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Estate in Sicilia

sabato 05 maggio 2012

Non ci avrei scommesso molto su questa vacanza, ma mi sono dovuto ricredere. Un biglietto aereo di andata con destinazione Palermo e uno di ritorno con partenza dall'aeroporto di Trapani era quanto di sicuro c'era ad una settimana dalla partenza. Mentre, per il resto, tanta riluttanza rafforzata anche da un morboso attaccamento ai pensieri che quotidianamente ci assalgono fino quasi ad affossarci.

In questo clima di scoramento, pochi erano stati i punti che mi ero prefissato come mete da visitare negli otto giorni di soggiorno siciliano. La Riserva dello Zingaro, San Vito Lo Capo, Erice e Favignana erano i posti che nelle poche volte che avevo parlato in giro di questa vacanza, erano venuti fuori. E non riuscivo a rendermi conto del valore paesaggistico e culturale che queste poche mete potevano ricoprire. Tant'e' che mi sforzavo di pensare a come impiegare il tempo rimanente della mia vacanza. E mi convincevo che lo avrei riservato a oziare sulla prima spiaggia che mi sarebbe capitata a portata di mano o ovunque chi mi ha dato ospitalita' mi avrebbe permesso di farlo.

Ma la Sicilia e' terra di persone di cuore e di gente verace, con la preuccupazione di farti sentire di casa e con l'orgoglio che prova per la propria terra che la spinge a suggerire sempre nuove mete e nuovi posti incantevoli da far vedere ai propri ospiti. Ma non solo. Nuovi piatti e sapori, usanze e tradizioni. E tanto altro. Insomma, la Sicilia vista in quei giorni mi e' parsa di essere come un nuovo mondo. L'Italia che pensi che sia finita e non ha piu' niente di nuovo da farti vedere dopo anni e anni che ci giri dentro, ti sbalordisce regalandoti ancora altre e piu' grandi bellezze.

Cala Azzurra, Guidaloca e Baglio di Scopello

In quel paradiso di posto dove sono stato ospite per alcuni giorni, bastava attraversare la strada e scendere giu' per qualche centinaio di metri attraverso dei sentieri, per arrivare alla Cala Azzurra. Per giungere sul fazzoletto di spiaggia che riserva la caletta, e' poi necessario attraversare un tratto roccioso e mettere per qualche metro i piedi nell'acqua poco profonda e cristallina di quel mare.

Un paradiso, dunque, sia al di la' della strada che al di qua. Le piante che circondavano la casa in legno con pavimento in pietra grezza e la attigua cucina circondata da muri con decorazioni in pietra di pregevole gusto, con una copertura leggera e senza infissi per lasciar passare la piacevole brezza marina per tutto l'arco della giornata, davano un senso di inconsistenza tra i confini sempre piu' netti che oggi demarcano gli artefatti rifugi dell'uomo, dalla natura.

E tutto si confondeva tra cio' che era dentro e cio' che era fuori. L'amaca, le brecce che tracciavano il vialetto, la palma, i due cani che avresti voluto far scomparire con uno schiocco di dita, e il sontuoso pino illuminato per tutta la notte da un fascio di luce verde bottiglia. Le sdraio in legno venghe', abbinate al tavolino e alle sedie del giardino, avrei voluto che piu' spesso fossero il mezzo per riconsegnarmi un pizzico del tanto agognato relax.

E' tardo pomeriggio e fare quattro passi a piedi piu' in la' fino alla spiaggia di Guidaloca e' un piacere raffinato. Non ha niente di speciale quella spiaggia. Ma ogni posto di mare in una sera di piena estate, quando e' sicuro di non trovarci piu' la calca e un piacevole alito di vento salato puo' accarezare le pelli bruciate dal sole della giornata appena trascorsa, acquisisce un valore che non ha prezzo. E ce lo siamo goduti tutto.

Piu' tardi in macchina ci siamo spinti fin su al centro di Scopello. Sulla collinetta dominata dall'omonimo baglio (Baglio di Scopello), antica residenza di caccia di Ferdinando III di Borbone, a cui da poco e' stato ridato il suo nome originario 'Real Sito di Scopello di SM il Re Ferdinando III Re di Sicilia'. Gia' l'aver ritrovato una simile struttura rievocativa dell'Italia divisa, e ancor di piu' con il salto all'indietro fatto con la rinominazione del sito borbonico, e' stata come una conferma dentro me che i fanatismi separatisti non sono solo localizzati e attivi nel nord della penisola. E l'averlo realizzato mi ha suscitato inquietudine.

Ma a parte questo, dentro al baglio e all'esterno, sulla piazzetta lastricata in pietra e su cui irrompe un antico abbeveratorio, un considerevole numero di gruppi di giovani e turisti in generale, pronti a partire o reduci dalla traversata della vicina Riserva dello Zingaro, rendevano ancora piu' piacevole la gia' gradevole permanenza in questo borgo.

Riserva dello Zingaro, Castellammare del Golfo e 'acqua caura' di Alcamo

La nostra ispezione nella Riserva Naturale Orientata dello Zingaro era partita con ben altri presupposti. I circa sette chilometri del sentiero costiero, non avrebbero dovuto portarci via molto tempo per attraversarlo, considerando anche le piacevoli soste in ciascuna delle quattro calette principali su cui e' possibile soffermarsi e fare un bel bagno ricostituente.

