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Festa mobile

martedì 22 maggio 2012

Quando ho capito che questa era la vera guida per visitare Parigi, mi sono precipitato alla Feltrinelli per prenderne una copia. Non so' se nel recensire questa raccolta di racconti pubblicata in due diverse versioni dopo la morte del suo autore, Ernest Hemingway, riusciro' a fare a meno dell'eccitazione di una serie di tasselli che si legano a questa nuova esperienza di lettura. Ma sicuramente non penso che posso evitare di ringraziare questo autore per le emozioni che mi ha fatto provare nel leggere e rileggere le pagine del libro sia prima che dopo averne visto i luoghi dove molte delle situazioni sono ambientate, che hanno suscitato diverse ma ugualmente forti sensazioni di vivere i racconti dal di dentro.

Tuttavia, ancor prima di queste motivazioni, la lettura e' gia' ampiamente appagante per quanto di nuovo e interessante ha portato nel mio animo. Anche gia' solo leggendo l'incipit.

La versione che ho letto e' l'ultima pubblicata in ordine cronologico, ed e' premessa da Patrick Hemingway, primo figlio dell'autore nato dal suo secondo matrimonio, quello con Pauline Pfeiffer. Mentre e' introdotta dal nipote Sean (figlio di Gregory, secondogenito del matrimonio dell'autore con Pauline Pfeiffer), che ne e' anche curatore.

In particolare, la premessa si sofferma sul significato di festa mobile che Hemingway tira in ballo nella celeberrima frase:

If you are lucky enough to have lived in Paris as a young man, then wherever you go for the rest of your life, it stays with you, for Paris is a moveable feast.

Il concetto di festa mobile infatti, di primo acchito, lascia pensare che Hemingway intenda che Parigi e' una festa, per chi la vive, in ogni suo posto, in ogni situazione, in ogni diverso giorno. In realta', Patrick Hemingway si distingue chiaramente da questa banale interpretazione e associa festa mobile agli appuntamenti che si ripropongono annualmente ma non con cadenza semplicemente individuabile da un preciso giorno del calendario. La Pasqua, ad esempio, e' una festa mobile. E mobili sono tutte le feste che dipendono dalla Pasqua, come la Domenica delle Palme. Una gioia che permane nell'individuo a prescindere dallo spostamento della stessa nello spazio e nel tempo. Come l'amore e la felicita'. Parigi e' cosi', per chi l'ha vissuta secondo i crismi citati da Hemingway nella sua celeberrima frase. La sua posizione, relativamente all'individuo 'abbastanza fortunato' che l'ha vissuta 'come un giovane uomo', non muta il fascino, che verra' portato dentro come una parte di se'.

L'introduzione invece spiega le ragioni di questa edizione speciale, che differisce dalle precedenti. L'opera infatti non e' stata mai pubblicata quando l'autore era in vita, sebbene il materiale c'e' sempre stato tutto. Ed era stato addirittura generato in sovrabbondanza nel perfetto stile dell'autore che amava rifarsi a una vecchia regola che professa:

La qualita' di un libro deve essere giudicata, da parte di chi lo scrive, dall'eccellenza del materiale che elimina.

Tuttavia, come il curatore di questa edizione fa notare, sebbene lo scrittore avesse elencato una lista dei racconti che dovevano prendere parte alla versione definitiva del libro, non e' riuscito mai a scrivere un'introduzione e un capitolo finale che lo avessero soddisfatto. Anche se ci aveva provato. Non riuscendoci probabilmente perche' la malattia e le cure devastanti che gli hanno praticato, avevano gia' divorato le qualita' che ne hanno fatto di lui quello per cui oggi lo ricordiamo. Ed erano ad un passo dal divorare anche la sua vita.

Sean Hemingway spiega la differenza tra questa edizione e la prima, pubblicata nel 1964 a tre anni di distanza della morte del nonno, e curata da Mary Welsh (quarta moglie di Hemingway) e Harry Brague. In questa edizione sono stati inseriti nella sezione principale tutti i capitoli scelti da Hemingway, rispettandone una sua volonta'. Altri racconti invece sono stati inseriti nella sezione 'Altri sketch parigini'. Il curatore di tale edizione fa inoltre notare che lo scrittore ha dato solo il titolo a tre dei racconti presenti nella stesura finale del romanzo (Ford Madox Ford e il discepolo del diavolo, Nascita di una nuova scuola e L'uomo che era marchiato a morte)

Agli altri racconti, Sean Hemingway ha scelto di lasciare il titolo assegnato dai curatori della prima edizione. Tuttavia, rimarca di essersi permesso di ripristinare alcune sezioni in cui Mary Welsh e Harry Brague avevano preferito le citazioni di Hemingway in forma impersonale a quella in prima persona, contrariamente alla scelta definitiva dell'autore.

Il curatore, inoltre, aggiunge una interessante serie di considerazioni sul titolo che avrebbe dovuto avere l'opera. In sostanza, l'autore propose una serie lunga di titoli dei quali quella piu' plausibile e' parsa L'occhio precoce e l'orecchio (Com'era Parigi ai primi tempi). Ma alla fine Mary Welsh decise di adottare il titolo con cui oggi questa opera e' nota, che in lingua originale e' A moveable feast. Dove si noti che di proposito e' stato scelto di usare la deformazione dell'aggettivo 'movable'. Il primo motivo e' la propensione di Hemingway a non elidere l'ultima lettera nel formare l'aggettivo a partire da quei verbi che terminano in 'e'. Il secondo motivo, invece, e' la piacevole assonanza che si ottiene accoppiando i termini 'moveable' e 'feast' che presentano entrambi le occorrenze di 'ae' al loro interno.

