposto dentro il Louvre, dietro al quale Jacques Sauniere aveva impresso con un pennarello con inchiostro a fluorescenza l'anagramma So dark the con of man del titolo del dipinto della Vergine delle Rocce, esposto nella stessa sala del Louvre. Dietro quest'ultimo quadro, il curatore aveva apposto un oggetto metallico a forma di croce. La minaccia di Sophie Neveu di mandare in frantumi l'opera di Leonardo, costringe la guardia - che li aveva sorpresi dentro il museo dopo che avevano fatto credere a Bezu Fache e ai suoi di essere scappati, ad abbassare la pistola e permette alla crittologa di dileguarsi assieme a Robert Langdon.

Sull'oggetto metallico si legge l'indirizzo 24 Rue Haxo che corrisponde ad una filiale di una Banca di deposito di Zurigo. Inoltre, l'oggetto permette loro di entrare nella filiale e ritirare la cassetta di sicurezza associata ad un numero di conto di dieci cifre che i due scoprono essere la sequenza di cifre dei primi otto numeri di Fibonacci ('successione di Fibonacci'). Tale informazione era contenuta tra quelle lasciate da Sauniere e trovate accanto al corpo esanime, intenzionalmente anagrammata in modo da poter coinvolgere la crittologa nelle indagini per il suo omicidio.

All'interno della cassetta viene rinvenuto un cryptex. Dopo una corsa avventurosa, per sfuggire alla polizia, Langdon riesce a trovare ospitalita' a Chateau Villette, la tenuta del nobile amico inglese Leigh Teabing, storico ed esperto del Santo Graal. Dan Brown ha chiamato questo personaggio con il cognome di Richard Leigh e l'anagramma del cognome di Michael Baigent, dopodiche' e' stato da questi citato per plagio del libro Il Santo Graal dove viene esposta la tesi di Lincoln, principale ispiratrice del romanzo. Accusa da cui Dan Brown e' stato prosciolto.

Intanto, dopo aver assassinato i tre senechaux ('siniscalchi') e il Grande Maestro (Saunier) del Priorato di Sion, Silas, si impossessa della informazione 'falsa' del posto dove la Chiave di volta sarebbe custodita. Nella chiesa di Saint Sulpice a Parigi, sotto la Linea della Rosa, Silas non trova la Chiave di volta come gli era stato detto da ciascuna delle sue vittime, e uccide la sorella Sandrine. Poi su indicazione del Maestro giunge a Chateau Villette. Qui si impossessa momentaneamente del cryptex, ma con un'abile mossa, Teabing, l'agente Neveu e Langdon - con l'aiuto del maggiordomo Remy Legaludec - riescono a liberarsi, a sequestrare Silas e scappare a Londra con l'Hawker 731 del lord inglese.

La scoperta della chiave per aprire il cryptex sembra un rompicapo impossibile, fino a quando Langdon - associando il simbolo del Priorato di Sion (la rosa a cinque petali) intarsiato su di esso e dalle parole pronunciate da Teabing (<<La chiave che porta al Graal e' nascosta sotto il segno della Rosa>> ), non riesce a scoprire che sotto il simbolo della rosa presente sul cryptex, e' nascosta la seguente frase:

An ancient word of wisdom frees this scroll
And helps us keep her scatter'd family whole
A headstone praised by templars is the key
And Atbash will reveal the truth

La headstone citata nella frase non e' altro che la testa di ariete in pietra che raffigurava Baphomet, simbolo di fecondita' e procreazione, che i Templari veneravano nel rito sacro dello hieros gamos. La testa di Baphomet e' stato l'elemento accusatorio principale nella campagna di Clemente V per l'annientamento dei Templari. Dalla decifratura del termine 'Baphomet' scritto con l'alfabeto ebraico usando il cifrario a sostituzione Atbash, Langdon ottiene la parola 'SOFIA' che si rivelera' essere la chiave del cryptex. Al suo interno, il cryptex contiene un cryptex piu' piccolo e una pergamena che riporta la seguente frase:

In London lies a knight a Pope interred.
His labor's fruit a Holy wrath incurred.
You see the orb that ought be on his tomb.
It speaks of Rosy flesh and seeded womb.

Dopo l'atterraggio del jet nell'aeroporto di Biggin Hill proseguendo fin dentro l'hangar privato di Teabing, ed essersi sapientemente liberati dalla polizia inglese che attendeva Langdon e Sophie Neveu per arrestarli, i quattro e l'ostaggio si dirigono erroneamente - ma con la consapevolezza di Teabing - verso Temple Church. Qui Remy, rimasto fuori ad aspettare, in accordo preso segretamente con Teabing, libera Silas in modo che questo vada a impossessarsi del cryptex, senza sollevare sospetti in Langdon e quelli di Sophie.