Perche' portarci dell'acqua quindi? 'Piu' leggeri si e' e meno fatica si fa' pensavo io. E poi arrivati all'Ingresso Nord avremmo trovato un modo per arrivare a San Vito Lo Capo per passare il resto della giornata in ozio. La sera si sarebbe potuto ritornare in autobus a Castellammare del Golfo, prendendo una delle due corse giornaliere che collegano i due centri, a seconda di quanto sarebbe stato di nostro gradimento rimanere a San Vito. Ma le cose non sono andate cosi'.

L'ingresso lascia pensare ad una piacevole passeggiata attraverso dei comodi sentieri. Dopo la galleria che e' simbolo della riserva, visto che segna il primo passo della costruzione della litoranea Scopello-San Vito Lo Capo e anche la vittoria della volonta' dei cittadini che hanno desiderato lasciare intatto questo magnifico tratto di costa, il sentiero diventa ben piu' scosceso e faticoso da percorrere. La vegetazione diventa anche molto piu' rada - salvo tratti che attraversano oasi in cui la vegetazione si rinvigorisce e si possono ammirare degli esemplari vegetali tipici e molto rari.

Poco piu' avanti si incontrano le prime discese a mare. La costa della riserva e' frastagliata e accessibile per lunghi tratti solo via mare. Eccezion fatta per le quattro calette (Cala Capreria, Cala della Disa, Cala dell'Uzzo, Cala Tonnarella) per cui esistono delle variazioni del percorso costiero che permettono l'accesso ad esse.

E anche se gli operatori all'ingresso ci hanno detto che tra tutte le calette la piu' degna di un bagno era Cala della Disa, non abbiamo resistito a soffermarci gia' a Cala Capreria. Uno spettacolo, e a giustificarlo era anche la quasi impossibilita' di trovare un ritaglio di spiaggia ghiaiosa dove stendere i nostri teli. In acqua pero' lo spazio c'era. E la piacevolezza di stare ammollo ci ha fatto godere persino della folla che sovrastava quel piccolo paradiso.

Dura la risalita e duro riprendere il cammino, anche perche' il sole si era alzato ancor piu' e picchiava oramai perpendicolarmente su lunghi tratti di selciato. Era scontato quindi che ci saremmo fermati alla prossima occasione propizia. Che ci si e' presentata qualche centinaio di metri piu' avanti, con il Museo della manna. La sosta, oltre ad essere salutare, e' stata anche interessante da un punto di vista culturale. Pino, il custode dei locali che ospitano questa esposizione, ci ha dato delle interesssanti delucidazioni su questa linfa che si estrae in un particolarissimo periodo dell'anno dai frassini presenti in questo tratto di riserva. La sua arte e' quella di praticare l'intaglio nella corteccia dei frassini che permette alla manna di fuoriuscire ed essere cosi' raccolta per essere lavorata.

Eravamo gia' consapevoli che non saremmo andati oltre la prossima caletta. E visto anche che Cala della Disa era veramente magica come ci avevano descritto, ci siamo rimasti a lungo prima di tornare tutto d'un fiato verso l'Ingresso Sud della riserva.

Un pomeriggio d'estate non e' mai stato cosi' corto, passato a non far nulla tra il lettino e l'amaca all'ombra di due piccoli ulivi sotto il pino secolare che impereggiava nell'ampio giardino. E poi, la potatura della palma nana e' un mestiere che ho sentito subito mio. Un giro in centro a Castellammare del Golfo per prenotare una minicrociera per San Vito Lo Capo del giorno dopo. Tanta vita e tanto fascino nei pressi del porto di questa citta', dominato dal Castello Arabo-Normanno collocato sul promontorio che si sporge sul mare, quasi a metter paura a qualunque navigante un tempo osava avvicinarsi.

Con le ultime luci del giorno, ci rechiamo verso la vicina Alcamo per un salutare bagno all''acqua caura' ovvero alle Acque Calde di Alcamo. Si tratta di un rigagnolo di acque termali dove si formano delle pozze in mezzo alla natura, in cui molte persone vanno per immergersi e beneficiare degli effetti terapeutici di tali acque. In realta', Andrea ci ha spiegato che questo corso d'acqua e' famoso in quanto, poco piu' su, diventa un frequentatissimo ritrovo per gay. Cosa che abbiamo appurato dopo la mezzoretta che abbiamo trascorso a bagno, andando via, spingendoci qualche centinaio di metri piu' su lungo la strada che costeggia il ruscello per fare manovra con la macchina e tornare indietro.

E' sera inoltrata quando rientriamo e per cena optiamo per qualcosa di veloce e di tipico. Pane con le panelle, le tipiche frittelle palermitane fatte farina di ceci, stigghiola (spiedino arrostito fatto con budella di agnello aromatizzate con prezzemolo e cipolla) e birra a volonta'.

Minicrociera da Castellammare del Golfo a San Vito Lo Capo

L'indomani la nostra giornata inizia ancora con qualcosa di tipico ovvero una ricca colazione con le Iris, tipici dolci siciliani farciti di una squisita crema alla ricotta, con gocce di cioccolato. Poi direzione porto, dove la Leonardo Da Vinci era oramai al limite della capienza per iniziare la minicrociera fino a San Vito Lo Capo. Mancavamo solo noi e pochi altri, e il simpaticissimo Capitano Sandro aveva gia' la lista degli ospiti in mano pronto per chiamare l'appello.

Lasciando il porto e seguendo la costa verso Ovest, si ha subito la possibilita' di vedere questa bellissima cittadina da un punto di vista spettacolare che il capitano ci ha indicato come porta di Castellammare e la motivazione di cio' e' antica. Infatti, quando gli stranieri arrivavano via mare, l'attraversamento di questa scogliera dava l'accesso alla vista del Castello Arabo-Normanno e del porto, e di tutta la cittadina le cui costruzioni si arrampicavano tutt'intorno fin su le pendici del Monte Inici.