E' stato piacevole poi leggere i capitoli di questo romanzo. Tutti in generale. Senz'altro e' stato piacevole leggere il primo dei racconti di questo libro, Un bel Cafe' in Place St-Michel, soprattutto per via del fatto che il tragitto seguito da Hemingway per giungere da casa sua, al numero 74 di rue de Cardinal Lemoine, fino a place St-Michel, e' coinciso con buona parte della 'passeggiata letteraria' nel quartiere latino che ho avuto la fortuna di percorrere. Ma poi, quando sono riuscito ad astrarmi da questa condizione vissuta, sono ancora riuscito a trovarlo irresistibile anche perche' l'autore scrive di se' nelle sue giornate semplici ma che magicamente con le sue parole riesce a rendere cariche di fascino. E non so quanto Parigi c'entri.

In altri capitoli, Hemingway parla ancora di Parigi negli angoli della Rive Gauche e anche fuori, associandola alla sua condizione economica che non sono riuscito a realizzare del tutto, sebbene rimarcata lungamente dentro l'opera. Ma all'infuori di questo, emerge l'occhio attento di una persona che anche nello scorrere della quotidianita' di una nuova e diversa realta' di quella dov'e' nato e cresciuto, riesce a carpire e immortalare determinati aspetti che anche a distanza di decenni, quando lui li descrisse, non sembrano nostalgia ma emozioni vissute e segregate a lungo dentro al cuore.

Oltre questo, Hemingway, si proietta sul racconto di persone conosciute e vissute nel suo soggiorno parigino che va dal 1921 al 1926. E qui emerge, dopo l'occhio, anche la bonta' del suo orecchio. Dell'orecchio della persona che sa ascoltare e sa selezionare le parole dei suoi interlocutori. Come e' pure evidente che l'autore e' senz'altro uno che sa se dire certe parole o non dirle. Forse arrivando ai confini del subdolo e dell'ipocrisia. Che si manifestano quando le sue impressioni vengono riportate in questi racconti. Ma poi, a un certo punto, essendo l'uomo anche risultato delle decisioni di quello che ritiene di controbbattere rapportandosi con gli altri, e quello che decide di tener dentro, data la giovane eta' e anche la buona fede che sgorga dai suo racconti, altro non puo' essere che saggezza precoce.

D'altra parte non sarebbe giusto trarre diverse conclusioni se non si acoltano i dialoghi e non si guardano in faccia i personaggi che Hemingway si e' trovato di fronte in quel periodo. Gertrude Stein, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald e tanti altri, sono tutti personaggi ritratti sotto aspetti incredibilmente umani ma allo stesso tempo oggettivi - quasi in linea con il pensiero impressionista dei quadri di Cezanne che Hemingway ammirava e 'usava' per dare forma alle sue capacita' critiche, che pero' non escludono la possibilita' a chi legge i racconti di queste scene, di farsi un'idea del tutto personale degli stessi personaggi.

A proposito di questa maturazione acquisita dall'osservazione dei quadri impressionisti, c'e' un racconto molto interessante intitolato La fame era un'ottima disciplina, in cui lo scrittore ha finalmente la possibilita' di levarsi di dosso (come in tanti altri racconti di questo libro ha potuto fare) un velo di ingiustificata ma comprensibile vergogna ed esternare le sensazioni che aveva provato a quel tempo. Quando non tornava a casa per pranzo inventandosi la scusa che mangiava fuori con qualcuno. Mentre realmente non c'erano soldi per mangiare e passava le ore del pranzo al museo del Luxemburg a guardare i quadri di Cezanne e ad imparare a coglierne il messaggio. E' bello anche tutto il resto del racconto che lo vede arrivare sino alla libreria Sheakspeare and Company di Sylvia Beach e con lei intrattenere un bel dialogo. E fa percepire il sacrificio e la successiva soddisfazione di quando Sylvia Beach gli consegna la busta con seicento franchi inviatogli dalla rivista tedesca Der querschnitt per cui aveva scritto dei racconti. Come pure fa percepire la ventata di serenita' che, con il giusto atteggiamento, finisce sempre per arrivare, anche dopo momenti estremamente difficili, quando ha modo di sedere alla brasserie Lipp e farsi passare la fame.

Poi ci sono persone qualsiasi a cui Hemingway ha voluto dare spazio dentro questo libro. Forse a voler manifestare le origini umili da cui lui proveniva e l'essere stato uno come tanti. Forse semplicemente perche' le sue capacita' relazionali gli hanno permesso di vedere le qualita' all'infuori del valore che la societa' da' alle persone. E' il caso del cameriere Andre' della Closerie des Lilas, quando Hemingway racconta di una sua uscita con il poeta Evan Shipman nel capitolo Evan Shipman ai Lilas. Un breve passo, ripreso anche in altri punti del romanzo che evidenzia i principi e la dignita' e la lotta circoscritta ma pregna di significato che anche nelle persone, persino piu' anonime, puo' avere un senso.

Molti dei racconti danno spazio al rapporto con Hadley (prima moglie di Hemingway). Un rapporto la cui bellezza chiunque puo' cogliere leggendo le storie, perche' maturato nelle molteplici difficolta' che Hemingway si trova ad affrontare in questo periodo della sua vita. E forse il richiamo a eventi apparentemente insignificanti, ma che, visti con la retrospettivita' dello scrittore, diventano quasi fondamentali per la fine di questa relazione, che aggiunge una nota profondamente malinconica quando lo scrittore si sofferma su essi. Dando cosi' di conseguenza una marcata importanza al rapporto.