Le cose non vanno ancora come si era pensato e deve essere Remy ad esporsi e cosi' appropriarsi del cryptex, fingendo di catturare Teabing. Dal baule della macchina Teabing, nelle vesti del Maestro, riferisce telefonicamente a Silas di lasciare la Chiave di volta a Remy e andare a rifugiarsi in un convento dell'Opus Dei finche' le acque non si fossero calmate. Intanto anche la polizia giuduziaria con a capo il tenente Collet (visto che nel frattempo il capitano Bezu Fache e' intento nell'inseguimento di Langdon a Londra) si accorge di quanto Teabing fosse realmente implicato in questa faccenda. Scattano cosi' le operazioni per arrestare il monaco albino e per fermare lord inglese.

La prima operazione coincide con l'arrivo di Aringarosa al convento dell'Opus Dei dove e' ospite Silas, che sta per venire arrestato dalla polizia di Londra. Silas cerca di fuggire e nella colluttazione a fuoco con la polizia rimane ferito, dopo aver erroneamente sparato al vescovo da poco sopraggiunto al convento. Silas fugge disperato con il vescovo tra le braccia e lo lascia al St Mary Hospital per ricevere le cure che lo salveranno. Lui invece morira' dissanguato, poco dopo, affranto dai rimorsi, sotto la pioggia di Kensigton Gardens.

La seconda operazione invece e' un tantino piu' complicata. Infatti, Teabing incontra il maggiordomo nei dintorni di St James Park. Remy gli fa avere il cryptex ma, il fatto di essersi esposto in Temple Church, lo relega agli occhi del suo padrone come una possibilita' della polizia per incriminarlo. Cosi' Teabing, con il pretesto di festeggiare il prezioso ritrovamento, lo incita a bere un sorso di cognac che pero' contiene della polvere di arachidi a cui Remy e' estremamente allergico. Remy morira' quasi istantaneamente.

Teabing si incammina con il cryptex in tasca verso Westminster e il Big Ben, alla volta di Westminster Abbey dove l'aspettava un nuovo dilemma da sciogliere prima di proseguire sulla strada del ritrovamento del Santo Graal. A Westminster Abbey arrivano anche Langdon e la crittologa, dopo aver compreso che 'a pope interred' nella frase ritrovata sulla pergamena sta a indicare 'seppellito da Alexander Pope' e non 'seppellito da un papa'. E Alexander Pope e' stato realmente colui che presiedette al funerale di Isaac Newton tenendo un commovente discorso per l'amico e collega defunto, prima di spargere le ceneri sulla sua tomba.

Dopo aver trascorso invano del tempo davanti al sarcofago di Newton, Teabing si accorge del sopraggiungere di Langdon e di Sophie. Trovandosi in difficolta' nel ritrovamento della parola di cinque lettere che apre il cryptex, li induce, quindi, in un luogo piu' isolato dell'abbazia per proporre loro di collaborare a rivelare al mondo il segreto del Santo Graal. Al fine di guadagnarsene la fiducia, Teabing da' il cryptex in mano a Langdon e nel frattempo attende la sua decisione per la proposta di collaborazione. Essendo Teabing armato, Langdon comprende il peso della decisione che deve prendere. Se decide di non collaborare, Teabing ammazzera' sia lui che Sophie, diversamente tradira' brutalmente la fiducia riposta in lui dal curatore e quella di sua nipote.

Sapientemente Langdon temporeggia e nel frattempo arriva alla soluzione geniale che sta nella stringa 'APPLE'. Difatti, la mela e' il frutto che e' alla base degli esperimenti di Newton che allo stesso tempo ha causato la 'collera di Dio' quando Eva la mangio' nel giardino dell'Eden. Inoltre, e' la sfera che - per il fatto di essere alla base del lavoro di Newton, avrebbe meritato di risiedere sulla sua tomba. Infine, ha la polpa rosastra sotto la buccia e al suo interno e' 'inseminata', per il semplice fatto che contiene dei semi.

Di nascosto, apre il cryptex che contiene il foglietto con l'indicazione ulteriorie sulla locazione del Santo Graal, e poi sapientemente costringe Tebing a mollare la pistola per salvare il cryptex oramai vuoto, lanciandolo in aria. L'arrivo di Bezu Fache vede l'uscita di scena definitiva di Teabing. Nel contempo, si delinea nitidamente il ruolo di copertura del capitano nei confronti dell'Opus Dei, fortemente assecondato dal tenente Collet.

Oltre la sottolineatura tagliente del potere politico ricoperto dall'Opus Dei, la ricerca del protagonista e della crittologa si protrae questa volta senza dubbi, dopo la lettura della nuova quartina confezionata da Sauniere:

The Holy Grail 'neath ancient Roslin waits.
The blade and chalice guarding o'er Her gates.
Adorned in masters' loving art, She lies.
She rests at last beneath the starry skies.

I due giungono in Scozia, a una decina di chilometri di Edimburgo, presso la Cappella di Rosslyn. Tale cappella, che un tempo si chiamava 'Roslin' proprio perche' giaceva sulla Linea della Rosa - l'antico meridiano con longitudine zero prima che fosse designato come tale quello di Greenwich, e' stata costruita come una copia del Tempio di Salomone. Proprio per questo sarebbe un posto molto ovvio dove poteva essere custodito il Santo Graal. E Langdon non si da' pace al pensiero della semplicita' sconcertante per individuare la posizione del Santo Graal secondo le ultime indicazioni lasciate da Sauniere. E difatti il suo' presentimento non verra' smentito.