Proseguendo lungo la costa l'imbarcazione si e' fermata in piu' punti caratteristici. Tra gli altri mi e' rimasto impresso la Grotta delle Colombe, non tanto per la bellezza ma per la capacita' umana di ricamarci sopra delle leggende che hanno a dir poco del bizzarro. Si tramanda che le donne che riescono a contare dieci colombe dentro la grotta, entro l'anno troveranno marito. Non c'e' dubbio che il racconto e' simpatico, ma molto piu' divertente e' stato ammirare le persone che cercavano aggrapparsi a questo detto e contare le dieci colombe, anche se visibilmente non ce ne erano piu' di quattro o cinque al massimo.

Il nostro viaggio in barca prosegue costeggiando tutta la costa dello Zingaro. Dal mare e' possibile ammirare il paesaggio unico della riserva e la vegetazione che quasi inspiegabilmente a sprazzi prende vigore nella cornice unica tracciata dal Monte Speziale, desolatamente brullo e arido e spoglio, ma forse proprio per questo ancora piu' carico di fascino e di una bellezza unica di questa terra.

Passata la riserva, dopo la sosta davanti alla Cala Leone e un meritato bagno con relativi tuffi dalla motonave (che mi sono costati consapevolmente la perdita di una lente corneale), il Capitano Sandro ci avvisa che di fronte a noi c'e' la Tonnara del Secco, posto reso famoso anche per essere stata teatro dell'episodio 'Il giro di boa' della serie televisiva 'Il commissario Montalbano'.

Il sole alto, con i raggi che scendevano quasi dritti sulle nostre teste, la giornata particolarmente chiara e il paesaggio spoglio e arso di queste zone, acquisivano un fascino sempre piu' irresistibile man mano che ci avvicinavamo alla nostra destinazione. E la vista della spiaggia di San Vito che si e' aperta alla nostra sinistra dopo aver superato l'enorme montagna i cui costoni rocciosi a strapiombo sul mare assumono la strana forma del profilo della testa di un gigantesco elefante, penso che a pochi non abbia suscitato desiderio. Desiderio di esser la', di sentire la sabbia e i raggi del sole. E di tanto in tanto immergersi in quelle acque chiare che, per opera della sabbia bianchissima dei bassi fondali, riflettevano un celeste incredibilmente intenso che trasmetteva una senzasione di piacevole calore e di candore.

Da li' a poco abbiamo attraccato nel porticciolo turistico. Una visita veloce nella chiesa di San Vito, con tanta fede e un pizzico di superstizione. Poi uno spuntino veloce in un bar che da' sulla piazza e una granita che in quel contesto di caldo secco e senza ombre, di case bianche assimilabili a parallelepipedi senza una piu' specifica connotazione, se non fosse per i colori irrompenti dei loro infissi e per i vasi colmi di fiori colorati che soventemente le ornano, assumeva un fascino che mi sembrava di trovarmi in un film degli anni settanta, del genere di La ragazza con la pistola.

Le rimanenti ore trascorse in questo incantevole borgo di Sicilia le abbiamo passate in spiaggia. Facendo difficolta' a scegliere se stare in acqua o sulla sabbia, tanto che era invitante starci dall'una o dall'altra parte.

Il rientro me lo sarei immaginato monotono. Alla fine dovevamo ripercorrere la via dell'andata, al contrario. Ma il diverso orientamento del sole ce l'ha fatta sembrare come un tragitto nuovo, o forse semplicemente ce l'ha resa piacevole da vedersi come se fosse la priva volta che l'attraversavamo.

Questa volta ci siamo fermati di fronte alla Tonnara di Scopello e ai Faraglioni che quasi la ingabbiano. Il borgo e' incantevole. Ed e' incredibile il solo pensiero che sia proprieta' privata e che l'accesso al mare di un pezzo di costa della nostra Italia che avrebbe dovuto essere pubblico demanio, debba essere regolamentato dallo scambio di denaro.

Comunque, il Capitano Sandro ci informava dalla voce d'altri tempi che si diffondeva dal megafono che aveva in mano, un po' a mo' di indovinello e un po' a mo' di insegnante delle scuole elementari che porta in gita la sua scolaresca, che la vista che avevamo di fronte a noi era stato teatro di alcune scene di Ocean Twelve che hanno visto impegnate star del calibro di Brad Pitt e Catherine Zeta-Jones. Non vi descrivo la fierezza del capitano nel raccontarci questi gossip. Nemmeno minimamente intaccata dall'ironia a volte imbarazzante di alcuni turisti dall'aria particolarmente leggiadra.

L'arrivo in porto non ha affatto cancellato la magia delle piacevoli sensazioni provate in questa giornata, perche' Castellammare, in un tipico tardo pomeriggio d'estate, quando la gente comincia a girare per le vie adiacenti al porto e i tavoli dei locali tutt'intorno cominciano a riempirsi, ha un'aria davvero speciale che ti viene voglia di contiunuare a viver quei posti senza un attimo di pausa. Senza fermarti per una doccia che ti porta via il sale. Senza ritornare a casa e cenare. Senza farti mettere un abito che ti conforma agli altri e avere cosi' il lasciapassare per tornare in centro e sentirti solo uno dei tanti. Ma poi cedi.