Il racconto piu' significativo in questa ottica, diventa Una falsa primavera. La sensazione conscia di fame che Hemingway avverte quando insieme ad Hadley attraversa il ponte al ritorno dal'ippodromo di Auteuil, e la conseguente decisione di andare al prestigiosissimo Michaud per festeggiare la vincita alle corse dei cavalli, rivela poi una verita' inconscia a cui lo stesso scrittore non da' maggior adito:

Fu una cena fantastica da Michaud una volta entrati; ma quando avemmo finito e la fame non era piu' una possibilita', la sensazione che ci era sembrata fame quando eravamo sul ponte era ancora tutta li' quando prendemmo l'autobus per casa nostra. C'era ancora quando entrammo in camera e dopo essere andati al letto e aver fatto l'amore al buio, era sempre li'. Quando mi svegliai con le finestre aperte e il chiaro di luna sui tetti delle grandi case, era li'. Distolsi la faccia dal chiaro di luna riparandola nell'ombra ma non riuscivo a dormire e rimasi sveglio a pensare a questo. Tutti e due ci eravamo svegliati due volte nella notte e mia moglie ora dormiva dolcemente con il chiaro di luna sul viso. Avrei dovuto cercare di risolvere il problema ma mi sentivo troppo stupido. La vita era sembrata cosi' semplice quella mattina quando mi ero svegliato e avevo trovato la falsa primavera e sentito la zampogna dell'uomo con il suo gregge di capre ed ero uscito per comperare il giornale delle corse.
Ma Parigi era una citta' molto vecchia e noi eravamo giovani e li' non c'era niente di facile, neanche la miseria, ne' i soldi improvvisi, ne' il chiaro di luna, ne' la ragione e il torto ne' il respiro di qualcuno sdraiato al tuo fianco al chiaro di luna.

Mi piace notare che nello stesso racconto, Hemingway descrive la situazione vissuta con Hadley davanti al Michaud che e' gremito, e mentre attendono per entrare osservano attraverso i vetri James Joyce con la sua famiglia, seduti al tavolo. Scena oramai famosa e comunque ripresa nel capitolo Sheakspeare and Company. In tale capitolo, il protagonista parla della sua scoperta della biblioteca e libreria di Sylvia Beach, al numero 12 di rue de l'Odeon. Hemingway descrive il suo primo impatto con la biblioteca soffermandosi sulle foto degli scrittori, sia morti che viventi, appese ai muri. E chiede quindi con quale frequenza Joyce si reca in quel posto e da li' il discorso scivola sulla scena del Michaud. In quegli anni Sylvia Beach scrisse a macchina la copia dell'Ulisse di James Joyce da cui segui' la pubblicazione dell'opera.

Festa mobile e' un libro vero e schietto. E penso che non lo lascero' molto spesso fermo nella libreria da fargli prendere tanta polvere e ingiallire. Di tanto in tanto, ci sara' sempre l'esigenza di riprenderlo in mano per cercare qualche episodio che tratti di un personaggio o di una peculiarita' dello scrittore o semplicemente avro' l'esigenza di rivivere Parigi sotto uno dei suoi aspetti piu' affascinanti che me l'hanno fatta conoscere.

Frasi


  • p. 33: "Oramai sapevo che qualsiasi cosa bella o brutta lasciava un vuoto quando finiva. Ma se era brutta il vuoto si riempiva da solo. Se invece era bella potevi riempirlo solo trovando qualcosa di meglio. (Fine di una passione)"
  • p. 38: "Avevo gia' imparato a non esaurire mai il pozzo della mia scrittura; bensi' a fermarmi sempre quando c'era ancora qualcosa nel profondo del pozzo, e lasciare che tornasse a riempirsi di notte dalle sorgenti che lo nutrivano. ("Una generation Perdue")"
  • p. 62: "Dicono che in tutti noi ci sono semi di quello che faremo, ma a me e' sempre sembrato che in quelli che nella vita scherzano siano coperti da un terreno migliore e da un letame di piu' alta qualita'. (Con Pascin al Dome)"
  • p. 68: "Alla fine tutti, o non proprio tutti, tornavano ad essere amici tanto per non essere testardi o permalosi. Lo feci anch'io. Ma non riuscii ad essere piu' amico davvero, ne' con il cuore ne' con la testa. Quando non riesci ad essere piu' amico con la testa e' la cosa peggiore. (Un finale alquanto strano)"
  • p. 109: "...e gia' mi pesava di non aver lavorato e avvertivo la solitudine mortale che ti coglie ogni giorno che e' sprecato nella tua vita. (Scott Fitzgerald)"
  • p. 180: "Ma vi sono remises o magazzini dove puoi lasciare o immagazzinare cose come un baule con serratura o un borsone contenente effetti personali o poesie inedite di Evan Shipman o carte geografiche segnate o anche armi che non c'e' stato il tempo di consegnare alle autorita' competenti e questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima e' stata manomessa e il secondo non esiste (*). (Nada y pues Nada)"

Midnight in Paris

domenica 25 marzo 2012

Un capolavoro di arguzia e di risate degno di un Woody Allen al pieno della sua maturita', ambientato nella cornice di Parigi, luogo carico di fascino e il cui fascino ha una continuita' storica che il regista riesce a ritrarre nitidamente nella Belle Epoque e negli anni venti, come frutto dell'amore di una vita dedicata all'arte. Ma anche nella Parigi dei giorni nostri, Woody Allen lascia percepire la magicita' dell'ambiente che si respira in svariate situazioni. E' indubbiamente Festa Mobile di Hemingway la principale ispirazione di questo contesto, e nulla di piu' appropriato si poteva addire al tema centrale di questo capolavoro, visto che il concetto di festa mobile e' un marchio per Parigi che difficilmente il tempo riuscira' a sbiadire.

Difatti il tema centrale del film non e' ne' l'arte ne' Parigi, ma e' l'esortazione a vivere il presente e non aggrapparsi al passato. Proprio per questo Festa Mobile di Hemingway, e l'ambiente in cui esso prende forma, risultano ideali a descrivere questo concetto. Tuttavia, e' chiaro anche come la postilla di Woody Allen, recitata nelle scene finali del film e ripresa dalla celebre frase di William Faulkner 'Il passato non e' morto e sepolto. In realta' non e' neppure passato', protesa a completare la prima parte del messaggio, con la precisazione della necessita' di conoscere il passato e di rispettarlo perche' serve per farci prendere coscienza del presente.

A questa contrapposizione o, se vogliamo, complementarieta' di messaggi, che insieme costituiscono quindi il tema centrale del film, ne corrisponde una parallela di ambientazione. Se Parigi degli anni venti rappresenta l'attaccamento al passato, quella dei giorni nostri invece rappresenta il presente e il rispetto per il passato.