Il romanzo lascia immaginare come Sauniere induca intenzionalmente all'errore Langdon spingendolo fino a Rosslyn. Nella cappella dove aveva gia' portato Sophie da piccola. Dove si rifugiavano la nonna e il fratello di Sophie che lei credeva morti insieme ai genitori, nel misterioso incidente stradale (anche se Dan Brown sembra che dica, per bocca di Teabing, che e' un incidente commissionato dalla Chiesa) in cui questi persero la vita. In realta', la nonna e il nipote vivono a Rosslyn sotto protezione del Priorato di Sion per preservare la dinastia dei Merovingi. Come la nonna ha modo di spiegare a Sophie, i veri cognomi dei genitori sono Plantard e Saint-Clair ed erano entrambi discendenti diretti di Gesu' e di Maria Maddalena. I cognomi sono stati modificati nel tempo per salvaguardare la loro incolumita'.

In questa occasione, la nonna chiama Sophie come gia' da piccola si sentiva chiamare da Sauniere, ovvero 'Princess Sophie', e a questo punto diventa chiaro anche l'ultimo pezzo di informazione del messaggio che il curatore ha lasciato vicino al suo corpo, mentre si apprestava a morire. 'P.S.' sta a significare che il messaggio 'Trova Langdon' e' la sua volonta' che Pricess Sophie si fidi di Langdon per salvarsi e salvare il segreto protetto dal Priorato di Sion.

Questo finale lascia presagire il senso del Santo Graal secondo l'ottica di Dan Brown. Il romanzo tuttavia prevede un epilogo in cui l'ultimo messaggio di Sauniere viene interpretato nel modo piu' logico e meno immediato. Come se Dan Brown non voglia farsi carico di concludere apertamente che il Santo Graal e' la continuita' della dinastia dei Merovingi. Oppure, viceversa, come se volesse elevare ulteriormente la figura del Grande Maestro attribuendogli l'abilita' di far leva su Langdon per salvare il segreto del Priorato di Sion e, nel contempo, di buttarlo fuori strada una volta perseguito il suo scopo, per non svelarlo fino in fondo.

Langdon, tornato a Parigi, capisce che la 'Roslin' citata nella frase del curatore e' la Linea della Rosa e cosi' la percorre seguendo il tracciato segnato per le vie di Parigi da centotrentacinque medaglioni di bronzo. Fino a quando non arriva a Carrousel du Louvre, al centro del cui irrompe verso il basso la Pyramide inversee. Entrando nel Louvre e poi incamminandosi fino al vertice della piramide, Langdon, una volta che si trova sul posto, realizza che il suo vertice che dista due metri da terra e' il 'calice' citato nella frase di Sauniere, mentre il vertice della sottostante piramide in miniatura, alta circa un metro e mezzo e perpendicolare al vertice della Pyramide inversee, e' la 'lama'. Alzando lo sguardo al cielo stellato Langdon non ha piu' alcun dubbio di essere arrivati al punto dove Sauniere avrebbe conservato il Santo Graal, e si inginocchia in segno di grande riverenza.

C'e' stata un'anomalia rispetto alle mie precedenti letture. Il Codice Da Vinci, a differenza degli altri libri, mi ha fatto tenere a lungo la matita in mano mentre leggevo, senza usarla. Senza sottolineare alcuna frase che mi ha colpito e mi ha lasciato un segno nell'anima. Fino a quando ho capito che la matita non occorreva. Perche' non ci poteva essere nulla da sottolineare. Ed e' per questo che concludo che questo romanzo e' leggero.

Ma la mia riflessione contrasta evidentenentemente l'avversione dei contenuti nei confronti della Chiesa. Quei contenuti che hanno sollevato violente polemiche specie quando inizialmente Dan Brown introdusse il romanzo come una storia vera, in cui i riferimenti storici sono frutto di scrupolose ricerche. D'altra parte, chi controbbatte' queste affermazioni pubblicate nell'introduzione alle prime edizioni dell'opera, non venne mai smentito e addirittura l'autore fini' per togliere la sua introduzione dalle successive edizioni. Questo puo' far pensare sicuramente a un mossa promozionale che avrebbe dovuto portare maggior popolarita' a Dan Brown e al suo romanzo.

E cio' puo' essere ragionevolmente vero. Ma in me e' suonata come una esternazione di determinati pensieri sulla Chiesa, sulla religione e, ancora piu' in generale, sulla spiritualita'. Pensieri che vogliono una Chiesa che permetta di credere in Dio e di interagire con l'istituzione 'Chiesa' finanche arrivando a criticare aspetti teologici. Penso che i tempi sono maturi per la Chiesa per liberarsi di un oscurantismo che oramai distoglie sempre piu' persone e le induce verso un ateismo a cui si possono anche attribuire parte dei mali della nostra societa'.

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