San Vito Lo Capo

La notte fonda per le vie di Castellammare mi ha regalato, contro tutti i pronostici, un risveglio dolce e desideroso di continuare, mantenendo quei ritmi frenetici, a vedere e vivere i momenti di questa vacanza istante per istante. E cosi' sono tornato ancora a San Vito Lo Capo con amici. Ma c'e' ancora qualcosa di nuovo. Dopo la riserva e dopo la crociera, la novita' e' l'aver raggiunto San Vito attraverso la strada asfaltata. Se si pensa ai soli setti chilometri di costa che dividono Scopello da San Vito, che possono diventare venti, ma non piu', quelli che separano i centri di Castellammare e di San Vito, diventano quaranta e rotti se percorsi lungo l'unica striscia d'asfalto che collega i due comuni.

Ancora una giornata chiara, soleggiata e un'aria salina che non vorresti mai smettere di inalare. Sdraiarsi sulla distesa bianca e morbida, scottarsi al sole e poi andare ad idratarsi nel vicino specchio d'acqua, e' un piacere che il ripetersi sistematico a cicli regolari, non sminuisce. E prosegue fino a sera tarda. Quando l'imbrunire accende i contorni che demarcano i confini che separano la volta celeste dalla terra e dal mare, di un rosso fuoco che si sfuma e si perde nell'azzurro carico del cielo che si appresta ad assumere i colori della notte.

E' l'ora giusta, per una partita a pallavolo o a calcio sulla sabbia. E poi un bagno e una doccia fresca. Un trancio di pizza e una coca diventano la pietanza piu' gradita per cena, in tali contesti. Come piacevole e' sedersi in cerchio e cominciare a parlare di argomenti disparati, che mettono a confronto persone con diverse origini e diverse tradizioni. Diversi stili di vita e punti di vista. A volte anche che si trovano di fronte per la prima volta.

Poi si fece tardi. In macchina avevamo tutti il ricambio per la sera. In programma c'era il Summer Music Festival, un appuntamento con una partecipazione di nomi discretamente importanti sullo scenario musicale nazionale e internazionale. Lo spettacolo si svolgeva sull'ampia spiaggia, ed e' stata questa la cosa che per me rendeva un tantino eccitante parteciparvici. L'eccitazione si impenno' invece quando, finito il festival, ebbe inizio l'evento per me piu' atteso del programma previsto per la Notte Bianca che quella sera si stava tenendo. E come lo era per me, lo era per pochi altri. E in un battibaleno ci siamo trovati sotto il palco.

Poco male, se si pensa che da li' a poco ci saremmo trovati di fronte ai Jarabe de Palo, trainati dal mitico Pau Dones. E non lo dico perche' adesso l'ho visto. Ma perche' al di la' dell'artista, e' stata sempre una persona che a mio parere suscita trasparenza, spontaneita' e originalita' che nel mondo della musica, a certi livelli, non si trova. Che si tratta di personaggi particolari e' chiaro, basti ricordare che dal 2008 hanno divorziato dalla propria casa discografica per forndarne una propria.

Il concerto e' andato avanti fino a notte fonda, ma sempre piacevole per l'ottima musica e i piacevoli intramezzi in un italiano piuttosto stentato - ma non per questo meno apprezzato - di Pau Dones. Veramente memorabile la conclusione del concerto con La flaca, il pezzo che li ha lanciati.

La Notte Bianca e' proseguita con la discoteca in spiaggia. Fatto che potrebbe essere non meritevole di segnalazione, se non perche' e' stato un importante segnale di apertura, di creare un elemento di socializzazione, di prestare attenzione verso le giovani generazioni. E questo mi ha fatto ammirare chi si e' impegnato a organizzare in tal modo l'evento. Perche' ha dimostrato di saper cogliere e di saper dare il giusto focus a chi si appresta ad affacciarsi sul mondo, quando la maggior parte dei 'meno giovani' tralascia irresponsabilmente aspetti come questo. E a conferma dell'attenzione per i giovani da parte di chi ha permesso quest'evento, c'era una distesa di tende da campeggio che ricoprivano le spiagge su cui si affaccia il lungomare. In quel momento un forte desiderio di trovarmi tra loro con vent'anni in meno, si e' trasformato in una sottile e malinconica stretta al cuore.

Palermo e Erice

Per andare a Palermo abbiamo bisogno di essere accompagnati da una persona che ci si sa muovere dentro. Nulla di meglio della compagnia di Ninuccio. Un uomo speciale nella sua semplicita'. Un anticonformista dalla nascita, mi sembra di capire. Suona in un gruppo e costruisce delle bellissime collane con dei belissimi minerali sapientemente accostati. Segno della vena artististica che risiede in lui. E veste con delle lunghe camicie che ricordano un abbigliamento nordafricano. E' un cittadino mediterraneo. E' un individuo aperto, che favorisce l'integrazione dei popoli ed e' per lo scambio delle culture.

Seduti ad un bar, un pomeriggio torrido di una domenica, nei pressi della stazione dei treni, Ninuccio parla, e questi aspetti vengono fuori e mi affascinano, come mi affascinano i discorsi dell'essere umano che ha affrontato situazioni difficili e ha coltivato sogni. Tra tutti, Lotta Continua. Oggi non si batte. Ma racconta serenamente e con una dignita' ben al di sopra della media, a chi vuol ascoltare. A chi non ha pregiudizi e chi vuol farsi un'opinione di come siamo il risultato del nostro passato prossimo. E un'opinione per partecipare alla costruzione del nostro futuro.