E' di una genialita' bizzarra il percorso che solo da Woody Allen poteva prender forma e che il protagonista Gil (interpretato da Owen Wilson, ricalcando per molti aspetti il tipico protagonista di un classico film 'alleniano') traccia per arrivare alla fine a dipingere per intero - e in un modo molto leggero e divertente nonostante sia intriso di richiami storico-artistici, i contorni del cuore del film.

Gil Pender, disincantato sceneggiatore hollywoodiano di discreto successo, non e' soddisfatto della sua carriera e prova a dare una svolta alla sua vita cercando di approdare alla sua aspirazione di diventare uno scrittore. Non c'e' nulla di piu' propizio per perseguire questo obiettivo, che trovarsi a Parigi per un viaggio di piacere con la sua futura sposa Inez, bella donna americana (come lui, ma che a differenza sua non stravede per Parigi) e di estrazione borghese.

Mentre Inez trova l'incontro con l'intellettuale inglese Paul (sua vecchia fiamma dei tempi dell'universita') che si trova a Parigi in compagnia della moglie Carol per tenere una lezione alla Sorbonne, un'occasione per dare una svolta alla carriera di scrittore di Gil, lo stesso Gil rimane stregato da questo posto unico che tanto ha ispirato artisti di un passato irripetibile, al punto di convincersi che e' nato in un'epoca successiva a quella in cui avrebbe dovuto nascere.

Paul, in gita a Versailles con Carol, Inez e Gil, spiega il fenomeno psicologico di 'quelli che pensano che la loro vita sarebbe stata piu' felice se fossero vissuti nel passato':

Paul: Beh! La nostalgia e' negazione. La negazione di un presente infelice.
Inez: Oh, beh! Gil e' un vero romantico. Insomma, lui sarebbe piu' che felice di vivere in un totale stato di perpetua negazione.
Paul: E il nome di questo falso pensiero e' sindrome 'Epoca d'Oro'.
Inez: Touche'!
Paul: Cioe' l'idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, e' difetto dell'immaginario romantico di quelle persone che trovano difficile cavarsela nel presente.

La convinzione di Gil prende ancora piu' corpo notte dopo notte, da quando, girovagando per le caratteristiche vie del centro della citta' alla ricerca dell'ispirazione per la sua attivita' di romanziere, si smarrisce e non riesce a trovare piu' la via dell'albergo. Seduto sulle scale davanti alla chiesa di Saint Etienne du Mont, al rintocco delle campane che segna la sopravvenuta mezzanotte, viene invitato a salire su una Peugeot d'epoca che lo catapulta per incanto nella Parigi degli anni venti.

Nel suo primo viaggio, dentro una festa allietata dalle musiche di Cole Porter che suona al pianoforte, Gil incontra i coniugi Francis Scott e Zelda Fitzgerald, attraverso cui conosce in un crescente e immaginabile stato di incredulita', uno dei suoi scrittori preferiti, Ernest Hemingway. Nulla da ridire sulla fantastica interpretazione di questo personaggio da parte di Corey Stoll e sulla capacita' del regista di cogliere degli aspetti che anche chi lo conosce poco, puo' condividere.

L'atteggiamento di disfida di Hemingway, di fronte a Gil che si presenta come scrittore che gli propone di leggere la bozza del suo primo romanzo, si placa pian piano. Alla fine Hemingway propone addirittura di far leggere la bozza a Gertrude Stein, mandando Gil letteralmente in visibilio.

Gil cerca di portare negli anni venti anche Inez, presentandosi allo stesso posto, in vano, il giorno dopo. Solo dopo che Inez va via visibilmente contrariata, lo scoccare della campana e il successivo arrivo della stessa Peugeot della notte precedente, fanno capire la chiave per essere catapultato indietro nel tempo.

Sulla macchina questa volta Gil trova Hemingway che, dopo una bellissima esposizione sulla relazione tra la paura di morire e amore, lo porta a casa di Gertrude Stein, al numero 27 di rue de Fleurus. Qui, oltre a consegnare il manoscritto, ha modo di conoscere Pablo Picasso e Adriana, sua fantomatica quanto affascinante amante e soggetto di un suo dipinto. In casa, era in corso una accesa discussione in cui Gertrude Stein criticava l'opera di Picasso. Adriana rimane colpita dalle prime righe del romanzo di Gil che a sua volta rimane stregato dalla disegnatrice di moda arrivata a Parigi da Bordeaux che prima di Picasso, aveva gia' amoreggiato con Coco Chanel, Amedeo Modigliani e Braque.

All'indomani, Gil si trova ancora con Inez, Paul e Carol al Musee de l'Orangerie. In questo spettacolare contesto, Paul commenta le Ninfee di Monet prima della scena in cui si sofferma sul quadro di Picasso che la notte prima era stato oggetto di discussione a casa di Gertrude Stein. Un fantastico monologo critico di Gil lascia tutti sbigottiti e la scena e' degna del piu' sottile umorismo 'alleniano'.

Intanto, nella vita parallela che si svolge nelle notti di Gil, qualcosa di tenero sta nascendo con Adriana. Adriana, al pari di Gil, e' legata al suo passato. Ad un'epoca antecedente a quella in cui lei realmente vive. Adriana e' terribilmente attratta dalla Parigi di fine XIX secolo. La Belle Epoque rappresenta per Adriana l'eta' dell'oro. In questa serata Adriana e Gil passeggiano in una romanticissima Parigi ed e' qui che Woody Allen, per bocca dell'attore protagonista, recita un inno al fascino immortale di questa citta':

(In sottofondo, Parlez-moi d'amour di Dana Boule)
Adriana: Ma non riesco mai a decidere se Parigi sia piu' bella di giorno o di notte.
Gil: Ah! Non ci si riesce! Non si puo' scegliere! Ti posso dare un argomento che mette KO sia l'una che l'altra ipotesi. Sai, a volte mi chiedo come possa qualcuno realizzare un libro, un dipinto, una sinfonia, una scultura che competa con una grande citta'. Non ci si riesce! Ci si guarda intorno e ogni... ogni strada, ogni boulevard sono in realta' una speciale forma d'arte. E quando uno pensa che nel gelido, violento, insignificante universo, esiste Parigi, esistono queste luci... Insomma, andiamo! Non succede niente su Giove o su Nettuno, ma da lassu' nello spazio uno puo' vedere queste luci, i caffe', la gente che beve e che canta. Per quanto ne sappiamo, Parigi e' il posto piu' cool dell'universo.