Sulla via del rientro i discorsi si fanno piu' leggeri ma, anche dopo essermi fatto sfuggire tutto di Palermo, non passo indifferente davanti agli obelischi ai margini dell'Autostrada Palermo-Mazara del Vallo, nei pressi di Capaci, che segnano il punto dove il giudice Giovanni Falcone venne fatto saltare in aria insieme alla moglie e a due guardie del corpo. Nell'indifferenza di migliaia di macchine che in un senso e nell'altro sfrecciano ogni giorno, io ho provato un brivido al pensiero della trappola diabolica che e' stata tesa per far tacere per sempre quell'uomo che ad alta voce coltivava un sogno condiviso da gran parte degli uomini e che il piu' delle volte codardamente segregano nella loro mente.

E' pomeriggio tardo, e come spesso e' accaduto in questi giorni, abbiamo lasciato spazio alla nostra schiettezza davanti ad un boccale appannato di freschissima birra bionda, prima di andare a visitare Erice. Ci siamo quindi inerpicati sul monte omonimo che sovrasta Valderice a Est e Trapani ad Ovest, e sulla cui sommita' si trova il borgo antico del paese. La prima vista davanti a noi ci ha presentato le Torri del Balio, le imponenti torri edificate dai Normanni e ricostruite dal conte Pepoli alla fine del 1800. Tale conte fece costruire anche la torretta che da lui prende il nome (Torretta Pepoli) che si erge su una piattaforma rocciosa sul costone ai piedi delle Torri del Balio. Aggirando le Torri del Balio, si percorre il Giardino del Balio, anche questo voluto dal conte Pepoli.

Era gia' l'imbrunire quando abbiamo finito di attraversare il Giardino del Balio per trovarci sulla balconata antistante. Poco male visto il bellissimo tramonto che da lassu' si ammira su Trapani e sul mare di fronte a essa, con le sagome di Favignana, Marettimo e Levanzo che si delineano sullo sfondo.

Allontanandosi dalla vista panoramica sulle Egadi che volge a Ovest, e percorrendo la balconata che rende l'idea del perche' nei secoli in molti furono a volersi insediare ad Erice, si arriva alla scalinata che porta al Castrum Montis Sanctis Juliani (Castello di San Giuliano), nel cortile del quale all'inizio del secolo scorso e' stato rinvenuto il Tempio della Venere Ericina. Il castello risale ai tempi dei Normanni e occupa la sommita' del paese. I Normanni battezzarono l'attuale Erice con il nome 'Monte San Giuliano' (e tale rimase fino all'inizio del secolo scorso), in onore del santo che la leggenda narra averli aiutati a vincere la battaglia che sanci' l'estromissione dei Saraceni. Il castello prende il nome quindi dall'antico nome della citta', anche se ci riferisce normalmente ad esso come al Castello di Venere.

Vista l'ora, non e' stato possibile accedere ai resti del tempio, ma le poche notizie che ho potuto raccogliere tanto mi hanno fatto immaginare sul fascino storico di Erice.

Prima dei Normanni e dei Saraceni infatti, la citta' era stata occupata dai Bizantini e prima ancora dai Romani. E proprio i Romani erano gli adoratori della Venere Eracina e fecero del Tempio di Venere il loro luogo di culto. Secondo la mitologia, il tempio era stato eretto da Eryx, figlio di Afrodite e dell'argonauta Bute nonche' fondatore della citta', in onore della madre. Tra l'altro Enea scelse i pressi del tempio per seppellire il padre Anchise prima di dirigersi verso le coste laziali dove fondo' Roma. Tornando ancora piu' indietro nel tempo, da alcuni studi e' venuto fuori che il tempio era stato costruito dai Fenici in onore di Astarte. Quello che si pensa e' che tutte queste divinita' coincidono con la Dea dell'Amore e della Fertilita' e che il culto della Dea sia la religione che accomuna tutti questi popoli che si susseguirono ad Erice.

Dopo del castello, Erice ci parla ancora della Dea dell'Amore e della Fertilita' nella piazza che ospita la Fontana di Venere. E' affascinante l'evocazione di un culto intenso forse ancor piu' delle religioni che oggi si praticano sempre con minor fede. Ed e' affascinante l'ambiente intorno alla piazza, ricco di mura antiche fenicie e di piante che armonizzano il tutto.

La nostra camminata prosegue per le vie dell'accogliente centro storico, passando davanti al Centro Ettore Majorana, istituto post-universitario voluto da Antonino Zichichi. Quindi ci soffermiamo davanti alla chiesa matrice che risale a XV secolo, il cui portale e' caratterizzato da un annesso piccolo portico, detto 'gibbena', e dall'arco sovrastante in un particolare stile gotico caratteristico del posto ('gotico chiaramontano').

Per chiudere l''esperienza ericina', ci fermiamo in una tipica forneria dove posso avere il gran piacere di assaggiare il tipico dolce di Erice, la Genovese. Si tratta di un medaglione di pastafrolla, ripeno di crema pasticcera e ricoperto di zucchero a velo, che, servito caldo, e' un piacere del palato che e' un peccato perdersi. La domanda che mi sono posto, trascorsa l'estasi della degustazione, e' perche' si chiama 'Genovese'. Penso che rimarra' un segreto nel cuore di quella donna che trascorse in convento la giovane eta' e la' apprese la ricetta che oggi rende piu' dolce la vacanza di molti turisti che scelgono di visitare questo angolo di Sicilia.