Alla fine di questa passeggiata, Gil, con molta naturalezza, conferma di stare per sposarsi e cio' spinge Adriana ad interrompere bruscamente la serata, giustificandosi di dover rientrare a casa dove c'e' Picasso che la aspetta. La serata pero' riserva altre sorprese. L'incontro con Salvador Dali', Luis Bunuel e Man Ray. Gil racconta il suo grande problema: l'essere innamorato della sua futura moglie e della sua amante. Oltre al vivere in due epoche diverse. Ne viene fuori una fantastica gag per via della corrente surrealista a cui i tre artisti appartengono.

Da notare la seriosita' del 'personaggio Bunuel' nella parte recitata. Lascia pensare a un segno di un rispetto di Woody Allen verso il regista che aveva rifiutato l'invito a prendere parte al cast di (e successivamente anche sminuito) Io e Annie, nella scena della coda al cinema con lo pseudo-intellettuale chiacchierone. Nella sua autobiografia, I miei sospiri estremi, Bunuel, infatti, scrisse:

Allen mi propose di interpretare me stesso in Io e Annie. Mi offrivano trentamila dollari per due giorni di lavoro, ma avrei dovuto restare a New York una settimana. Dopo qualche esitazione, rifiutai. Alla fine e' stato McLuhan a recitare se stesso nell'atrio di un cinematografo. Ho visto il film, ma non mi e' piaciuto per niente.

Sempre piu' sopraffatto dal dissidio d'amore, Gil al mattino seguente si reca di nuovo al museo Rodin (dove era stato gia' insieme a Inez, Paul e Carol) e chiede alla guida (interpretata da Carla Bruni) davanti alla scultura di Rodin se lo scultore fosse stato realmente innamorato della moglie e dell'amante, come lei stessa aveva asserito qualche giorno prima. In tutto questo esterna un dubbio la cui risposta potrebbe essere la soluzione al suo dramma interiore. La possibilita' di amare due persone contemporaneamente, infatti, potrebbe salvare la relazione con Inez e quella con Adriana.

All'appuntamento notturno Gil si trova a casa di Gertrude Stein dove e' in atto una discussione ancora con Picasso ma questa volta perche' Adriana e' fuggita in Africa con Hemingway. Gil ci rimane evidentemente male. Mentre miss Stein spezza (anche se non le riesce bene) la sua delusione, riferendogli il suo giudizio in merito al romanzo:

Allora. Parliamo del tuo libro.
Abbiamo tutti paura della morte
e ci interroghiamo sulla vita.
L'artista ha il dovere di
non arrendersi alla disperazione,
ma di trovare un antidoto
al vuoto dell'esistenza.
Tu hai una voce chiara e toccante.
Non essere cosi' disfattista.

Al mattino seguente Inez e la sua famiglia partono per Mont Saint Michel. Gil, come sempre piu' frequentemente accade, decide di rimanere a Parigi. Alla scena della passeggiata in riva alla Senna, sulla Ile de la Cite, fino ad arrivare sotto Pont Neuf, segue la scena dove Gil va al negozio in cui lavora la bella ragazza francese di nome Gabrielle, al mercato delle pulci di Saint Ouen, e acquista un disco di Cole Porter. Nella scena successiva Gil, girovagando per le tipiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano), trova a sorpresa e compra, il diario di Adriana.

Dalla lettura del diario - tradotto dalla guida del museo Rodin, Gil viene a conoscenza che Adriana e' innamorata di lui e lo preferisce a Picasso ed Hemingway. Inoltre, Adriana manifesta una profonda amarezza per aver appreso che Gil presto sposera' la sua fidanzata Inez. Infine, Adriana confessa di aver sognato di aver ricevuto dei bellissimi orecchini da Gil e di aver fatto dopo l'amore con lui.

Gil, cosciente di cio', quindi prepara tutto per la prossima serata 'anni venti', riciclando degli orecchini di perla di Inez come regalo per Adriana. Ma non va tutto come previsto perche' inaspettatamente Inez e i genitori rientrano a Parigi a causa di un malore accusato dal padre. Inez si accorge subito della mancanza degli orecchini di perla. La madre la incita a denunciare la cameriera. Gil cerca di dissuaderla prendendo le difese della cameriera. Cio' suscita le ire di Inez che risponde con un sarcasmo proprio di Woody Allen:

Tu prendi sempre le parti della servitu', come al solito!
Ecco perche' papa' dice che sei un comunista!

Alla fine Gil trova il modo di placare la situazione di tensione che si era venuta a creare, facendo finta di aver ritrovato gli orecchini mancanti, in bagno, sul lavandino. L'incontro notturno viene rimandato quindi di un giorno. Gil ha cosi' modo di comprare degli orecchini (di pietra di luna, suppongo) da regalare ad Adriana.

A mezzanotte, Gil porta la nuova stesura del suo libro a miss Stein che nel frattempo lo indirizza alla festa di matrimonio di 'uno di quei pazzi pittori surrealisti' dove c'e' anche Adriana che intanto era gia' tornata da un viaggio sul Kilimangiaro - con un improbabile seguito, con Hemingway ed ha nel frattempo anche rotto definitivamente con Picasso. Gil, incontrandola, le chiede un posto piu' intimo dove poter parlare con lei.

Prima di uscire dalla festa, Gil incontra Bunuel e gli da' alcune indicazioni riguardo un suo film. Gil spiega velocemente la trama del film senza dare delucidazioni sul significato. Poi i due si congedano lasciando Bunuel assorto nel tentavivo di afferrare il senso di quello che in futuro sara' una sua grande opera. Si tratta verosimilmente del film L'angelo sterminatore che uscira' nel 1962. Non e' detto che la scena non sia un messaggio ironico per smorzare il rifiuto di Bunuel all'invito di Woody Allen per partecipare al film Io e Annie. Ma, se lo e', e' senz'altro proteso a smorzare i toni, a dimostrazione di una grande stima per un grande maestro di cinematografia.

Fuori, Gil bacia Adriana e le dona degli apprezzatissimi orecchini. Tuttavia, succede che Adriana rivive nella sua realta' in un certo senso quello che Gil vive nella sua. Appare una carrozza d'altri tempi, trainata da cavalli da cui si affaccia una coppia che li invita a salire. Gil e Adriana vengono cosi' trasportati nella Parigi della fine del XIX secolo. La felicita' palpabile di Adriana alla vista del Maxim's di quegli anni, comincia ad aprire gli occhi a Gil. I due si recano quindi al Moulin Rouge dove assistono al balletto sulle musiche del Can-can. Alla fine del quale Adriana intravede Henri de Toulouse-Lautrec solitario al suo tavolo. I due si siedono al tavolo con il famoso pittore impressionista. Subito dopo arrivano Paul Gauguin e Edgar Degas. Sapendo che Adriana e' una disegnatrice di moda, Degas propone di farla conoscere ad un tale Richard (si dovrebbe trattare di Richard Strauss) per disegnare gli abiti di un suo spettacolo teatrale.

Dopo un'esitazione iniziale causata dal fatto che veniva da un'altra epoca, Adriana chiede a Gil di consultarsi privatamente. Gil intanto e' riuscito a farsi un quadro chiaro di quello che stava vivendo, osservando quello che stava succedendo ad Adriana. A rafforzare la sua tesi, intervengono gli atteggiamenti degli artisti impressionisti che sostengono che loro sono delusi dalla generazione attuale e che avrebbero preferito vivere nel Rinascimento e dipingere a fianco a Tiziano e Michelangelo. E aggiunge, spiegando quanto percepito, che sicuramente questi ultimi due si sarebbero trovati meglio ai tempi di Kublai Khan. Gil spiega cosi' ad Adriana che non e' una soluzione scegliere di rimanere nella Parigi della Belle Epoque. Molto probabilmente, una volta ambientata in quell'epoca, avrebbe cominciato ad immaginare che un'altra epoca ancora antecedente sarebbe stata la sua 'epoca d'oro'. Poi conclude con un frase molto signifcativa:

Ecco.. ecco cos'e' il presente! E' un po' insoddisfacente! Perche' la vita e' un po' insoddisfacente...

Ma nemmeno davanti a questa frase pregna di significato, Adriana riesce a percepire il malessere che sta vivendo e rimane ferma sulla decisione di fermarsi nella Parigi di 'fine-ottocento'. Si congeda cosi' da Gil con tenerissimo bacio.

Ritornato negli anni venti, Gil ha il consenso di Gertrude Stein per il suo libro. Miss Stein confessa che anche Hemingway lo ha letto e pensa che sara' un buon romanzo. Tuttavia, riferisce che lui non crede che il finale del libro possa essere realistico. In effetti, il romanzo scritto da Gil e' profondamente autobiografico. Parla del 'negozio nostalgia' (un negozio dove di vendono cimeli) che in qualche modo riflette il suo attaccamento al passato, e il finale lascia intendere che lui non si era realmente accorto del tradimento perpetrato nei suoi confronti da Inez con Paul. Il giudizio (che Gil definisce ironicamente 'negazione') di Hemingway spinge Gil ad aprire gli occhi anche su quest'ultimo aspetto della sua vita e a far confessare Inez.

Il ritorno alla realta' e' quindi segnato dalla fine della relazione tra Gil e Inez. La scena, che si svolge in parte alla presenza dei genitori, si chiude con un'appendice sarcastica, recitata dal padre di Inez:

Salutami Trotsky.

Gil decide di rimanere a Parigi, ma il finale lascia intendere chiaramente che il protagonista e' oramai guarito dalla sindrome che lo portava a fuggire dal suo presente. La bellezza e la sobrieta' di Gabrielle, e il loro passeggiare per Parigi sotto la pioggia ne sono una inequivocabile testimonianza.

Frasi


  • Il problema e' che quando si tratta del suo lavoro, lui non ha rispetto dell'opinione altrui. (Inez)
  • Nessun soggetto e' terribile se la storia e' vera. E se la prosa e' chiara e onesta. E se esprime coraggio e grazia nelle avversita'. (Hemingway)
  • Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte. La vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa. (Hemingway)
  • Guardate come l'ha ritratta! E' grondante di allusioni sessuali. Carnale, di passionalita' bruciante. (...). Ne ha fatto una creatura di Place Pigalle! Una puttana dai vulcanici appetiti. (...) quindi tu la giudichi da petit-bourgeois e la trasformi in un oggetto di piacere. E' piu' una natura morta che un ritratto. (Gertrude Stein)
  • Mio Dio! Con lei le groupie fanno un salto di qualita'! (Gil)
  • Questo sogno di piccola parigina, non e' una festa mobile? (Hemingway)

Dialoghi

Scena al Bricktop's dove Gil si reca insieme ai Fitzgerald, dopo che questi trovano 'noiosa' la festa organizzata per lo scrittore Jean Cocteau, nonostante ad allietare la serata c'e' Cole Porter che suona al pianoforte. In questo locale Gil conosce Hemingway.

Hemingway: Ti fara' diventare pazzo quella donna.
Francis Scott Fitzgerald: E' eccitante. E ha del talento.
Hemingway: Questo mese la scrittura, l'altro mese era qualcos'altro. Tu sei uno scrittore. Ti serve tempo per scrivere, non ti servono queste pagliacciate. Ti sta distruggendo perche' in realta' e' una tua rivale. Non sei d'accordo?
Gil: Io?
Hemingway: Parla perdio! Non credi che il mio amico stia commettendo un tragico errore?
Gil: Ecco, i-i-io no-non conosco i Fitzgerald abbastanza...
Hemingway: Sei uno scrittore, sai osservare, c'hai passato tutta la sera.