Segesta, Calatafimi e Custonaci

A dire il vero Segesta non era uno dei posti che mi ero prefissato di vedere. Qualcuno me lo aveva suggerito e, tutto sommato, il tempo c'era per cui mi sono convinto che andarci non portava via del tempo che avrei dovuto dedicare a qualcosa che era nei piani di queste vacanze. La mattinata limpida e calda, e con essa il girovagare in macchina per le strade di provincia che si districano tra i colli e i monti aspri, tipici della natura siciliana, risultavano in una leggerezza che predisponeva a tutto. Giunti sul luogo archeologico, la prima cosa che non passa certo inosservata e' il maestoso tempio dorico (Tempio di Segesta) che sovrasta uno dei colli della zona e resiste intatto a secoli di storia.

Si sospetta che il Tempio di Segesta non sia pero' mai stato ultimato per la mancanza del tetto e della realizzazione della cella, apparentemente appena iniziata. Ma anche per la presenza delle imbragature che ancora oggi avvolgono le architravi. La motivazione dell'incompletezza e' da ricercarsi in leggende e testimonianze tramandate dall'anichita', che risultano del tutto verosimili.

Segesta e' stata fondata dagli Elimi, il popolo costituito in parte da profughi di Troia e in parte da Liguri. L'origine 'non greca' e' stata il motivo per cui Segesta e' stata sempre in contrasto con Selinunte (citta' greca della Sicilia sud-occidentale anch'essa all'epoca molto fiorente). E da una di queste diatribe ne e' derivata l'invocazione dei Greci da parte degli Elimi in loro difesa. Per onorare tale presenza fu stabilita l'edificazione di questo tempio greco. Tuttavia, l'auspicato aiuto greco non arrivo' nei tempi sperati. Fu cosi' che gli Elimi si rivolsero ai Cartaginesi, altro popolo con cui mantenevano fervidi contatti commerciali. A seguito di questo aiuto, pero', ci fu la dominazione cartaginese e conseguentemente la sospensione dei lavori di edificazione del tempio, che non furono mai piu' ripresi.

Dopo aver ammirato il Tempio di Segesta in lungo (60 metri) e in largo (circa 20) girandoci tutt'intorno, prendiamo il biglietto per andare a visitare l'area archeologica principale che si trova pochi chilometri piu' su, sulla cima del Monte Barbaro, che sovrasta tutta la zona. Per salire su ci serviamo della navetta che fa da spola tra la biglietteria e il centro 'abitato' dell'antica Segesta. Ogni cosa mi ha destato stupore e incredulita'.

E l'incredibile sta sostanzialmente nell'immaginare come le antiche civilta' siano state capaci di costruire una citta' lassu', viste le innegabili difficolta' legate alla natura del territorio e la mancanza di tecnologie per affrontarle adeguatamente. A parte il castello, che comunque e' stato costruito in tempi 'recenti', tutto il resto risale ai secoli prima dell'avvento di Cristo, e l'anfiteatro ottimamente conservato, che puo' ospitare diverse centinaia di spettatori (e che tuttora li ospita, durante le varie rappresentazioni che ancor'oggi si organizzano di tanto in tanto) dimostra il fervore condiviso nell'antichita' da un'ampia e folta comunita'. Ma e' incredibile anche l'impreparazione generale per ospitare simili chicche di storia. E' stato raccapricciante, per citarne una, osservare la scena in cui un turista con i suoi due figli, costretto a chiedere per avere una guida turistica (effettivamente piu' che necessaria per districarsi tra i resti di Segesta) e avere come unica risposta un'alzata di spalle che dice tutto sul funzionamento del turismo da queste parti.

Usciti da Segesta, lungo la strada, Calatafimi e' la', su un colle che ti trovi davanti. L'idea che la' si e' svolta la prima battaglia dei Mille e che proprio questo e' l'anno del 150° anniversario dell'unita' d'Italia, mi fa pensare che sarebbe vile passare nella piu' completa indifferenza da questo posto. Chiedo ad Antonio di fare una piccola digressione verso il Sacrario di Pianto Romano - l'ossario dentro cui sono custodite le reliquie dei valorosi combattenti che hanno dato la propria vita per vedere l'Italia unita - le cui indicazioni le abbiamo incrociate piu' volte lungo la strada. Arriviamo quindi alla sommita' di questo colle fuori da Calatafimi dove si erge questo mausoleo imponente, circondato da catene e miseramente vuoto.

Pensiamo che oltre a girarci intorno qualche minuto e scrutare tra i vetri della porta d'accesso, null'altro possiamo fare. E quando oramai eravamo pressocche' convinti di cio', sentiamo le voci di un anziano signore. Si tratta del custode dell'ossario che evidentemente si era allontanato per dedicarsi ai terreni vicini. Ci dice se siamo interessati ad entrare nell'ossario. Non ho dubbi e non posso placare la crescente curiosita'. Dentro troviamo dei reperti di quella che e' stata la prima battaglia dopo lo sbarco in Sicilia dei Garibaldini. E' evidente l'eccitazione del custode un po' causata dal poco afflusso di gente al sito storico, e un po' da un fervore patriottico. E' lui stesso ad affermare di essere un Garibaldino, se non altro per aver partecipato al film TV Garibaldi - Il generale del 1987 di Luigi Magni e con Franco Nero. Non esitiamo a fare una foto assieme a questa simpaticissima persona, in un atteggiamento degno del posto di memoria, davanti alle reliquie dentro l'ossario.

Poi ci spostiamo in la', attraversando il viale lungo il quale giacciono i cippi che riportano i nomi dei caduti di quella cruenta battaglia, fino ad arrivare allo spiazzo dove la battaglia conobbe i momenti piu' concitati. A ricordare quei momenti, la presenza di tre achi sovrastati dalla celebberrima frase di Nino Bixio: <<Qui si fa l'Italia o si muore>>. E sul fianco anche l'asta con all'estremita' un misero tricolore malconcio e con un evidente sguarcio. Proprio nell'anno del 150° anniversario dell'unita' d'Italia. Uno sguarcio al cuore anche a quella indecorosa visione.