Scena della seconda sera in cui Gil sale sulla Peugeot d'epoca per essere catapultato nella Parigi degli anni venti. In questa scena Gil trova in macchina Hemingway,e con lui intrattiene un interessante dialogo sulla paura di morire e l'amore.

Hemingway: Non scrivi mai bene se hai paura di morire. Tu ce l'hai?
Gil: Si', io si'. Direi che forse.. direi che forse e' la mia paura piu' grande.
Hemingway: Beh, e' una cosa che a tutti prima di te e' successa e a tutti succedera'.
Gil: Lo so, lo so...
Hemingway: Hai mai fatto l'amore con una vera meraviglia di donna?
Gil: Beh, ecco, la mia fidanzata e'... parecchio sexy!
Hemingway: E quando fai l'amore con lei, senti una vera e bellissima passione... almeno per quel momento dimentichi la paura della morte?
Gil: No, no... Questo non succede.
Hemingway: Io penso che l'amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte; la vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che e' la stessa cosa, e quando un uomo che e' vero e coraggioso, guarda la morte dritta in faccia come certi cacciatori di rinoceronti o come Belmonte che e' davvero coraggioso, e' perche' ama con sufficiente passione da fugare la morte dalla sua mente, finche' lei non ritorna, come fa con tutti. E allora bisogna di nuovo far bene l'amore. Devi pensarci.


Scena al mercatino delle pulci di Saint-Ouen('Marche' aux Puces de Saint-Ouen') in cui Gil e' attratto da un vecchio pezzo di Cole Porter (You do Something to me) che giunge dal negozio dove lavora Gabrielle.

Gabrielle: Le piace Cole Porter?
Gil: Molto, sono un vero fan. Si'... anzi... mi piace pensare di far parte del gruppo di intimi amici di Linda e Cole. Sto scherzando!


Scena al museo dell'Orangerie ('Musee de l'Orangerie') dove Gil si reca in compagnia di Inez, Paul e Carol. Paul fa da cicerone ma Gil non riesce a trattere le sue considerazioni critiche in merito al quadro di Picasso, che aveva maturato la notte precedente a casa di Gertrude Stein, alla presenza del pittore e del suo soggetto (Adriana).

Paul: Ah si'.. Ecco un superbo Picasso. Se non vado errato dipinse questo meraviglioso ritratto della... della sua amante francese, Madeleine Prissou, negli anni venti.
Gil: Ah.. Pa-Pa-Paul, mi vedo costretto a dissentire da te.
Paul: Ah si'?
Inez: Gil, Gil, sta' un po' attento, magari impari qualcosa.
Gil: Si'.. be-be-beh.. se non vado errato, questo fu un tentativo fallito di catturare una giovane francese, di nome Adriana, di Bordeaux che, se gli studi mi assistono, era venuta a Parigi per studiare come costumista teatrale. E sono piu' sicuro che ebbe una storia con Modigliani. E poi Braque. Ed e' li' che Pablo la vide. Picasso. Quello che non ti fa arrivare questo quadro e' l'indefinibilita' della sua bellezza. Era davvero uno schianto.
"
Inez: Ma che ti sei fumato?
Gil: Io non definirei questo quadro 'meraviglioso', e' piu' un'affermazione petit-bourgeois di come in effetti Pablo la vede... la vedeva. Era distratto dal fatto che era un autentico vulcano a letto.


Scena in cui Adriana e Gil passeggiando per le strade del centro di Parigi, notano Zelda Fitzgerald sull'argine della Senna che cerca di togliersi la vita. In questa scena Gil, in tutta naturalezza, fa riferimento all'imminente al suo matrimonio nella vita reale, come pure ad un medicinale ancora non noto negli anni venti (Valium).

Gil: Tieni, prendi questo.
Zelda Fitzgerald: Che cos'e'?
Gil: Un Valium, ti sentirai meglio.
Adriana: Giri con delle medicine?
Gil: No, di solito no, ma da quando sono fidanzato con Inez, ho avuto qualche attacco di panico. Ma sono sicuro che sparira' dopo il matrimonio.
Adriana: Non ho mai sentito parlare del 'Valium'. Che cos'e'?
Gil: E'... e' la pillola del futuro.


Scena del bacio tra Gil e Adriana

Adriana: Cosa stai facendo?
Gil: Non lo so. Ma per un minuto mi sono sentito come se fossi immortale.


Scena finale. Gil, finalmente 'guarito', si stabilisce a Parigi e incontra casualmente Gabrielle che gli confessa di averlo pensato. Lei accetta di essere accompagnata a casa. Ma 'sfortunatamente' inizia a piovere. A Gabrielle piace Parigi con la pioggia, come in verita' (e piu' volte nel corso del film cio' e' stato rimarcato) anche a Gil. Il che lascia presagire ad un'affinita' tra i due che e' sempre mancata tra Gil e Inez.

Gil: OK, sta cominciando a piovere.
Gabrielle: Si'... No... ma e' lo stesso! Non mi dispiace bagnarmi.
Gil: Davvero?
Gabrielle: Si'. In realta', Parigi e' ancora piu' bella con la pioggia.
Gil: Io-io-io.. E' sempre quello che ho detto io. Non potrei essere piu' d'accordo con te.
Gabrielle: Si'
Gil: E' piu' bella...

Il giardino dell'Eden

sabato 16 luglio 2011

Il valore di uno scrittore lo si puo' percepire anche quando una storia banale come quella raccontata in questo romanzo postumo, riesce a caricarsi di fascino, nonostante la miriade di ripetizioni di eventi e di dialoghi che anche il lettore meno attento puo' scorgere. Non per nulla Ernest Hemingway e' uno dei piu' grossi esponenti della narrativa del secolo scorso.