E con questo termina la nostra escursione d'arte, almeno per oggi. Il sole a picco che batte forte sulle nostre teste e la vista del mare sullo sfondo sono richiami irresistibili. Ci dirigiamo cosi' verso Custonaci, e un po' piu' in la' sulla strada che porta a San Vito lo Capo, sempre lasciando davanti a noi la favolosa Baia di Cornino, proprio sotto la vetta irrompente del Monte Cofano. Una cosa molto particolare. La costa e' rocciosa, ma bassa. E la roccia e' acuminosa ma di media durezza, a tratti spugnosa. E cio' e' evidente anche dalla caratteristica corrosione che presenta incisioni anche profonde. Calcarea e apparentemente simile al tufo. E il colore scuro lascia presagire un'origine vulcanica.

Per rendere piu' agevole la balneazione, sono presenti delle piattaforme in legno su cui e' possibile stendere i teli e sdraiarsi su essi per prendere il sole. Poi quando il caldo si fa insopportabile allora ci si puo' calare, non senza qualche difficolta', nelle antistanti acque trasparenti nonostante la presenza delle rocce di colori scuri che si affondano sotto l'acqua del mare e percorrono i fondali fino a lasciare spazio alle folti alghe e alla sabbia.

La sera regala una piacevole occasione per vivere ancora dal di dentro questo pezzo di Sicilia. Siamo invitati ad un falo' sulla spiaggia di Custonaci. Un grande falo' alimentato da tanta sterpaglia e con fiamme altiissime. Tanta birra fresca, carne di maiale e salsicce con i semi di finocchio arrostite a imbottire il tipico pane con il sesamo che e' molto comune da queste parti. E poi ancora saporitissimi meloni e gustosissimi cocomeri. Anche la musica e i bagni di mezzanotte danno un'ulteriore spinta a socializzare con gli altri ragazzi del posto e questo e' sicuramente l'aspetto piu' interessante della serata. Quello che ti fa vivere una vacanza nell'essenza del suo significato.

Favignana

E' faticoso la mattina dopo alzarsi. Ma l'idea che mi sarebbe toccato mettere piede sulle Egadi e su Favignana in particolare, mi fa dimenticare ogni strascico di stanchezza e di sonno che vista la notte appena trascorsa, sarebbero giustificatissimi. La giornata pero' non e' delle piu' chiare. Qualche nuvoletta portata a zonzo da un po' di vento, mi fa presagire che non riusciro' a vedere Favignana cosi' come l'ho vista in televisione, grondante di tanta naturale bellezza che affiora da un mare fermo, azzurro e trasparente.

Dopo la colazione al bar, servita sempre con la stessa soprendente attenzione verso il cliente, ci dirigiamo verso Trapani per prendere l'aliscafo che ci portera' a Favignana. Prima pero' passiamo da un chiosco a prendere un po' di 'pani cunzatu' come nostro pranzo a sacco per questa nuova e ricca giornata in liberta'.

Dopo il traversamento di questo splendido braccio di mare, giungiamo nel porto di Favignana. Qualche foto si', ma ci proiettiamo subito a trovare il miglior offerente per uno scooter da noleggiare per girare l'isola dandoci la possibilita' in un solo giorno di poter toccare molti dei suoi punti suggestivi. Ci e' bastato poco per trovare un mezzo idoneo alle nostre aspirazioni e subito ci catapultiamo a girare l'isola con la tipica forma di farfalla. Ci dirigiamo verso Est, decidendo cosi' di percorrere le coste dell'isola in senso orario.

La prima meta dove ci soffermiamo per goderci il panorama e scattare qualche foto e' Scalo Cavallo. Dalla terrazza con spendida vista sulla costa di tufo intagliato per le estrazioni nei tempi passati, a cui si giunge senza difficolta' lasciando la Litoranea, si puo' accedere ad un arco, anch'esso scavato nella roccia, che permette di immettersi dentro dei cunicoli da cui si possono ammirare incantevoli panorami marittimi.

Riprendiamo il nostro cammino. Lungo le stradine sterrate, al di la' dei muretti a secco che segnano il confine con gli appezzamenti di terra incolti, scorriamo degli asini in liberta'. Placidi che sembrava quasi chiedessero l'attenzione di qualche turista. Noi ci fermiamo per avvicinarci a loro e carezzarli. Come per avere da questo contatto un pizzico della loro serenita' e portarcela con noi nella nostra quotidianita'.

Giungiamo quindi alla prima delle famose calette di Favignana, Cala Rossa, il cui nome e' da attribuire al colore delle sue acque per il sangue in esse riversato dopo la prima guerra punica. Ineccepibile il fondo chiaro e il colore cristallino delle sue acque al riflesso dell'azzurro del cielo, a testimonianza dei fondali chiari. Sarebbe stato uno scenario davvero mozzafiato se qualche nuvola e il Maestrale non avessero accompagnato questa giornata.

Decidiamo quindi di andare alla successiva cala, Cala Azzurra che, trovandosi dalla parte opposta dell'isola, e' protetta dai venti e quel giorno e' un posto buono per fare un bel bagno. Una marea umana pero' occupa ogni angolo delle spiaggette e ogni centimetro quadro di posto utile anche solo per stare all'impiedi. Ma noi non demordiamo e riusciamo a ricavare il nostro mezzo metro quadro di scoglio su ci stendere a meta' uno dei nostri teli e a deporre i nostri zaini. Dopo un bel bagno nell'antistante piscina cristallina, azzanniamo il nostro pani cunzato e beviamo e ci rituffiamo nelle basse e calde acque che ci attirano come una polarita' irrefrenabile e opposta alla nostra.