Non e' facile collocare Hemingway in un filone letterario, nemmeno tra quelli che hanno caratterizzato la sua epoca. Ma sono chiare alcune attitudini comuni a molti personaggi famosi del tempo. Alcune delle quali sono esplicite anche in questa opera, come ad esempio i viaggi in Africa a cui si allude nel racconto che David scrive durante la sua luna di miele.

Di Hemingway si parla spesso per la sua personalita' controversa che da un lato vuole esplodere e mostrare i contorni ben delineati che circoscrivono un essere umano virile e possente, quasi a inneggiare i miti di un passato che nei primi anni del novecento si cercava di far rivivere. E dall'altro cede all'introspettivita' e alla sua, probabilmente, vera natura fragile.

In questo romanzo non e' necessario prestare tanta attenzione per notare l'affiorare di entrambi gli aspetti.

Forse anche il continuo ricorso al bere dei suoi personaggi vuole essere un segnale del tanto rincorso machismo. Ma e' indubbio il suo talento di romanziere e la capacita' di fare in modo che le scene che descrive riescano quasi a prendere una connotazione reale.

Fini' di prepararle l'assenzio, evitando con cura che fosse leggero. <<Avanti>> le disse. <<Non mi aspettare.>> Lei bevve un lungo sorso e poi il marito le prese il bicchiere e bevve e disse: <<Grazie, signora. E' una cosa che ti rimette al mondo>>.

Forse la storia bizzarra di cui tratta Il giardino dell'Eden in se' e' un altro aspetto proteso all'esaltazione della mascolinita' che Hemingway ha ostentato nella prima parte della sua vita. Il David conteso da due donne pero' viene smorzato dal continuo piegarsi alla volonta' di Catherine durante la prima parte del romanzo, mentre l'innamoramento verso una personalita' piu' mite - quale quella di Marita - nella seconda parte del romanzo, potrebbe anche celare un senso di protezione che rivela a molti il lato oscuro della sua natura.

A parte questi aspetti inconsci che potrebbero essere mappati nella personalita' dello scrittore ci sono ipotesi che piu' facilmente possono essere vere in merito a dei tratti autobiografici contenuti nel racconto.

Difatti, Hemingway comincio' a scrivere questo romanzo subito dopo la seconda guerra mondiale tra il terzo matrimonio (con Martha Gellhorn) e il quarto (con Mary Welsh). Nella versione iniziale, il racconto si imperniava attorno all'incontro di due coppie i cui uomini rappresentano due modi di essere dello scrittore, mentre le donne sono il modello di Hadley Richardson (prima moglie di Hemingway) e Pauline Pfeiffer (seconda moglie).

A seguito della complicata gravidanza di Mary, Hemingway abbandona il manoscritto. Nel tempo, piu' volte cerca di portarlo a termine apportando tagli e modifiche sostanziali alla trama, ma senza successo.

Il romanzo viene pubblicato nella versione definitiva e accorciata dopo la sua morte, e viene scelto un lieto fine, diversamente dai molteplici finali tragici che ipotizzava Hemingway. In particolare, una delle due coppie viene eliminata dal racconto. Rimane quindi solo David e Catherine, una coppia di sposini novelli in luna di miele, in cui non si tardano ad instaurarsi presto pericolosi scambi di coppia, per dei capricci sempre piu' frequenti di Catherine (che David chiama non per nulla 'Diavolo' dentro il romanzo). Caratterialmente, Catherine ricorda la sua quarta moglie Mary - come piu' volte l'autore ha avuto modo di ribadire, mentre fisicamente ricorda la sua terza moglie Martha.

L'incontro della coppia con Marita in realta' fa pensare che lo scrittore abbia voluto ricostruire l'incontro dell'estate del 1926 tra lui, l'allora moglie Hadley e Pauline. L'atteggiamento feticista di Catherine che spesso ama farsi fare un taglio di capelli molto corto e tingere i capelli di un biondo che tende al bianco, sfocia pericolosamente in un menage a trois tra i protagonisti. Fino ad arrivare al punto in cui Catherine lascia David e Marita. I due possono cosi' coronare il sogno di stare insieme, mentre David ritrova la serenita' che gli permette di riscrivere i racconti sui ricordi della macabra esperienza della caccia agli elefanti che lo legano al padre, che erano stati da poco bruciati di nascosto da Catherine durante uno dei suoi - sempre piu' frequenti - stati di lucida follia.

Molto suggestiva l'ambientazione del romanzo. La Camargue e Le Grau de Roi. Il mare e le campagne solcate da canali. La vita semplice e disinvolta del sud della Francia nella prima meta' del novecento. Sono tutti aspetti ricchi di fascino e si rivelano uno sfondo perfetto per immortalare e rendere ancora piu' vivide le narrazioni di Hemingway.

Frasi


  • p. 46: "Non dobbiamo dirci tesoro o amor mio o nessuno di questi nomi per dimostrare qualcosa. Tesoro e mia carissima e mia adorata eccetera sono osceni per me e noi ci chiamiamo col solo nome di battesimo."
  • p. 59: "Fini' di prepararle l'assenzio, evitando con cura che fosse leggero. <<Avanti>> le disse. <<Non mi aspettare.>> Lei bevve un lungo sorso e poi il marito le prese il bicchiere e bevve e disse: <<Grazie, signora. E' una cosa che ti rimette al mondo>>."
  • p. 117: "La felicita' nelle persone intelligenti e' la cosa piu' rara che conosco."
  • p. 126: "Bene non dobbiamo essere solenni. Gia' fin d'ora so che e' la morte se sei solenne."
  • p. 141: "Non parli mai di nessun altro argomento? La perversione e' noisa e antiquata. Non sapevo che le persone come noi ci badassero nemmeno piu'."
  • p. 220: "E' terribile essere a letto insieme e sentirsi soli."

A margine di questa breve recensione, riporto un aforisma di Hemingway che mi sta molto a cuore:

Dobbiamo abituarci all'idea: ai piu' importanti bivi della vita, non c'e' segnaletica. (Ernest Hemingway)

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