E' solo il pensiero del poco tempo a disposizione che ci distoglie da quel posto incantevole. Ma fa caldo. Tanto caldo. E ci infiliamo nel bar attiguo per farci un birra ghiacciata che aggiunge un gusto ancora piu' giusto al momento che stiamo vivendo. Un ultimo tenue segno di resistenza dall'andar via da Cala Azzurra e' l'esserci spinti piu' in la', verso una delle estremita' della cala che e' probabilmente anche l'estremo sud di Favignana. Si tratta di Punta Marsala, il promontorio caratterizzato dalla presenza di un faro e da cui si puo' ammirare Cala Azzurra in tutta la espansione.

Poi di nuovo in moto a violentare l'isola, con un fondo di mia consapevolezza. Come consapevole ero che l'alternativa era abbandonare l'idea preconcetta che avrei dovuto compiere il giro dell'isola. Seguiamo la strada costiera in direzione dell'ala ovest della 'farfalla'. Questo lato dell'isola presenta un costa generalmente bassa, per lunghi tratti rocciosa ma anche con ampie spiagge sabbiose, come quelle del Lido Burrone e quelle della Plaia. Facciamo anche una leggera digressione per spingerci su Punta Longa, la tipica lingua di terra che si addentra per decine di metri dentro il mare, rappresentando cosi' di fatto le antenne di questa ideale farfalla di cui l'isola ha forma.

Proseguiamo sapendo che l'ala ovest dell'isola e brulla e intatta e la' troveremo solo degli splendidi paesaggi e niente piu'. Neanche alla fine della strada asfaltata ci fermiamo. Ci spingiamo piu' in la' verso Punta Faraglione e oltre, fino alla vista della Cala Faraglione. Una caratteristica cala semicircolare all'interno del quale l'acqua e' praticamente ferma, ma anche fresca e pulita. E ci invita a fare questo nuovo bagno nonostante i fondali non siano molto agevoli. Poi ci sdraiamo al sole ormai calante per asciugarci. E poi ripartiamo e lasciamo lo sterrato in scooter e corriamo lungo la strada asfaltata e attraversata da folate di vento. Sulla mia destra alti cavalloni si abbattono sulle spiagge selvagge di questa parte di Favignana e cupe nubi rade che infrangono l'azzurro intenso del cielo vicino all'orizzonte, rendono un po' aspro il retrogusto che questa giornata si appresta a lasciarmi. Ma non mi dispiace e in questo velo di asprezza colgo un sottile piacere.

Prima di tagliare in due l'isola passando da una costa all'altra nel punto che divide le due ali della farfalla, ci fermiamo in un localino a ridosso della spiaggia. Seduti al tavolo sul terrazzo in legno, mentre beviamo un altro drink, il sole oramai ci guarda in faccia e fa risplendere le nostre facce salate e le lenti dei nostri occhiali da sole. A noi non dispiace e ci godiamo fino in fondo questo momento che ci assopisce.

Il ritorno in traghetto, trascorso sui sedili del ponte ed esposti ai raggi di un oramai fievole sole, il cui calore e' pressocche' del tutto smorzato da una fresca brezza marina, e' stato inconsapevolmente la giusta sigla di chiusura di questa gita che nella mia quasi incredulita' mi ha regalato quello che solo dopo ho realizzato di aver desiderato.

A coronamento di questa giornata che non ha mai finito di stupirmi, una splendida cena dove ho potuto ancora assaporare nuove prelibatezze culinarie siciliane. La Busiata e' una pasta all'uovo fatta in casa, intagliata allo stesso modo delle pappardelle, ma piu' corta e attorcigliata per assumere la forma di un ricciolo. Condita di un semplice sughetto al pomodoro, ma arricchito da 'mentuzza' e semi di finocchio, mi ha fatto veramente ancora un po' piu' felice di aver vissuto quest'esperienza.

Ho chiesto troppo quando pensavo di avere un filo di energia per andare anche alla Sagra della Busiata e della Spincia a Custonaci. Arrivati sul posto dove avrei potuto anche degustare anche questo dolce siciliano tipico della zona - la Spincia, appunto - ci vediamo costretti ad alzare bandiera bianca e a battere ritirata, stremati dalle forze, oramai al minimo.

Trapani e le Saline

Forse ho snobbato questa ulteriore tappa, nonostante ad un certo punto mi era stata ripetutamente suggerita. Fino al punto di portarmi quasi per forza, prima di prendere il volo di ritorno, a visitare le Saline di Trapani. Si tratta di grandi distese di acqua salata che ricoprono un ampio territorio del comune trapanese, dove a tutt'oggi si produce il sale. E' stato alquanto interessante e senz'altro una visita avrebbe meritato anche il Museo del Sale al suo interno, dove sono conservati parecchie testimonianze sulle tecniche usate presso questa struttura per estrarre il sale dalle acque che attraverso complicati meccanismi di instradamento vengono fatte convogliare sulla terra ferma.

Non c'e' piu' tempo. L'aereo non attende. Oramai penso di averlo imparato bene. Ma quel <<non c'e' piu' tempo>> suona quasi come un libro lasciato aperto con questa terra, e tante pagine ancora che bisognera' continuare a leggere.

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